Mauro della Porta Raffo, un ritratto atipico

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Pubblichiamo un ritratto atipico di un uomo atipico. Mauro della Porta Raffo, unicum della cultura, arcinemico della banalità, principe di una cultura multidisciplinare, cara al filosofo israeliano Marcelo Dascal. Il ritratto che ci proponiamo è inconsueto, naturalmente irregolare: contiene una biografia, a cura di Simone Furfaro, apparati, interviste di Stefano Lorenzetto, Francesco Borgonovo, Gianni Barbacetto, Massimo Lodi, e la riflessione “Valeva la pena”.

Mauro Maria Romano

della Porta Rodiani Carrara Raffo

dei Bontemps de Montreuil

dei Pfyffer von Altishofen 

di Casa Savelli

ovvero

Mauro della Porta Raffo

‘Il Gran Pignolo’

Nomi battesimali

– Mauro Maria Romano

Cognomi anagrafici 

– della Porta Rodiani Carrara Raffo

Casati ulteriori (che con i predetti saranno ripresi negli Apparati)

– per parte degli ascendenti del ramo materno del Padre (la Madre del quale, Gina, era una Zavagli Ricciardelli delle Caminate)

dei Bontemps de Montreuil

(nobile Famiglia Lorenese che in Italia si è illustrata nell’avo diretto appunto Carlo Bontemps de Montreuil, Capitano combattente nella Seconda e terza Guerra di Indipendenza, il cui busto è esposto al Gianicolo, Padre della Bisnonna Corinna consorte di Omero Raffo)

– per parte degli ascendenti del ramo paterno della Madre (la cui genitrice, Giorgia detta ‘Giorgina’, apparteneva ai Nobili Giorgi di antica provenienza albanese)

dei Pfyffer von Altishofen

(nobile Famiglia Lucernese che nel Cinquecento dette i natali a Ludwig appunto Pfyffer von Altishofen – antenato diretto dell’ava Ginevra, Nonna di Enrico della Porta – difensore del Cattolicesimo, storicamente considerato ‘il Re degli Svizzeri’ e consesso i cui esponenti hanno successivamente più volte ricoperto il ruolo di Capitano delle Guardie Pontificie)

Origini romane

(tramite Giulio Savelli, nominato a Piacenza, città alla cui difesa era stato demandato dal Senato Romano, Conte della Porta da Carlo Magno nell’anno 800)

nella antichissima 

– Casata Savelli,

(in lunga lotta con alterne fortune per il dominio della Città Eterna con i Colonna, gli Annibaldi, i Caetani e gli Orsini, non pochi tra i suoi esponenti arrivati nel tempo al Soglio Pontificio)

Nato a Roma il 17 aprile del 1944, 

assai felicemente vivente in Varese dall’inverno 1946/47, 

operatore culturale assolutamente tra i massimi della città e del contado, 

testimone del tempo, 

dopo lunghi anni di apprendistato – anni alternativamente costretti e scapestrati –

oggi non da oggi saggista e narratore, 

noto e celebrato a livello nazionale ed oltre per l’acribia che ne contraddistingue il tratto, 

rivendicando il fatto, incontestabile, di essere stato per Alessandra e Federica un Padre di grande ispirazione e – quel che maggiormente conta – di essere per Giulio e Tommaso un Nonno eccezionale, 

qui propone la propria 

Biografia, 

al 28 aprile del 2022, 

28.500esimo giorno di sua Vita,

opera dell’ottimo

Simone Furfaro

di sua stessa mano aggiornata e rifinita.

• Figlio del tenente Manlio Raffo dei Bontemps de Montreuil, romano, e di Anna Maria della Porta Rodiani Carrara, nativa di Genazzano (Roma), folgorati nel 1942 a Terracina – dove Anna Maria viveva fin da bambina – da “un colpo di fulmine, un amore che fa superare i terribili e subito emersi contrasti di carattere”.

Per sposare la donna, il tenente Raffo, fervente fascista già volontario in Albania e in Grecia, rinunciò a partire, ancora sua sponte, per la campagna di Russia, nonostante avesse già completato l’apposito corso preparatorio nella citata Terracina.

“Un atto… deciso in piena coscienza, ma del quale, sono certo, non si darà mai pace…

Cinquant’anni e passa di litigi feroci e di rappacificazioni altrettanto violente, tre figli a distanza di anni e, dopo un veloce passaggio a Napoli e un secondo, breve, momento a Catania, l’amata Varese”.

A Varese si stabilirono nel 1946, quando il padre, nel frattempo divenuto direttore dell’Ente Provinciale per il Turismo di Catania, vi si fece trasferire “per far contenta mia madre, che odiava il clima, troppo caldo per lei, della Sicilia”.

“Corre l’inverno 1946/47: ha inizio poi ufficialmente il 27 marzo appunto del ‘47, giorno di iscrizione all’anagrafe comunale, la lunga avventura dei della Porta Raffo nella Città Giardino”.

• Precocissimo l’amore per la lettura: 

“Tre anni e mezzo. 

Ma, se così si può dire, un segnale di passione per il genere letterario era venuto con largo anticipo. 

Alla vigilia di Natale del ’44 – avevo otto mesi di vita – leggenda vuole che verseggiassi la seguente filastrocca, tra la stupore dei presenti: 

‘I due orsetti, appena desti,

l’un dell’altro più ghiottone,

si divoran lesti lesti 

la lor prima colazione’.

Fu l’esordio orale. 

Quello scritto, dico di lettura dei testi, avvenne sui romanzi di Emilio Salgari. 

Non me ne sarebbe sfuggito alcuno, apocrifi compresi: centootto in tutto” (a Massimo Lodi). 

Ciononostante (forse o addirittura probabilmente per questo), “sono sempre stato un disastro a scuola. 

Ma proprio un disastro. 

Anche sul piano disciplinare. 

In seconda media, alla Dante Alighieri, toccai il record delle espulsioni dalla classe: centottanta, perfino due al giorno”.           

Ogni anno veniva quindi rimandato a ottobre (“Tranne una volta: mi avevano bocciato a giugno”).

Lo scarso rendimento scolastico non gli precluse tuttavia alcuna strada. 

“Mio fratello Silvio, quando aveva sei anni, disse: ‘Io da grande voglio fare l’insegnante e il poeta’.

E così è stato. 

Io non ho mai immaginato che cosa avrei intrapreso, e anzi ho lungamente teso a stancarmi e ad annoiarmi di ogni attività rapidamente.

Quindi ho messo mano un po’ a tutto”.

“A ventiquattr’anni non compiuti ero già Direttore dell’Azienda di Soggiorno cittadina e facevo lavorare gli altri, ovvio” (a Stefano Lorenzetto).

“Laureato in seguito a una davvero lunga gavetta in Giurisprudenza alla Cattolica, lasciato l’incarico nell’ora detto Ente Pubblico, da patrocinatore legale, complice mio suocero, che era Agente della Reale Mutua Assicurazioni, sono stato costretto a occuparmi di liquidazioni di sinistri per tre anni. 

Un’esperienza abominevole.

Nel 1978 ho detto ‘basta’ e sono diventato giocatore di carte professionista – e non solo: frequentavo con molta meno fortuna biliardi, casinò e bische varie. 

Di nascosto da mia moglie. 

Le dissi allora che ero agente immobiliare.

Quanto alle carte, uscivo di casa la mattina, andavo in via Silvestro Sanvito, nascondevo l’auto dietro la relativa costruzione e giocavo a pinella con i clienti di un bar annesso a un frequentato distributore. 

Puntate da ventimila lire. 

Alla fine del mese – ricordavo perfettamente le giocate e questo faceva la differenza – mettevo insieme un discreto stipendio…

In famiglia, dopo qualche, non poco, tempo hanno scoperto che non ero immobiliarista e ho dovuto smettere.

Dal 1992 – trascorsi qua e là (e a Como, città amica, occorse che per un attimo pensassi di poter avere una diversa vita) gli anni Ottanta come Agente d’Assicurazione – scrivo.

Avevo già quarantotto anni, e mi dissi: Piero Chiara è ‘diventato’ Piero Chiara a quarantanove, con ‘Il piatto piange’. 

Scrivere mi piace: perché non provare?”.

Iniziò allora a vergare racconti (“la mia forma letteraria è concisa: un romanzo è troppo lungo, mi stancherei io a scriverlo, figurarsi un altro a leggerlo. Mentre capita spesso che nel breve mi esprima come un dio”), che propose a vari quotidiani, tra cui La Prealpina, il primo a pubblicarli. 

“A metà anni Novanta molti giornali aprirono e chiusero nell’arco di pochi mesi. 

Nel gennaio del 1996, quando uscì Il Foglio di Giuliano Ferrara, mi dissi: compriamolo, così, quando, tra qualche po’, non sarà più in edicola, avrò la collezione. 

Poi, essendo sempre stato appassionato di elezioni statunitensi, notai alcuni errori nelle cronache della campagna elettorale quell’anno in corso. 

Così iniziai a inviare per fax (avevano un numero telefonico per questo tipo di comunicazione oggi già desueta o pressappoco) le mie correzioni al Foglio, come in tante occasioni avevo fatto in precedenza per lettera ad altri giornali.

E per primo Ferrara le pubblicò, e continuò a proporle fino all’estate, quando d’un tratto smise. 

Allora mi arrabbiai, e gli spedii un lungo scritto riepilogativo, che conclusi con la sferzante citazione di Oscar Wilde sui giornalisti che è bene siano ignoranti quanto i loro lettori.           

Pensavo di aver chiuso così quel capitolo.            

Invece il giorno dopo un amico mi disse: 

‘Hai letto Il Foglio di oggi?’

