Sviluppare un nuovo test del sangue in grado di rilevare la presenza della malattia di Alzheimer ben tre anni e mezzo in anticipo rispetto alla diagnosi clinica. Questo l’obiettivo a cui è stato orientato uno studio, pubblicato sulla rivista ‘Brain’, condotto dagli scienziati dell’Institute of Psychiatry, Psychology & Neuroscience (IoPPN) presso il King’s College di Londra.
Il team, guidato da Aleksandra Maruszak e Sandrine Thuret, ha ideato un approccio diagnostico innovativo per identificare i componenti del sangue che possono indicare la presenza della condizione neurologica. I ricercatori sostengono che i componenti del sangue umano possono modulare la formazione di nuove cellule cerebrali, attraverso un processo chiamato neurogenesi, che avviene all’interno dell’ippocampo, una regione del cervello coinvolta nell’apprendimento e nella memoria.La malattia di Alzheimer, spiegano gli esperti, inizialmente colpisce la formazione di nuove cellule cerebrali nell’ippocampo, ma le fasi successive del fenomeno sono state osservate solo attraverso le autopsie. In questo lavoro, gli studiosi hanno raccolto i campioni di sangue di 56 individui con Mild Cognitive Impairment (Mci), una condizione associata a lievi peggioramenti della memoria e della capacità cognitiva. I partecipanti sono stati seguiti per diversi anni. La Mci non si tramuta sempre in Alzheimer, ma la malattia può comunque progredire e peggiorare significativamente. 36 soggetti avevano ricevuto una diagnosi di Alzheimer. “Nel nostro lavoro – afferma Maruszak – abbiamo trattato le cellule cerebrali con sangue prelevato da persone con Mci, valutando i cambiamenti delle cellule con il progredire della malattia”. I campioni raccolti nel corso degli anni dai pazienti in cui la Mci è degenerata in Alzheimer, riportano gli esperti, hanno mostrato una diminuzione della crescita e della divisione cellulare e un incremento della morte cellulare per apoptosi. Gli scienziati hanno però notato che il sangue mostrava un incremento della conversione delle cellule cerebrali immature in neuroni dell’ippocampo. “Ricerche precedenti – commenta Thuret – hanno dimostrato che il sangue dei topolini più giovani può avere un effetto ringiovanente sulle cellule cerebrali degli esemplari più anziani, migliorando la neurogenesi dell’ippocampo. Nel nostro modello preclinico abbiamo riscontrato che anche negli esseri umani il sistema circolatorio del corpo può avere un effetto sulla capacità del cervello di formare nuovi cellule”.
“I nostri risultati sono estremamente importanti – concludono Hyunah Lee e Edina Silajdžić, altre firme dell’articolo – perché permettono di prevedere l’insorgenza precoce dell’Alzheimer in modo non invasivo. Ora è essenziale convalidare questi risultati in un gruppo di persone più ampio e diversificato. Speriamo che il nostro lavoro possa aiutarci a comprendere meglio i cambiamenti che il cervello subisce nelle prime fasi della malattia di Alzheimer. Questa conoscenza potrebbe aiutarci a sviluppare trattamenti mirati per le persone con problemi di memoria”.