Domenicali: «La Formula 1 senza Ferrari non va avanti. Ora gare con le griglie invertite»

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Mister Formula 1 cammina nel paddock di Monza col passo svelto di chi macina decine di chilometri di corsa per tenersi in forma. L’aria è di casa, sua moglie Silvia è di qui, ma il tempo per le distrazioni è zero. L’agenda è fitta di incontri: capi di Stato, manager, vip, team principal. Un italiano al vertice dello sport più veloce del mondo, Stefano Domenicali, a dirigere più di 500 persone. «Perché un Gp non è soltanto una corsa di macchine ma la vetrina di un Paese. Dal punto di vista culturale, economico e di valori. Il campionato è seguito da 2 miliardi di telespettatori, ogni evento dà lavoro, per un periodo fra due settimane e un mese, a 8.000-15.000 persone. Con un indotto economico di 100-150 milioni di euro, parlare solo di sport è riduttivo».

Vetrina anche per l’Italia, quanto c’è di Made in Italy in questa F1 oltre alla Ferrari?
«Sono italiano e ho la responsabilità in un ambito internazionale di trasmettere il valore dell’italianità attraverso idee innovative, capacità di relazione, compromessi necessari per fare passi avanti. Ferrari, Pirelli, AlphaTauri, Dallara sono i nomi più noti. Ma ci sono altre aziende di software presenti in tutti i componenti che fanno funzionare i sistemi della F1 e molto altro. Per non parlare di alcuni partner commerciali: sono entrati in mercati che non avrebbero mai raggiunto in così breve tempo».

La F1 è cresciuta molto d’interesse negli ultimi due anni. Come si spiega: merito dei duelli in pista, della comunicazione?
«Abbiamo conquistato un pubblico non fanatico di corse. Creando contenuti diversi per persone diverse, i giovani hanno bisogno di intensità: nuove telecamere, nuovi tipi di narrazione. Sa qual è il riconoscimento più grande?


No, quale?
«Che lo star system americano, presente in massa a Miami, abbia detto: “This is the place to be”».

Una carriera varia la sua: dal muretto della Ferrari, dove era team principal, a.d. della Lamborghini, e ora della F1. Qual è il segreto?
«Semplice. Ogni lavoro si affronta con la voglia di imparare, crescere e dare l’esempio come capo. Nello sport e nel business, l’importante è non essere mai soddisfatto, ma in maniera costruttiva. Ho avuto la fortuna di lavorare con persone che mi hanno lasciato sempre qualcosa, ma anche io ho lasciato sempre qualcosa».

Ha mai sentito diffidenza nei suoi confronti perché italiano?
«No. Siamo apprezzati per la capacità di risolvere i problemi, al di là delle battute».

Quali sono state le sue sfide più grandi?
«Far crescere il campionato ai tempi del Covid. Portare la F1 in mercati sconosciuti, sviluppare i contenuti Internet. E la sostenibilità ambientale, se non te ne occupassi gli investitori non ci metterebbero nemmeno un euro».

Com’è la sua giornata tipo?
«Sveglia alle 5.30, mi ritaglio un’ora per lo sport. Mi piacerebbe giocare a basket ma a Londra non trovo campi. Poi riunioni tutto il giorno fino a tarda sera».

Riesce a staccare ogni tanto?
«No. Quando hai certe responsabilità il bello è staccare dalle persone che ti circondano, ma continuare nella tua testa a pensare a soluzioni e idee».

A chi dice che la F1 ormai è solo uno show e non uno sport che cosa replica?
«Che è uno sport e anche uno spettacolo. I due elementi sono combinati».

La soddisfazione più bella da capo della F1?
«Il Mondiale deciso all’ultimo giro dell’ultima gara, l’anno scorso ad Abu Dhabi. Tralasciando le polemiche…».

Qualcosa di irripetibile?
«Spero che possa diventare una consuetudine, sarebbe un sogno che ogni Mondiale si decidesse nel Gp finale».

Con questa crescita una F1 senza Ferrari potrebbe esistere?
«No, è un binomio inseparabile. E credo che la pensino così anche i vertici della Ferrari».

Un tempo si tifava per i team, ora sono i piloti a trascinare il pubblico. Una bella rivoluzione.
«È un elemento sul quale abbiamo investito tantissimo. L’Italia è l’unico Paese dove si tifa Ferrari a prescindere da chi la guidi. Altrove contano i piloti, basta vedere l’effetto Verstappen. O il traino di Norris».

Come sono i rapporti fra lei e il presidente della Fia, Mohammed Ben Sulayem? Si dice che non siano facili…
«Le relazioni F1 e Fia sono l’asse portante del successo. Noi abbiamo l’obbligo di massimizzare la parte commerciale, a loro spettano le scelte sportive dal punto di vista dei regolamenti, che ora riguardano anche i controlli finanziari. Il nuovo presidente si è insediato a gennaio, sta costruendo la sua squadra. Ci confrontiamo quasi tutti i giorni, il rapporto deve continuare a essere quello nel rispetto delle responsabilità di ciascuno. La cosa più importante è restare uniti e avere una visione comune della F1».

Sprint race, nuovi format, perché cambiare?
«Perché bisogna provarci, le scuse per non fare sono sempre tante. È un principio di vita. I puristi che storcono sempre il naso, ma la F1 negli anni ha cambiato decine di volte il modo delle qualifiche. È un’esigenza non rinviabile, avere ancora più spettacolo».

In che modo?
«Vorrei che si lottasse sempre per qualcosa che vale per il titolo. Affronteremo il tema nella prossima F1 Commission: lo vogliono i tifosi, gli organizzatori, tutti. La Sprint Race era solo il primo esempio, migliorabile».

Ci sveli una proposta.
«In un weekend normale, quello composto da prove libere 1 e 2 al venerdì, ogni sessione dovrebbe mettere in palio o punti, o giri di qualifica singoli, o una qualifica per una gara del sabato, diversa e più corta, al posto delle terze libere, magari con il meccanismo della griglia invertita».

Griglia invertita?
«Stiamo mettendo sul tavolo una marea di cose. Molti dicono di no, ma abbiamo visto in alcune occasioni (legate alle penalizzazioni, come in Belgio, ndr) la bellezza di avere dei rimpasti in gara, più sorpassi. Abbiamo l’obbligo di provarci».

Verstappen le ricorda Schumacher?
«Gli assomiglia perché mette al centro tutto ciò che fa in pista. È maturato tanto, ha imparato a gestire le proprie emozioni. È un cannibale, non guarda in faccia nessuno. E in questo mi ricorda tanto Michael».

E Leclerc?
«Pilota straordinario anche lui, dotato di un’empatia diversa da Max. Ha anche altri interessi oltre la F1 e ci tiene a svilupparli».

Il Gp dei sogni dove lo organizzerebbe?
«Sulle Dolomiti, ovviamente sarebbe tutto green».

Daniele Sparisci, corriere.it