Andai a vedere, e Ferrara aveva pubblicato integralmente il mio pezzo dedicandogli un titolo a nove colonne (‘Un lettore denuncia la pochezza della stampa italiana’) e rispondendomi con due righe: ‘Lei merita una rubrica. Ci sta?’

Iniziò così il primo giovedì di settembre 1996 (mio ‘anno della consapevolezza’) la striscia settimanale ‘Pignolerie’, che curai sul Foglio fino (il caso determinò la coincidenza quanto al medesimo mese) a settembre del 2009, allorquando, trascorso in tredicennio, non poco, considerai conclusa – amaramente, constatandone l’inutilità visto che l’ignoranza e la sciatteria continuavano a regnare ed anzi conquistavano nuovi spazi nel mondo dei media – quella peraltro magnifica avventura.

(Ricordo che Giuliano – il quale, ai tempi, ai miei riguardi, se ne era uscito con un graditissimo “Mauro della Porta Raffo è il nostro maniaco preferito!” – nel 2016, in occasione del ventennale, ha scritto, riconoscendo i fatti, l’accaduto, che io, e non altri, ho dato la ‘cifra’ d’intransigenza che ebbe a sostanziare, caratterizzare, il suo giornale).

Quando, verso la fine di quel davvero benedetto ’96 (che ribadisco essere stato l’anno di una finalmente, da ultra cinquantenne, guadagnata consapevolezza), di nuovo Ferrara – al quale ovviamente debbo la assolutamente bene accetta definizione di ‘Gran Pignolo’, con le iniziali maiuscole – divenne in aggiunta Direttore di Panorama, mi propose di tenere una analoga rubrica anche sul settimanale in cui evidenziare gli errori commessi dal concorrente L’Espresso: la intitolammo ‘The Other Place’, che è il modo in cui le Università di Oxford e Cambridge alludono l’una all’altra, senza mai nominarla.

All’Espresso impazzirono.

Cercarono in ogni modo di individuare errori in quello che scrivevo, ovviamente senza riuscirci: come noto, io non sbaglio mai. 

L’unica volta che commisi un errore – scrissi, lapsus calami, a proposito di Dionigi il Piccolo ‘Sciita’ quando era ‘Scita’ e cioè della Scizia nulla avendo a che fare il desso con l’Islam, fra l’altro ai suoi tempi di là da venire – non lo notò nessuno, e fui poi io stesso a correggermi” (a Simone Furfaro). 

“Il più facile da colpire e insieme il più lamentoso tra le ‘vittime’?

Enzo Biagi, bersaglio davvero facile, visto che scriveva sbagliando praticamente ogni riferimento (cosa imperdonabile tanto che alla sua dipartita gli ho dedicato sul Giorno un feroce ‘contro coccodrillo’), ha fatto invano di tutto per convincere Ferrara a non farmi più scrivere. 

Il migliore, Indro Montanelli: dopo le Presidenziali USA del 2000, commise un errore storico. 

Glielo segnalai dicendogli di tenere per sé quanto gli scrivevo. 

Fece il contrario sostenendo che altrimenti i lettori non avrebbero saputo come stavano le cose. 

Ne scrisse sul Corriere citandomi, affermando che mi leggeva sempre con piacere e lodandomi” (a Gianni Barbacetto).

Seguirono numerosissime collaborazioni con i principali quotidiani e periodici italiani (per breve tempo il Corriere della Sera, e poi a lungo la pagina culturale del Giornale – “magnifico e duraturo il mio rapporto con Mario Cervi” – sulla quale apparvero esattamente quattrocento articoli sotto il titolo ‘Sale, Tabacchi e…’ e ancora La Stampa, Il Tempo, La Gazzetta dello Sport di Pietro Calabrese, Il Sole 24 Ore di Ferruccio de Bortoli, Quotidiano Nazionale, Libero e prima il Borghese di Vittorio Feltri, Oggi, Vanity Fair, Gente, Capital, il prestigioso mensile Studi Cattolici, eccetera) e, per quanto riguarda la Svizzera, ultra decennalmente, con soddisfazione essendo stato il primo quotidiano sul quale proprio in terra elvetica aveva scritto Piero Chiara, sul Giornale del Popolo di Lugano.

Parallelamente, ha anche collaborato con trasmissioni televisive e radiofoniche della RAI e della RSI (la Radiotelevisione Svizzera), in veste ora di ospite, ora di consulente storico, documentarista sceneggiatore, commentatore delle campagne elettorali e delle elezioni statunitensi (che segue costantemente anche per la prestigiosa Fondazione Italia/USA), responsabile della stesura e della correttezza delle domande della trasmissione condotta da Amadeus ‘Quiz Show’ (Rai 1) e molto altro ancora.

Dal 1999 al 2020 ha ininterrottamente organizzato e condotto a Varese, dapprima su invito del Comune e in seguito autonomamente, ‘I Salotti di Mauro della Porta Raffo’, serie di pubblici incontri ai quali sono intervenuti ben più di duecentocinquanta personaggi di rilievo del panorama artistico-culturale non solo nazionale, ‘Salotti’ purtroppo venuti a cessare a causa della epidemia Covid e della conseguente chiusura definitiva del Caffè Zamberletti, che li aveva lungamente ospitati.

“Mi è dispiaciuto, perché in quel luogo si coglieva una continuità di pensiero che era iniziata negli anni Cinquanta con il Caffè Cavour – dove a volte andavo con mio Padre – locale dagli interni vellutati, con lumi discreti sui singoli tavolini, i separé, e già all’epoca la presenza di personaggi notevoli. 

L’idea dei ‘Salotti’ fu di Giuseppe Armocida, che nel 1999 era Assessore alla Cultura in città. 

All’epoca era in atto un collegamento tra il Comune e il ‘Premio Chiara’, e Armocida mi chiese se potevo organizzare degli incontri con personaggi da legare alla manifestazione letteraria, soggetti che avrei invitato io. 

Quando ci fu la rottura con i responsabili del ‘Premio’, fu ancora lui a chiedermi di continuare con i ‘Salotti di Mauro della Porta Raffo’, che si dovevano tenere a Villa Mirabello. 

Il primo fu con Vittorio Feltri, poi toccò a Paolo Liguori, ma per proseguire dovemmo spostarci, perché nel salone erano in programma dei lavori. 

E così andai da Angela Zamberletti, proprietaria del Caffè omonimo situato in corso Matteotti, centro del centro cittadino, che accolse immediatamente questa proposta con grande generosità. […] 

Ci sono stati Salotti dove la gente era giù per strada perché non c’erano più posti in sala, per esempio quando è venuto Enrico Mentana. 

A volte facevi il pienone, a volte no. 

in una occasione, a Gavirate ho tenuto una conferenza sul futurista Bruno Corra davanti a una sola persona. 

Da quella volta mi sono detto che bisogna essere sempre pronti a tutto” (a Michele Mancino).

Nel 2013 ha ideato ‘Dissensi & discordanze’, semestrale pubblicato per qualche tempo in rete e con una limitata edizione cartacea, cui hanno collaborato “le migliori penne italiane e i più acclamati fotografi” (“Io stesso non sono affatto male in quest’ultima veste, l’ho scoperto usando a tal fine il cellulare”).

Autore di assolutamente oltre trenta libri tra raccolte di racconti e saggi, per lo più monografie sugli Stati Uniti o su personaggi illustri legati a Varese.

Con ‘La prima squadra non si scorda mai. Confessioni pubbliche di tifosi d’alto bordo’ (Marna 2004), scritto insieme a Luca Goldoni (“uno dei miei amati ‘fratelli maggiori’, che, quasi novantatreenne, mi ha recentemente indirizzato un prezioso “Ricordo quando nei nostri viaggi guidavi, io facevo mille domande e tu mi spiegavi il Mondo’”), è stato finalista al ‘Premio Bancarella Sport’ nel 2005. 

Quattro anni dopo, per le sue posizioni ‘controcorrente’ ha vinto il Premio Luca Hasdà, riconoscimento massimo per un antico Liberale.

Venendo a momenti vicini, nel 2017/18, ha scritto e a settembre del citato 2018 pubblicato il Dizionario Enciclopedico ‘nel mentre il tempo si va facendo breve’ (titolo interamente minuscolo, così come tutto il testo) la cui seconda edizione, ampliata e illustrata (sulle tremila pagine), è disponibile dall’1 gennaio 2022 esclusivamente online.

‘Usa 2020. Tracce storico-politiche e istituzionali’ è stato invece proposto nel cartaceo dalle Edizioni Ares nel 2020.

Mentre ‘Storia politico-istituzionale degli Stati Uniti d’America e cronaca della campagna elettorale 2020’ (anch’esso di pressoché tremila pagine, “definitive, per quanto riguarda la storia statunitense”), e ‘United States of America’ sono di prossima uscita.

Frequentissimi, inoltre, i suoi interventi a proposito di cose americane, ovviamente in specie negli anni elettorali, sul sito internet della Fondazione Italia/USA, di cui dal 2018 è Presidente onorario, italiausa.org, e sul suo sito personale maurodellaportaraffo.com, sul quale affronta ogni genere d’argomento.

“‘Non lasciando eredità nero su bianco, si privano gli altri di ciò che gli sarebbe più che utile. Prezioso’.

È questo il motivo che ti spinge ogni giorno a un bouquet di tue opinioni? 

‘È questo’.

La ricerca dell’immortalità?

‘È l’immortalità che cerca me’”. (Lodi) 

• Lunga militanza nel Partito Liberale Italiano.

“‘Facevo la terza liceo scientifico. 

Calzoni corti, mi piace dire.

Un mio compagno, Sergio Puerari, aveva un debole per la politica. 

