L’Istiocitosi a cellule di Langerhans (LCH), una grave e complessa condizione sistemica che colpisce prevalentemente i pazienti pediatrici, potrebbe dipendere dalla combinazione diversi meccanismi legati alle cellule immunitarie. A questa conclusione giunge uno studio, pubblicato sulla rivista Science Immunology, condotto dagli scienziati del Karolinska University Hospital, del Singapore Immunology Network e dell’Università di Newcastle. Il team, guidato da Egle Kvedaraite, ha eseguito il sequenziamento delle singole cellule, combinato con la microscopia e il tracciamento delle cellule. “L’origine di questa malattia è stata dibattuta per decenni – afferma Kvedaraite – alcuni ipotizzano che derivi da un certo tipo di cellule immunitarie chiamate cellule dendritiche, mentre altri credono che provengano da cellule correlate chiamate monociti”. Gli esperti hanno scoperto che le cellule LCH mutate avevano proprietà simili sia ai monociti che alle cellule dendritiche, ma anche alla particolare cellula dendritica di tipo 3 (DC3), associata a un percorso di sviluppo separato. Stando a quanto emerge dall’indagine, i vari tipi di cellule possono comunicare tra loro per promuovere lo sviluppo di LCH e quindi creare un effetto di auto-rafforzamento. Questi risultati, spiegano gli autori, potrebbero portare allo sviluppo di nuovi trattamenti mirati ed efficaci contro la particolare condizione. L’istiocitosi a cellule di Langerhans (LCH) è un grave tipo di malattia simile al cancro che colpisce principalmente i bambini e può essere fatale nei casi più gravi.Questa particolare condizione colpisce le cellule immunitarie, ostacolando la loro capacità di rilevare ed eliminare le cellule tumorali. Secondo le stime attuali, la sua prevalenza è di circa 1-2 ogni 100mila persone. “Tra le opzioni di trattamento per LCH, la terapia mirata può essere applicata con successo – riporta Kvedaraite – ma la malattia si ripresenta quando la terapia viene interrotta. Questo rappresenta una seria sfida per i pazienti, poiché un trattamento permanente per i bambini non può costituire un’opzione valida, specialmente a causa degli effetti collaterali associati”. “Il nostro lavoro – conclude – potrebbe aprire la strada allo sviluppo di un trattamento volto a eliminare le cellule patologiche”.