Gli confessai d’averlo anch’io. 

Butto lì: presentiamoci alla sede del Partito Liberale, in via Bernascone, primo piano. 

Detto e fatto, venimmo subito arruolati’…

La tua carriera fu rapida… 

‘Senza che io spingessi per farla. 

Mi ritrovai Vicepresidente dei Giovani, con Federico Norsa (un ‘mago’ e maestro quanto alle alchimie e manovre partitiche) leader…

Poi feci il salto in occasione delle elezioni comunali del ’70’.

Quanti i voti raccolti? 

‘Centotrentasei: una cifra più che accettabile, tenuto conto del seguito del partito e che ero all’esordio. 

Piero Chiara (l’ottimo narratore luinese, che avevo scoperto essere il leader varesino del PLI, amico di mio padre e che conoscevo da sempre), apprezzato il risultato, mi fece Segretario Cittadino  e in seguito suo Vice Provinciale sul campo. 

Cominciai a passare intere giornate con lui in via Bernascone. 

Rispetto alla prima volta, era cambiato il piano dove era la sede: era passata al quarto’.

Molto discutere… 

‘E molto giocare a carte, parlare di letteratura, ottenere il privilegio dell’ascolto degli inediti di Bruno Lauzi, poeta e cantautore, liberale pure lui e allora residente in città’” (Lodi). 

“Quanti ebbero per tutti gli anni Sessanta e larga parte dei Settanta modo di frequentare gli uffici di via Bernascone, benchè mai invitati a partecipare essendo il confronto rigorosamente riservato, si trovarono in ogni occasione ad assistere a vere e proprie maratone di scopa d’assi a due’ (delle quali scriverà Egidio Sterpa raffrontandole con quelle combattute in altri tempi a Roma nella sede nazionale del Partito in via Frattina tra Manlio Lupinacci, Augusto Guerriero, Panfilo Gentile, “veri perditempo liberali”, e una volta, mancando ‘il quarto’, Indro Montanelli arrivato per iscriversi, coinvolto e andato infine via senza farlo, in un saggio breve dedicato alla storia del PLI), cui – nel frattempo, mosso verso altri lidi e successi Lauzi – davamo vita Piero Chiara e io. 

Furono per me quelli – per quanto incredibile ciò possa apparire ai poveri di spirito – anni di intenso apprendistato. 

Nessuno, apparentemente, lavorava. 

Tutti avremmo lasciato invece di noi grande traccia”.

In vista delle elezioni politiche del 1972, accettò di candidarsi alla Camera. 

“Quarantacinque giorni!

Tanto durava la lotta per la conquista dei voti di partito e soprattutto delle preferenze…

Presi un migliaio scarso di suffragi [non venendo eletto – ndr], e ne fui soddisfatto quasi quanto lo ero stato il giorno in cui mi era capitato di trovarmi sul palco di un comizio a Varese nientedimeno che con Giovanni Malagodi, il nostro mitico Segretario Nazionale. 

Tre anni dopo, in un momento nel quale il PLI ancora ‘teneva’, fui eletto Consigliere della Amministrazione Provinciale di Varese. 

Ma i giochi volgevano al termine.

Di lì a poco, obbligato proprio in ragione dei miei incarichi di politico e di pubblico amministratore a candidarmi nuovamente per la Camera dei Deputati in una temperie assolutamente negativa, pur ancora sostenuto da un consistente numero di elettori, mi trovai coinvolto in una delle peggiori débâcle del mio movimento. 

Era il 1976: finiva lì (anche se me ne sarei reso conto solo un paio di anni dopo) la mia vita ‘politica’, e cominciava in quel momento ad allentarsi il sodalizio che mi aveva unito a Piero Chiara, con il quale sempre più raramente mi sarei scontrato, carte in mano, a scopa d’assi nella sede del PLI di via Bernascone. 

Non molto tempo ancora, e in città il caffè Centrale e il bar Pini – laddove ci eravamo altresì affrontati e, come si conviene a due avversari, pesantemente insultati con le stecche da biliardo in mano – avrebbero chiuso i battenti”.

Passarono molti anni prima che si lasciasse di nuovo tentare dalla politica.

Nel settembre 2005 – il Corriere della Sera ne parlò in prima pagina per la penna di Francesco Verderami – annunciò a sorpresa l’intenzione di proporsi alla guida del Centrodestra Nazionale in caso di Primarie (poi mai tenute), e nel 2011 si candidò “per divertimento” a sindaco di Varese (“Chissà quanti altri mai aspiranti al ruolo in Italia con un nome e cognome lungo come o più del mio: Mauro della Porta Rodiani Carrara Raffo, era difatti scritto sulle schede?”) a capo di una lista civica – denominata ‘La Varese che vorrei’ – ottenendo, coerente con i risultati d’antan del suo vecchio PLI, il due e sessantaquattro per cento dei consensi. 

(Non va qui dimenticato il fatto che dalla ora ricordata esperienza è nata la Associazione Culturale Varesepuò – della quale è Presidente onorario – che si occupa ancora alacremente di Arte, Letteratura e Scienza).

Sempre molto attivo nella promozione di iniziative appunto culturali, nel 2016 è stato Presidente e coordinatore del Comitato Cittadino per l’organizzazione delle manifestazioni dedicate al Bicentenario dell’elevazione di Varese al rango di Città (1816-2016), e, in virtù del suo indefesso impegno teso a far conoscere e valorizzare i luoghi e i protagonisti dell’Alto Varesotto, nel settembre 2020 è stato proclamato Ambasciatore di Luino nel mondo, accadimento che molto lo ha onorato. 

Non va poi dimenticato che dal 2019, in ufficiale rappresentanza della Regione Lombardia, fa parte del Consiglio direttivo del Museo Bagatti Valsecchi di Milano.

Volendo, che dal 2021 è altresì Cintura Nera di judo ad honorem.

Nonostante i postumi del Covid-19 non abbiano ancora del tutto abbandonato il suo corpo, continua tuttora indefessamente a scrivere, curando anche di aggiornare e ampliare quanto già pubblicato (da ultimo – come sopra riportato – ha licenziato la seconda edizione del suo ‘dizionario enciclopedico’ rendendola peraltro gratuitamente scaricabile dal suo sito internet). 

Nel giugno 2021, in seguito alla rinuncia di Roberto Maroni, ha ricevuto dal centrodestra una proposta di candidatura alla carica di Sindaco di Varese in vista delle successive elezioni comunali. 

“L’ipotesi – che, come ho subito dichiarato, molto mi onorava – ha preso piede in qualche modo incredibilmente, essendo io assolutamente indipendente e notoriamente ben poco condizionabile. 

Ma non sono infine queste le caratteristiche di un vero intellettuale di destra, di un individualista?”. 

Tuttavia, dopo aver attenta valutazione, ha infine declinato l’offerta, per considerazioni legate all’età e ai non pochi problemi di salute, rispetto ai quali sarebbe risultato eccessivamente gravoso l’impegno richiesto non solo in fase di campagna elettorale, ma soprattutto in seguito alla “assolutamente certa (vincerei) entrata in carica.

Profondo ora e certamente nel tempo il dispiacere: non mi sarà possibile operare nel ruolo per la ‘mia’ Varese. 

Assicuro che, se richiesto, darò al nuovo Sindaco ogni collaborativo aiuto”. 

Nell’ottobre successivo, il Centrodestra perse al secondo turno le elezioni, a favore del sindaco uscente Davide Galimberti (Partito Democratico).   

Accantonato, almeno per il momento, anche l’ancor più ambizioso progetto di candidarsi alla Presidenza della Repubblica, nonostante alcuni autorevoli appelli in tal senso. 

(Si tratta di una candidatura unica e straordinaria. Averlo Capo dello Stato sarebbe un’esperienza assolutamente spettacolare.

Gaffeur e ignoranti sarebbero inchiodati alle loro gravi responsabilità. 

Ogni errore di storia e di sintassi sarebbe punito severamente”, Mauro Mazza.

“Un Presidente è patriota se la sua cultura fa onore alla straordinaria ricchezza della Patria in ogni forma d’arte. 

È patriota se ha dato alla sua vita un tratto da imitare, un rigore morale da uomo non da santo, un esempio di attivismo utile al prossimo. 

Virtù elementari da spendere nel quotidiano per tutti gli Italiani senza impedirsi di continuare a indirizzare agli amici storie, informazioni, pignolerie. 

Dico ai mille elettori: votate Mauro della Porta Raffo, fate i patrioti una volta almeno nella vita. 

Nel primo discorso da eletto ci spiegherà cos’è un patriota. 

Dagli altri concorrenti non l’ho capito”, Italo Cucci).

– “Esiste la possibilità”, mi chiedo, “di una nuova avventura politica? 

Certamente, sarei (sarò!) un Presidente della Repubblica con fiocchi e controfiocchi.

Userei (userò) per la bisogna in campagna (il primo a farla con l’intento di approdare al Quirinale) lo slogan che benissimo indica quello che penso, nel bene, chiedendo consensi, e nel male, degli elettori: ‘Eleggetemi, e non vi farò votare mai più!’”

(È a questo riguardo assolutamente d’accordo col vecchio Adlai Stevenson che, in corsa per White House nel 1952, in una pubblica circostanza, terminato che ebbe di parlare, fu avvicinato da una sostenitrice che gli disse che tutte le persone intelligenti lo avrebbero certamente votato per sentirsi opporre uno sconsolato, terrificante e verissimo “Non basterà, Signora. Occorre la maggioranza”).

• Definisce Piero Chiara “mio antico Maestro di politica, di gioco, di donne… di vita”.

• Cattolico praticante, non poco tentato dal ‘Sedevacantismo’ (posizione fortemente critica conseguente una supposta irregolarità nella nomina dei successori di Pio XII, ultimo Papa legittimamente eletto), considera papa Francesco “un sociologo di quarta categoria” estremamente pericoloso per la Cattolicità.

“Lo Spirito Santo nella storia della Chiesa si è già sbagliato tante volte, ma questa rischia di essere la più devastante”.

• Sposato dal 1969 con Silvana Pacchioni, detta Sissi, due figlie, Alexandra (“sarebbe Alessandra, ma Rudolf Nureyev, con cui da adoratrice ed amica lavorò, la chiamava ‘Alexandra’, e da allora usa quel nome”) e Federica (“felicemente coniugata con Gabriele, che considero un terzo rampollo”) madre degli abiatici Giulio e Tommaso, “che sono la mia gioia, e a cui cerco di insegnare tutto” (essere considerato un Nonno eccezionale è alla fine il massimo apprezzamento al quale aspira!)

“Come hai conosciuto tua moglie? 

‘Giocando. 

Eravamo bambini, casa di comuni amici a Sant’Ambrogio’.

Sempre insieme, da allora in avanti? 

‘No. 

Ci reincontrammo anni dopo. 

Fu decisivo il cinema, per accendere la scintilla’.

Cioè? 

‘Vedemmo insieme ‘Più micidiale del maschio’, anno 1967, mese di marzo, giorno il 4. 

Film diretto da Ralph Thomas con Richard Johnson, Elke Sommer, Sylva Koscina. 

Lo davano a Masnago, al Vela’.

E prendeste il largo… 

‘Vento favorevole, navigazione lunga.

Dura tuttora. 

Per fortuna mia e per merito principale se non assoluto di Sissi, che con molta grazia mi sopporta’”. (Lodi).

• Grande e antica passione per la Storia politico-istituzionale degli Stati Uniti d’America e in particolare per il loro sistema elettorale, soprattutto – ma non solo – quello presidenziale: da molti anni è infatti ospite fisso, quale consulente di Bruno Vespa, delle puntate di ‘Porta a Porta’ dedicate alle varie elezioni statunitensi.

“Quando scattò il tic d’affezione? 

‘Quando mio Padre portava a casa i giornali del pomeriggio, che allora, per via del fuso orario, bruciavano i quotidiani del mattino recando i risultati delle Primarie americane. 

Il Corriere d’Informazione, La Notte, Il Corriere Lombardo, anche Stampa Sera.

Di che epoca parliamo? 

‘Inizio anni Cinquanta. 

Votazioni del ‘52.

Leggevo dell’efficienza di quel sistema elettorale, del fatto che la durata d’un Governo americano corrispondeva a quella di otto Governi italiani, e di tante personalità storiche d’assoluto livello. 

E ne fui affascinato. 

Vi contribuì, è ovvio, anche l’approfondimento tramite libri. 

Ne ho almeno trecento, sull’argomento’…

Degli Stati Uniti sai tutto, ma non ci sei mai andato. 

Bel paradosso… 

‘Logica assoluta. 

Mi piace come si scelgono il loro capo e quant’altro gli ruota attorno per governare la Nazione.

In genere, le basi ideologiche, le oramai antiche (quella USA è la più ‘vecchia’ Costituzione tuttora – e assolutamente nel caso – in valida funzione) fondamenta politico istituzionali giuridiche che devono ai Founding Fathers. 

Non mi piacciono usi e costumi dei governati. 

Non vivrei mai nella società americana. 

Tranne, forse, che in un posto, che potrei almeno visitare’.

Quale? 

‘Omaha, nel Nebraska’.

Motivo? 

‘Vi sono nate celebrità come Fred Astaire, Montgomery Clift, Marlon Brando, Nick Nolte, Max Baer, Gerald Ford, Malcolm X, Warren Buffett, Andy Roddick e via ecceterando. 

Non c’è film importante in cui non accada qualcosa a Omaha o alla città si alluda.

Una delle più diffuse specialità di poker si chiama così.

E non per caso una delle spiagge in Normandia dove avvenne lo sbarco nella Seconda Guerra Mondiale fu battezzata Omaha. 

Se dovete far nascere un figlio in America, trasferitevi lì per dargli i natali’” (Lodi).

• Gran divoratore di libri. 

“Quanti ne hai letti? 

‘Ottomila, novemila’.

Archiviandoli in un rintracciabile deposito del sapere… 

‘Rintracciabilissimo. 

La mia memoria è una biblioteca aperta’.

Fino a quando è durato l’amore per il romanzo? 

‘Fin che c’è stato Hemingway, direi. 

Morto lui, basta. 

Esagero, ma non poi tanto’.

Romanzi e racconti a parte, che altro da privilegiare? 

‘Restando agli scritti (e non dimenticando il bel periodo della iniziale frequentazione universitaria milanese, nel quale la passione per il teatro come spettatore e cultore mi prese), la giallistica americana, il Noir di sicuro. 

Dashiell Hammett e Raymond Chandler in cima alla graduatoria’” (Lodi).

“Quando ho una passione, compro tutti i libri su quell’argomento e li leggo uno per uno, perché a me interessa la conoscenza. 

Mi ispiro a Seneca: io voglio imparare. 

Mi interesso alla cultura dell’uomo in qualsiasi modo sia espressa, e poi ho una memoria straordinaria, che per me è come dire che uno ha gli occhi azzurri (e tra l’altro li ho).

La mia è una visione della cultura globale, non parcellizzata. 

Sono così”.

• Non meno grande la passione per il cinema, germogliata anch’essa in tenera età.

“‘Il motivo fu curioso. 

Mio Padre Manlio (come detto, Direttore dell’Ente Provinciale per il Turismo), organizzò a Varese dal ’53 al ’55 gli ‘Incontri Internazionali sul Cinema’. 

L’Anicagis, Ente cui facevano capo i gestori delle sale di proiezione, gli regalò una tessera gratuita per due persone. 

Poteva entrare nelle sale cinematografiche dove gli pareva. 

Cominciai a usarla io, portando mio fratello (Annamaria, la sorellina, nacque nel 1956)…

Avevo nove, dieci anni. 

Lui quasi quattro di meno. 

Frequentavamo i cinema varesini nel primo pomeriggio. 

Non c’era praticamente nessuno, salvo maschere e cassiere’…

Che vedevate?

‘Western e Commedie. 

Roba americana. 

La mia passionaccia. 

Non di mio fratello, che difatti dopo un po’ si stufò di farmi compagnia. 

E, trascorso un non lungo periodo nel quale mi portavo appresso un compagno di classe (Franco Arnaldi, lo ricorda ancora), iniziai la carriera di spettatore solitario, pluridecennale, bisecolare e gratificante’.

Perché Western e Commedie? 

‘Fascino d’un mondo allora d’avanguardia.            

Il Western significava voglia d’avventura, vittoria, potenza.

Era una scelta politica.

Gli USA, suo tramite, trasmettevano un voluto messaggio di rassicurante forza. 

Idem la Commedia: ti mostravano il meglio del bello: donne bionde, case modello, piscine, elettrodomestici moderni. 

Un attrattivo segnale di prevalenza economica’…

Dopo l’amore per l’America, quale altro? 

‘Per la Francia, sul grande schermo. 

Cinema in grado di raccontare e cogliere il particolare rivelatore d’un sentimento. 

Qui, un nome, lo faccio: Claude Sautet, straordinario regista e sceneggiatore.

Disse di lui François Truffaut: il suo cinema è la vita. 

E tanto basti’…

Veniamo in Italia? 

‘Eccoci qua. 

Per confermare che siamo stati Maestri nella Commedia. 

Dino Risi – successivamente, un caro amico il cui tratto era la denuncia essendo straordinario nel velare rappresentandolo il dramma del vivere (cos’altro è ‘Il sorpasso’ se non una tragedia) dei singoli e le carenze della società – come Mario Monicelli, Pietro Germi, Ettore Scola. 

Tutti fuoriclasse, bravi a creare una tradizione, un seguito, un futuro. 

Pur se non di quel medesimo, regale segno intellettuale’” (Lodi). 

“Il film della sua vita? 

‘La famiglia’ di Ettore Scola. 

Mi ricorda la casa dai corridoi lunghi dove viveva con gli otto figli mio Nonno paterno (vedo che cito sempre i Nonni e salvo un caso mai le Nonne, accidenti!) in via Calabria 32, a Roma. 

L’ultima volta – durante una breve sosta nell’Urbe, in cui avevo noleggiato un’auto con guidatore – ho chiesto all’autista di portarmici. 

Ho sostato davanti al portone’.

Poteva salire. 

‘Mai tornare nei luoghi dove si è stati felici’” (Lorenzetto).

• In ambito musicale (ha trascorsi giovanili di conto quale amante della Lirica e del Jazz), definisce Rod Stewart ‘il mio cantante-mito’, per assistere a un cui concerto – pur generalmente riluttante al viaggio (“Non m’è mai piaciuto. Lo trovo inutile. Vai in un posto e sai già tutto prima d’arrivarci. Che senso ha? Peggio: rischi la delusione”) – si recò persino a Berlino, quando un caro e giovane amico purtroppo poi tragicamente scomparso, al corrente della sua passione gli regalò un biglietto per l’evento in occasione del suo settantesimo compleanno. 

“‘Rhythm of My Heart’, ‘Forever Young’, ‘I Don’t Want to Talk About It’, ‘Sailing’, la… magnifica ‘Grace’… quasi due ore di qualcosa che è molto più di uno spettacolo, e sempre al massimo possibile livello. 

Sul palco, all’Arena di Verona come all’O2 di Berlino o in qualsiasi altro teatro o spazio nel mondo, nessun Paese escluso, incanta, trascina, commuove… 

Ogni volta, seguendolo, aspetto quel preciso, magico momento nel quale sentirò, è certo, una voce interiore dirmi: ‘Tranquillo, Rod Stewart ci salverà!’”.

• Trascorsi giovanili da nuotatore (“Fin da ragazzino ho amato l’acqua e l’ho praticata a discreto livello”).

Frustrate dalla miopia, invece, le notevoli ambizioni da pugile (“Sarei stato un ‘falso guardia destra’ in grado di manovrare molto bene il ‘jab’, certamente di classe”).

• Da spettatore, scarso interesse per il calcio, con poche eccezioni: il Varese soprattutto negli anni Sessanta e, ancor oggi, “una passioncella per la Lazio”, dovuta a ragioni familiari (“Un mio lontano zio fu tra i primi sostenitori del club, nel 1900. E vi giocò pure. Si chiamava Mario Raffo”).

Più intensa, ma anch’essa ormai confinata al passato, la passione – “da varesino, ricordando la mitica Ignis” – per la pallacanestro. 

Tuttora vivissime, invece, quelle per il tennis e il ciclismo, “argomenti sui quali (come per la verità su infiniti altri) so tutto”.

• Pur non essendo per sua stessa ammissione un grande scacchista (“Imparai da mia Nonna materna a tre anni, e in verità non sono mai stato più che mediocre”), per una circostanza fortuita, tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta (momento nel quale è altresì attivissima guida della Gioventù Musicale cittadina) ricoprì la carica di presidente del Circolo Scacchistico Città di Varese. 

“Succede che nel 1968, quando sono Direttore dell’Azienda Autonoma di Soggiorno, vengono da me quelli del Circolo degli Scacchi e mi chiedono la disponibilità di uno spazio. 

Sono tanti, perché il gioco vanta in città storici precedenti:.. il 20 settembre 1920 gli scacchisti di tutt’Italia si radunarono qui, deliberando di costituire la Federazione Nazionale’.

Dunque i varesini ti domandano ospitalità… 

‘E io gliela concedo. 

Avrebbero potuto usare per qualche sera alla settimana il salone superiore della palazzina di viale Ippodromo, sede di rappresentanza dell’Azienda…

Intesa raggiunta, con sorpresa finale: … il conferimento della Presidenza al sottoscritto. L’avrei tenuta fino al ’74. 

Sicché ebbi l’onore d’essere al vertice locale quando si celebrò, nel ’70, il Cinquantenario della Federazione Scacchistica Italiana, che aveva avuto la prima sede nell’attuale corso Matteotti’” (Lodi).

Del resto, per sua iniziativa – causa Covid con un anno di ritardo e pertanto nel 2021 – il Comune di Varese, lui relatore e conduttore, presenti i componenti la squadra del Circolo ammessa alla serie di eccellenza nazionale, ha ufficialmente ricordato il Centenario.

• Più curiose altre passioni. “Come fa a conciliare la venerazione per Giovanni Malagodi con quella per Emiliano Zapata?            

‘Amo chiunque difenda la Libertà. 

In Messico fu combattuta l’ultima rivoluzione non utopica, per tornare a un passato che per i contadini del Morelos di Emiliano aveva funzionato.

Alla ‘curandera’ che lo scongiurava di non recarsi nel luogo dove l’avrebbero ucciso, Zapata rispose: ‘Se mi ammazzano, è un bene. 

La rivoluzione ha bisogno di martiri!’”… 

Stravede anche per Cavallo Pazzo. 

“Colpito con una baionettata alla schiena, steso su un tavolaccio, il capo Sioux Lakota ottenne dai soldati americani il permesso di vedere il Padre Bruco e il cugino Tocca le Nuvole. 

Le sue ultime parole furono: ‘Padre, dì al popolo che non può più contare su di me’.            

Mi commuovo ogni volta…’ (Gli occhi gli si riempiono di lacrime). 

“Quanto agli uomini politici e al coinvolgimento, ho pianto irrefrenabilmente alla notizia della morte di Charles De Gaulle. 

Enorme (‘Quando voglio sapere cosa pensa la Francia lo chiedo a me stesso!’) e quanto è giusto quello che disse Mario Vargas Llosa ricordando i suoi anni parigini: ciò che più gli mancava erano le conferenze stampa del Generale, di assoluto livello anche e perfino dal punto di vista attoriale”.

Chi altro c’è nel suo pantheon? 

‘Oscar Wilde, intellettuale e genio quasi senza pari. 

Seneca, che visse fino alla fine per imparare (“Voglio saperlo quando morirò”, ebbe il filosofo a replicare ad un amico che, sapendo che da lì a poco si sarebbe suicidato per ordine di Nerone, gli chiedeva conto del desiderio esternato di imparare ad eseguire un’aria suonata da un appena ascoltato musico e a lui fino a quel momento ignota), come si conviene. 

Giovenale, acutissimo (“Gli altri possono perdonarti. Tu sei capace di perdonare te stesso?”).

E Giuliano l’Apostata. Cultura illimitata’” (Lorenzetto). 

• MdPR è un “Raffinato erudito da Ancien Régime” (Pierluigi Panza) e di lui, tra i mille, hanno scritto e detto:

“La storia del giornalismo italiano è divisa in due parti: prima e dopo l’arrivo di Mauro della Porta Raffo” (Antonio Di Bella). 

“Al Genio della Lampada, esprimendo il mio massimo desiderio, chiederei di avere la cultura di Mauro della Porta Raffo” (Antonio Padellaro).

“Chi è davvero Mauro della Porta Raffo? 

Un giornalista? Un intellettuale? Uno storico? 

È come un prisma, lo scopri sempre in una luce diversa, ma con una costante: è un rompiballe, uno che non le manda a dire…

È il rompiballe colto, puntuale, documentatissimo, che sa fare le pulci a una categoria, quella dei giornalisti, piuttosto di manica larga riguardo alla verifica delle fonti, soprattutto storiche, e propensa al ‘copia e incolla’…

Il grande merito di Mauro della Porta Raffo è stato, come capita a tutte le persone di temperamento, di non accodarsi e di sfidare l’establishment giornalistico, denunciando puntualmente errori che una stampa seria non dovrebbe commettere.

Il miracolo è che uno come Mauro non è finito ai margini, ma, grazie al gusto della provocazione intellettuale di Giuliano Ferrara, è assurto a pubblico censore dei giornalisti, che per anni si sono sforzati di controllare meglio date e citazioni, non tanto per servire il lettore, ma nel timore di venire citati dal Gran Pignolo…

Un timore che, sia chiaro, avevo anch’io. 

Quando nel 2006 pubblicai il mio primo saggio ‘Gli stregoni della notizia’, ad angosciarmi non era il giudizio del pubblico, ma quello di Mauro. 

Pensavo: chissà cosa troverà… 

E quando, un giorno, ricevetti una sue telefonata in cui mi comunicava di aver trovato una sola imprecisione e che il libro gli era piaciuto assai, iniziai a rilassarmi. 

Avevo ottenuto il bollino di garanzia, quel ‘MdPR’ che nelle redazioni equivale al miglior certificato di autenticità.

Potere di un solo uomo. 

Potere di un indispensabile rompiballe” (Marcello Foa).            

“Quando uno pensa a un uomo originale, fatica a trovarne un campione nel nostro tempo…

Tra le persone sicuramente tali c’è Mauro della Porta Raffo, uno scrittore, un poligrafo, che nella sua lunga vita si è occupato di tutto quello di cui non si occupava nessuno…

Riesce a rappresentare quello che ad altri è sfuggito, trovando le cose stravaganti, capricciose, e raccontando anche la Storia. 

Ogni volta che l’ho letto e ogni volta che mi sono occupato di lui ho visto nella sua impresa l’ultima testimonianza dell’Enciclopedismo Settecentesco…

La visione di Mauro della Porta Raffo è una visione d’insieme, una visione in cui i particolari fanno l’universale, e in questo senso quello che per altri è un sapere diviso, in lui è un sapere universale. 

Questo caratterizza l’ultimo spirito enciclopedistico del nostro tempo” (Vittorio Sgarbi).

“Quello che dice Sgarbi è vero: ho la ‘visione globale’”.

• “Che cosa le piace del mondo di oggi? 

‘Che domanda, ragazzi! 

Salvo solo la tecnologia. 

Per il resto, l’uomo è sempre uguale e pertanto mediocre’.

E che cosa rimpiange del mondo di ieri? 

‘La verve. 

Adesso i giovani stanno muti davanti alle slot machine, ai computer, come automi. 

Una volta, nei caffè, in giro, il prete giocava a carte col peccatore, l’avvocato col giudice e questi, a volte, con l’imputato.

Ognuno diceva la sua, uscivano battute formidabili. 

Perché crede che il cabaret sia morto? 

Il gioco era un esercizio collettivo. 

Capitava che durante una partita, in un locale, carte in mano, Piero Chiara dicesse a uno spettatore: 

‘Va’ a pisciare per me, ché io non posso’. 

È finita la creatività. 

Sono rimasto solo io’” (Lorenzetto).

• Dice di sé: 

“Da sempre studia con passione ogni giorno, sperando (e gli manca ben poco!) di arrivare al livello di conoscenza a suo tempo raggiunto da Adalbert Pösch, il maestro ebanista del giovane Karl Popper, che poteva tranquillamente sfidare l’allievo dicendogli: 

‘Mi chieda pure quello che vuole. Io so tutto (Ich weiss alles)’”. 

“In conclusione, al di là di ogni finzione (come detto, l’esergo del mio sito recita ‘L’umiltà e la modestia sono gli unici difetti che non ho!’), detengo tre primati assoluti.           

Sono l’individuo più stonato mai venuto al mondo.

Sono stato il peggior giocatore di calcio di tutti i tempi.

La mia cultura è per unanime riconoscimento sterminata e unica.

Ebbene, i primi due sono tali e intangibili.

Al continuo, ininterrotto miglioramento del terzo lavoro con gioia ogni momento”.

Apparati:

Mauro della Porta Raffo 

Le radici familiari (naturale che, frequentando gli stessi ambienti ed ambiti, le medesime scuole, i Circoli e le istituzioni, le Famiglie nobili romane si imparentassero):

– i della Porta Rodiani Carrara 

originano dai Savelli, famiglia patrizia della Roma antica che rivendica tra gli ascendenti l’eroe troiano Enea risalendo pertanto al mitico (per i Greci, gli Etruschi e i Romani stessi) Dardano.

Uomo d’arme di spiccate capacità, nell’anno 798 dopo Cristo, Giulio Savelli fu inviato dal Senato Romano a Piacenza perché ne difendesse mura e porte.

Assunse allora il titolo di Signore di Castell’Arquato.

Arrivato colà nell’800 Carlo Magno (in procinto di essere incoronato nella Città Eterna da Papa Leone III Imperatore del Sacro Romano Impero, S. R. I.), lo nominò Conte della Porta.

Saranno i della Porta Savelli in Piacenza, dipoi in Como (il Palazzo Comunale cittadino, nella consistenza più antica, come ricorda una targa, era in origine loro) e Porlezza, rientrando infine in Roma nel 1527 al seguito di un Odescalchi, nobile Famiglia lariana alla quale si erano imparentati.

Nominati Patrizi Romani da Pio V, furono successivamente insigniti dei titoli di Conti e Baroni del S. R. I.

Con il trascorrere del tempo, per via matrimoniale ed ereditaria, aggiungeranno cognomi, casati e proprietà dei Rodiani e dei Carrara.

Tra loro, numerosi gli artisti di grande capacità, primo fra tutti l’immortale Giacomo della Porta, architetto eminente.

Non trascurabile poi, certamente, lo scultore cinquecentesco Guglielmo, in possesso a suo tempo del leonardesco Codice Leicester (o Hammer), oggi proprietà di Bill Gates.

– Ginevra Pfyffer von Altishofen, discendente del cosiddetto ‘Re degli Svizzeri’ Ludwig, Signore cinquecentesco lucernese, e sorella dell’allora Capitano delle Guardie Pontificie nella Città Eterna (ruolo frequentemente ricoperto in famiglia) è mia ava in quanto nonna di Enrico della Porta Padre di mia Madre.

– i Raffo hanno origini in quel di Chiavari laddove anticamente operavano come marinai avendo preso nome dalla sartia (nella parlata in acqua detta appunto ‘raffo’) che sulle barche manovravano.

Ebbero nel 1849 il titolo di Barone dall’allora Re di Sardegna Carlo Alberto e due anni dopo quello di Conte dal di lui successore nel ruolo Vittorio Emanuele II.

Si spostarono a Roma con Omero, mio Bisnonno paterno.

Tra loro, il fratello minore di mio Nonno Gino, Carlo, rugbista di valore assoluto, pluricampione italiano e nazionale, definito negli almanacchi “ala di grande potenza”.

– i Bontemps de Montreuil, Nobili e Conti Lorenesi presenti alle Crociate, si sono illustrati in Italia con Carlo (il cui busto è al Gianicolo), eroico capitano d’arma, mio Trisnonno paterno in quanto Padre di Corinna, sposa in Roma di Omero Raffo.

– mia Nonna paterna Luigia detta Gina, moglie di Gino Raffo, era una Zavagli Ricciardelli delle Caminate, Nobili di San Mauro di Romagna, suo cugino il grande designer René Gruau.

– mia Nonna materna Giorgia detta Giorgina Giorgi, moglie di Enrico della Porta, era di nobile famiglia arrivata dall’Albania a Genazzano seguendo l’immagine della Madonna Nera che cercava rifugio e là trovò per sfuggire agli invasori turchi musulmani.

Mauro della Porta Raffo,

tra gli anni Sessanta e Settanta ha ricoperto i seguenti incarichi politici nell’ambito del Partito Liberale Italiano (P. L. I.) naturalmente partendo dalla Gioventù Liberale (G. L.) alla quale si era iscritto nel 1961 e fino al 1978, anno del ritiro dalla politica attiva:

– Vice Presidente cittadino G. L. a Varese

– Segretario G. L. a Varese

– Vice Presidente G. L. Regione Lombardia

– Vice Segretario della Sezione di Varese P. L. I.

– Segretario della Sezione di Varese del P. L. I.

– Vice Segretario della Sezione Provinciale di Varese del P. L. I.

– tre volte Delegato al Congresso Nazionale del P. L. I. 

Sempre nelle sue liste liberali, è stato Candidato:  

– al Comune di Varese nel 1970, non risultando eletto

– alla Camera dei Deputati nel 1972 e nel 1976, non risultando eletto

– all’Amministrazione Provinciale di Varese nel 1975 venendo eletto (da Consigliere Provinciale si è in seguito volontariamente dimesso nell’estate del 1978).

Ove si escluda la divertente candidatura come indipendente nel 2011 alla carica di Sindaco di Varese, il citato 1978 segna il suo abbandono della vita politica.  

Mauro della Porta Raffo,

il quale ha sempre considerato di impronta assolutamente intellettuale la responsabilità assunta a gennaio del 1968 di Direttore della Azienda Autonoma di Soggiorno di Varese (lasciata a fine settembre del 1974) ha in un tempo oramai lontano ricoperto i seguenti incarichi culturali:

– Presidente del Circolo degli Scacchi di Varese dal 1969 al 1974

– Presidente della Sezione di Varese della Gioventù Musicale d’Italia dal 1969 al 1974

– Consigliere della Università Popolare di Varese dal 1970 al 1974

– Consigliere dell’Ente Provinciale per il Turismo di Varese dal 1976 al 1978

– dal 2003 al 2007 è stato Presidente della Associazione UnicaMenteMusica 

– a far luogo dal 2011, dopo esserne stato ideatore e fondatore, è Presidente Onorario della Associazione Culturale Varesepuò, Società di Lettere, Arti e Scienze

– nel 2016, ha presieduto il Comitato cittadino per le celebrazioni del Bicentenario della elevazione a Città di Varese

– dal 2018, è Presidente Onorario della prestigiosa Fondazione Italia USA che si occupa in particolare di coltivare i rapporti culturali e di amicizia tra il nostro Paese e gli Stati Uniti d’America.

– dal 2019, Consigliere del Museo Bagatti Valsecchi di Milano in rappresentanza ufficiale della Regione Lombardia 

– nel 2020 è stato nominato Ambasciatore di Luino nel Mondo.

– il 18 dicembre del 2021 il Presidente della Federazione Nazionale Judo Domenico Falcone lo ha insignito del titolo di Cintura Nera ad honorem.

– Ha ricevuto dal Rotary la Paul Harris Fellow, la più alta onorificenza concessa dal club internazionale.

Mauro della Porta Raffo

– ha lavorato dal 15 gennaio del 1968 al settembre del 1974 come Direttore dell‘Azienda Autonoma di Soggiorno di Varese 

– dall’ottobre del 1974 a fine 1978 ha esercitato la professione di Patrocinatore Legale

– dal 1979 al 1981 si è speso quale venditore via telefono di enciclopedie a Lugano

– dal 1978, contemporaneamente alle predette e invero trascurate attività, ha giocato professionalmente d’azzardo

– da luglio 1981 a giugno 1988 è stato Agente di Varese e del Varesotto della Sapa Assicurazioni 

– dal luglio del 1988 al febbraio del 1991, Agente della Reale Mutua Assicurazioni a Como

– passato poi velocemente ad altre Compagnie, prima a Varese e infine a Milano, dal 1992 ha intrapreso l’attività di scrittore e saggista che tuttora (con lo studio al quale lunghe ore quotidianamente attende) con grande soddisfazione lo occupa.

Mauro della Porta Raffo, 

nelle vesti di sceneggiatore, ha realizzato per conto della R. S. I. (Radio Televisione Svizzera) due documentari:

– ‘Mal di gioco’, 1995, dedicato all’azzardo, al mondo che rappresenta e ai personaggi spesso se non sempre moralmente persi che lo frequentano

– nel 1996, in occasione del decennale della morte di Piero Chiara, ‘Sul filo della memoria’ allo scrittore luinese dedicato 

– quale Presidente della Associazione UnicaMenteMusica, nel 2004/2005, con presentazione alla Teatro Scaligero e successivamente al Covent Garden di Londra, ha prodotto ‘Rudolf Nureyev alla Scala’, eccezionale celebrazione (alla cui fattura ha messo sostanziale mano l’amico Dino Risi) della intera carriera (altresì a livello internazionale) del più grande ballerino e coreografo di tutti i tempi.

Opere pubblicate:

– Racconti e saggi

1999, Sale, tabacchi e…

2000, Un amico, un certo Piero Chiara

2001, Tato fuma

2002, Prendere la vita di petto e guadagnarci in salute. Memorie di uno scioperato

2003, Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un Presidente (già on line per il ‘Corriere della Sera’ nel 2000)

2003, Vecchi barbieri, antiche barberie

2004, La prima squadra non si scorda mai (con Luca Goldoni) finalista al ‘Premio Bancarella Sport 2005)

2004, I signori della Casa Bianca (già on line per il ‘Corriere della Sera nello stesso anno con il titolo Casa Bianca 2004)

2005, Dodici giorni in un’altra città

2005, I signori della Casa Bianca (seconda edizione ampliata e aggiornata)

2005, Piero Chiara 

2006, Eminenti Varesini

2006, Dieci anni di Pignolerie

2007, Mi dia del lei!

2007, C’è posta per Liala

2008, Albergo a ore (romanzo breve, già proposto nel 2004 a puntate su ‘Il Giorno’)

2008, I film della nostra vita

2009, La volpe rossa

2010, Il continente della speranza? Storia e storie dell’America Latina 

2011, La vita come viene (edizione fuori commercio)

2011, Americana (edizione fuori commercio)

2011, Pignolerie 1996/2009 (edizione fuori commercio)

2011, Varesini. Non solo Piero Chiara (edizione fuori commercio)

2012, Figura e memoria del tempo presente (edizione fuori commercio)

2012, Varie ed eventuali (edizione fuori commercio)

2012, USA 2012 (edizione fuori commercio)

2013, White House 2012 – Obama again (edizione fuori commercio)

2013, La Provvidenza divina e gli Stati Uniti d’America (edizione fuori commercio)

2013, John Kennedy (edizione fuori commercio)

2014, La vita come viene. L’opera letteraria 1993/2014 (edizione fuori commercio)

2014, USA 2016 (per ‘I Quaderni di Dissensi e Discordanze’ – edizione fuori commercio)

2015, Un quadrato e dodici corde (per ‘I Quaderni di Dissensi e Discordanze’ – edizione fuori commercio)

2015, USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna

elettorale del 2016 – libro primo (edizione fuori commercio)

2015, La terra ti sia lieve, amico mio (per ‘I Quaderni di Dissensi e Discordanze’ – edizione fuori commercio)

2016, USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna

elettorale del 2016 – libro secondo: approfondimenti (edizione fuori commercio)

2016, USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna

elettorale del 2016 – libro terzo: prima delle primarie (edizione fuori commercio)

2016, Un amico, un certo Bruno Lauzi (per ‘I Quaderni di Dissensi e Discordanze’ – edizione fuori commercio)

2016, Donald Trump, the Dark Horse (edizione fuori commercio)

2017, White House 2016. La figura del presidente: l’istituzione, l’ufficio, le persone. Come è andata a finire: l’esito elettorale in breve. Come si è svolta: la cronaca ragionata dal marzo 2015 (candidature, primarie, caucus e convention). L’election day e l’insediamento (edizione fuori commercio)

2018, ‘Dizionario enciclopedico’ intitolato ‘Nel mentre il tempo si va facendo breve’, prima edizione cartacea (fuori commercio)

2020, USA 2020

– Plaquettes

2006, Viacard

2007, Tre storie

2008, La casa, la vita

2010, Il terzo quarto, 1951/1975

2011, Ernest (1961/2011). In memoria

2012, La Città Bianca . Tre  giorni a Belgrado

2013, Varese, via Bernascone numero uno

2021, Dalla parte di Esaù (prima edizione cartacea)

2021, Americana, breve storia politico istituzionale degli Stati Uniti d’America 

– Fascicoli

2011, White House 

2016, Terra Gigantum

2016, Domande e risposte a proposito del sistema elettorale americano. Record, curiosità, numeri (il testo è stato pubblicato on line su ‘corriere.it’ sotto il titolo ‘Sai come funzionano le elezioni USA?)

– Riviste

dal 2013, ‘Dissensi e Discordanze’, on line e in edizione cartacea (il secondo numero

della rivista è stato dedicato alle due Coree; il quarto alla Svizzera; il quinto a Piero 

Chiara nel trentesimo anniversario della dipartita; il sesto, intitolato ‘Da Washington a Trump’, alla storia delle elezioni americane)

– Documentari

1995, per la RSI Radio Televisione della Svizzera Italiana, ‘Mal di gioco’, sceneggiatura

1996, per la RSI Radio Televisione della Svizzera Italiana, ‘Sul filo della memoria: Piero Chiara’, sceneggiatura

2005, per UnicaMenteMusica, ‘Rudolf Nureyev alla Scala’, produzione

Il testo ‘Fidel Castro come l’ho visto io’, elaborato in morte del ‘lider maximo’, è

stato pubblicato on line l’1 dicembre 2016 dal Corriere della Sera in ‘corriere.it

Il testo ‘Il Presidente degli Stati Uniti d’America. L’istituto, l’ufficio, le persone, le

personalità, le appartenenze politiche e partitiche, la storia insomma. In appendice, il Vice Presidente’, è stato pubblicato on line il 16 gennaio 2017 dal Corriere della Sera in ‘corriere.it

Essendo i tempi che la pandemia costringe a vivere dilatati, al di là di quanto sopra ottimisticamente vergato, ha divisato di proporre gratuitamente online nei suoi siti, a partire dall’1 gennaio del 2022, la seconda edizione decisamente ampliata del ‘Dizionario enciclopedico’ intitolato ‘Nel mentre il tempo si va facendo breve’.

Sono infine in elaborazione i saggi ‘Storia politico istituzionale degli Stati Uniti d’America e cronaca della campagna elettorale 2020’ e ‘United States of America’, che nel suo intento devono vedere la luce del cartaceo nel medesimo 2022.

È ad oggi infine on line e sarà presto in stampa la seconda edizione di 

‘Dalla parte di Esaù. Prendere la vita di petto e guadagnarci in salute’, 

pubblicata tenendo conto di due date vicine entrambe significative: 

il 17 aprile 2022, settantottesimo compleanno

e

il 28 aprile seguente, nelle cui ventiquattro ore cade il 28500esimo giorno dalla sua nascita.

Istruzioni per l’uso:

Conoscere se stessi 

Studiare 

Ricordare

Sapere 

Diffondere l’acquisita conoscenza sempre contestualizzando

Guardare costantemente allo stato delle cose 

Senza mai porsi inesistenti limiti

e

Invecchiare!

Le interviste 

L’ultima del Gran Pignolo: “Lancio una colletta per chiudere il Corriere” 

Il Giornale 

13 Dicembre 2009 

Stefano Lorenzetto 

per la rubrica ‘Tipi italiani’

Mauro della Porta Raffo: 

“Troppi errori! 

Studierò col mio notaio i dettagli della sottoscrizione. 

Vado a dare la mano nelle piazze: sono a sei strette da Napoleone”

Di sé dice che è nato a Roma nel 1944, “il 17 aprile, lo stesso giorno di Nostro Signore Gesù Cristo, se vuole posso documentarglielo”.

 In circa mezzo secolo di vita, aggiunge, la storica farmacia Maretti di Varese gli ha venduto cinquantunomila Cibalgine, perciò lo esonero dall’onere della prova. 

Gran testa, il Gran Pignolo. 

L’unica della quale ci si possa fidare anche quando è offuscata dall’emicrania con o senza aura.

Poiché l’intervista avviene di lunedì, stamane all’alba Mauro Maria Romano della Porta Rodiani Carrara Raffo Dandi Gangalandi Savelli era in preda alla più cupa disperazione. 

“Il parrucchiere è chiuso, dovrò radermi da solo con la lametta, mi scorticherò, sarà un bagno di sangue”, mi aveva preannunciato inquieto il giorno prima. 

Di norma il rito quotidiano, dalle 9.15 alle 9.45, è affidato ai barbieri Angelo, Vito o Cristina, nel salone di via Carrobbio, “la ragazza ha imparato così bene che due anni fa, per festeggiare la sua conquistata abilità, ho invitato tutt’e tre a pranzo nel ristorante Lago Maggiore, lo stesso dove portavo Giovanni Malagodi, segretario del PLI il quale fra una portata e l’altra cercava di vendere al proprietario il vino prodotto nella sua tenuta senese”.

Le giornate di Mauro ecc. della Porta ecc. Raffo ecc. – di qui in avanti solo MdPR per evitare il disboscamento dell’Amazzonia – cominciano alle 6.30, quando scende di casa ancora in pigiama, d’inverno col cappotto e d’estate con l’impermeabile, e va all’edicola di piazza Monte Grappa ad acquistare Prealpina, Corriere della Sera, Giornale, Repubblica, Stampa, Foglio. 

“Poi risalgo, metto su una pentola di tè e comincio…”.

Che cosa cominci a fare, ormai è noto: caccia all’errore, lettura critica, dissezione, sevizia, chiamatela un po’ come vi pare. 

Dopo che s’è fatto sbarbare, la scuoiatura dei giornalisti prosegue nel suo pied-à-terre dalle parti di piazzetta Liala, dal momento che persino la moglie, per quanto comprensiva, preferisce non averlo fra i piedi.

A portare alla luce il mostro fu l’ostetrico Giuliano Ferrara. 

“Nel 1996, appena uscito Il Foglio”, racconta MdPR, “cominciai a mandargli via fax correzioni quotidiane degli strafalcioni che mi capitava di leggere. 

L’Elefantino le pubblicava puntualmente. 

A un certo punto, più niente. 

Allora gli spedii una lunghissima lettera, dandogli dell’ignorante. 

L’indomani me la ritrovai in pagina, con una postilla: 

‘Lei merita una rubrica. 

Ci sta?’”

Era nata ‘Pignolerie’. 

Per fortuna da sei mesi fra i due è ridisceso il gelo, così la categoria degli scribi può tirare il fiato.

Il Gran Pignolo s’è un po’ stufato di fare solo le pulci ai gazzettieri. 

Complice non so quale corbelleria scritta da Paolo Valentino, corrispondente del Corriere da Washington, a proposito del pugile nero Jack Johnson, ha deciso di andare oltre: 

“Ho inviato un Sms di fuoco al direttore, Ferruccio de Bortoli. 

Mi ha telefonato affranto: 

‘Che cosa abbiamo combinato stavolta?’

Gli ho annunciato che lancerò una raccolta di fondi per comprare il Corriere allo scopo di chiuderlo. 

È tentato anche lui di aderire alla pubblica sottoscrizione. 

Lo capisco, pover’uomo. 

Devo andare dal notaio Franca Bellorini per formalizzare i dettagli tecnici. 

Non se ne può più di tutti questi errori”.

Prima d’accendersi di passione per la carta stampata, MdPR si occupava soltanto di carte da gioco. 

Imbattibile a pinella, era di casa al Caffè Zamberletti, dove ha avuto per maestro lo scrittore Piero Chiara. 

“Mi portava in giro per casinò. 

Da lui ho imparato molte cose anche sul gentil sesso, ma di questo non parlo”. 

‘Il piatto piange’ resta il vangelo del Gran Pignolo, che ama definirsi così: 

“Mi colloco a sei strette di mano da Napoleone. 

Ho infatti stretto la destra a Enzo Pifferi che l’ha stretta a Charlton Heston che l’ha stretta a Orson Welles che l’ha stretta a Sarah Bernhardt che l’ha stretta a madame George, alias Marguerite-Joséphine Wiemer, una delle amanti di Napoleone, e, per conseguenza, chiunque altro abbia stretto o in futuro stringa la mia mano si colloca a sette strette dal grande Corso”. 

Adesso vuol effettuare per beneficenza un giro in diverse piazze italiane, nel corso del quale i passanti, previo versamento di un obolo, potranno farsi fotografare mentre MdPR e per conseguenza Napoleone, stringe loro la mano. 

“Jas Gawronski mi ha detto che è un’eccellente idea”.

Senta, cominciamo dalle sue sterminate generalità. 

Mauro.

“Era uno scialacquatore amico di mio padre. 

Io ho preso da lui. 

Del resto ogni due o tre generazioni è prassi, nella famiglia di mia madre, sposarsi con un’ereditiera, rimpinguare il patrimonio e dilapidarlo”.

Maria.“Siamo tutti figli di Maria”.

Romano.“Terzo nome di battesimo”.

della Porta.

“della Porta Rodiani Carrara sono i cognomi della mamma”.

Raffo.

“L’unico che ho preso da papà. 

Era direttore dell’Ente provinciale per il turismo. 

Quando avevo due anni, si fece trasferire da Catania a Varese per far contenta mia madre, che odiava il clima della Sicilia. 

Siamo romani da diecimila anni”.

Dandi Gangalandi Savelli.

“Un mio zio dice che il titolo è passato a una famiglia fiorentina. 

Boh, io so che sulla carta d’identità ho un nome e quattro cognomi. 

Comunque i della Porta discendono dai Savelli, che diedero alla Chiesa due papi, Onorio III e Onorio IV”.È riuscito a oziare per tutta la vita.

“Non è vero. 

Qui a Varese pensano che il lavoro sia solo quello fatto con le mani. 

A ventitre anni ero già direttore dell’Azienda di soggiorno e quindi facevo lavorare gli altri, ovvio. 

Laureato in giurisprudenza, complice mio suocero, che era agente della Reale Mutua Assicurazioni, sono stato costretto a occuparmi di sinistri per tre anni. 

Un’esperienza abominevole. 

Nel 1978 ho detto basta e sono diventato giocatore di carte professionista. 

Di nascosto”.

Nelle bische clandestine?

“Ma no, di nascosto da mia moglie. 

Le dissi che ero agente immobiliare. 

Uscivo di casa la mattina, andavo in via Silvestro Sanvito, nascondevo l’auto e giocavo a pinella con i clienti di un bar. 

Puntate da ventimila lire. 

Alla fine del mese mettevo insieme un discreto stipendio”.

Non perdeva mai?

“Si perde solo nei casinò o negli ippodromi, perché lì deve per forza vincere il banco. 

Io mi ricordavo tutte le carte uscite”.

Luca Goldoni dice che lei ha ‘una memoria semplicemente scandalosa’.

“Più che altro selettiva. 

Se mia moglie mi chiede di comprare il pane, me lo dimentico. 

Comunque in famiglia dopo tre anni hanno scoperto che non ero immobiliarista e ho dovuto smettere. 

Dal 1992 scrivo. 

Proprio oggi mi hanno comunicato che alcuni miei racconti ambientati nel mondo del gioco d’azzardo in primavera diventeranno una serie tv di venti puntate, ‘Gambling’, girata in inglese per il mercato internazionale da una casa di produzione statunitense. 

Con la pinella ho chiuso”.

Resta a sei strette di mano da Napoleone.

“Sono anche a tre smazzate di scopa da Giosuè Carducci, avendo Piero Chiara stretto la mano a Giuseppe Prezzolini che l’aveva stretta a Carducci. 

Tutta colpa del libro ‘Io, Orson Welles’ nel quale l’attore racconta d’aver stretto la mano alla Bernhardt. 

Mi ha messo il tarlo. 

Dovevo a tutti i costi arrivare a lui. 

Mi sono ricordato che Pifferi, fotografo giramondo, da giovane era stato fra le comparse in Ben-Hur. 

Anni dopo aveva reincontrato Heston per strada e gli aveva stretto la mano. 

E a chi stringe la mano Heston nell’Infernale Quinlan? 

A Welles. 

In questo modo si risale a chiunque. 

Il collegamento fra Bertolt Brecht e James Bond non le interessa?”

Lasciamo stare.

“Allora quello fra Napoleone e l’Fbi. 

Girolamo, uno dei fratelli dell’imperatore, sposa Elisabetta Patterson, figlia di un commerciante di Baltimora, e ha un figlio, al quale dà il suo stesso nome. 

Poi divorzia per sposare Caterina di Württemberg. Elisabetta torna negli USA col piccolo Girolamo, che diventerà padre di Carlo Giuseppe Bonaparte, ministro sotto il presidente Theodore Roosevelt e fondatore nel 1908 del Federal bureau of investigation. 

Ecco fatto”.

So che ama il cinema. 

Il film della sua vita?

“‘La famiglia’ di Ettore Scola. 

Mi ricorda la casa dai corridoi lunghi dove viveva con gli otto figli il mio nonno paterno, in via Calabria 32, a Roma. 

L’ultima volta ho chiesto all’autista di portarmici. 

Ho sostato davanti al portone”.

Poteva salire.

“Mai tornare nei luoghi dove si è stati felici. 

L’ho fatto per la sede liberale di via Bernascone 1, qui a Varese. 

Sapesse che delusione. 

Sparito il divano su cui Bruno Lauzi strimpellava la chitarra e componeva. 

La canzone ‘Il poeta’ nacque lì. 

Nel PLI a Varese eravamo solo noi tre: Chiara, Lauzi e io”.

Perché ha deciso di mettere gratis su Internet il suo ultimo libro, ‘The best man. La lunga corsa verso la Casa Bianca?’

“Vorrei che la gente sapesse quello che so io”.

Il volume è pubblicato dalle edizioni Ares, vicine all’Opus Dei. 

S’è convertito?

“Sono laico, ma credente e praticante. 

Mi accusano d’essere membro dell’Opera? Spiacente, purtroppo non lo sono”.

Come fa a sbugiardare i giornalisti?“

Le rispondo con Adalbert Pösch, il maestro ebanista nella cui falegnameria il filosofo Karl Popper lavorò per pagarsi gli studi: 

‘Mi chieda pure quello che vuole, io so tutto’”.

Usa il computer per le sue verifiche?

“Ma per carità! 

Internet, Google, Wikipedia… tutte porcherie, piene zeppe di errori. 

Ma guardi che ne trovo molti anche nelle enciclopedie cartacee Utet, Rizzoli Larousse, Nova, Europea. 

Persino nella Piccola Treccani. 

Non parliamo delle Garzantine”.

E allora come fa?

“Libri. 

Consulto tanti libri che trattano dello stesso argomento”.

Chi è il collega che s’è più risentito per essere stato colto in fallo?

“Giulio Nascimbeni, pace all’anima sua. 

Nella rubrica ‘Esame di giornalismo’, che teneva sul settimanale del Corriere, riportò nella lingua originale la famosa frase di Metternich: ‘L’Italia è un’espressione geografica’.

Solo che, al posto di ‘begriff’ scrisse ‘pogriff’.

In tedesco ‘po’ significa sedere. 

In pratica si leggeva che l’Italia è una presa per il culo geografica”.

Uno dei più tartassati era Enzo Biagi, che lei sfotteva chiamandolo ‘maestro’.

“Lo credo bene: ha riempito ben sessantatre delle trecentoquattro  pagine del mio libro ‘Dieci anni di pignolerie’. 

Riuscì a firmare un articolo su Cuba ed Hemingway in cui non ce n’era una di giusta. 

Ma, dico, perché ti metti a scrivere di vicende che ignori completamente?”

E oggi chi ne ha preso il posto?

“Corrado Augias. 

L’ho sentito ammettere in Tv la sua ignoranza su temi che sono alla portata di un liceale. 

Terribile”.

Però su madame George, citata all’inizio, Paolo Granzotto l’ha colta in fallo: si trattava di una mademoiselle.

“Orson Welles nel suo libro la chiama ‘Madame’.

Mica posso correggere un defunto”.

Io stesso l’ho censurata per la sua abitudine di scrivere ‘Il Corriere della Sera’ attribuendo alla testata di via Solferino un articolo determinativo di cui è priva.

“Una volta l’articolo ‘il’ c’era”.

Mai. 

Neppure sul primo numero, uscito il 5 marzo 1876.“Va bene, andiamo a controllare”.

Quando vuole. 

Le mando le copie anastatiche, una per anno, fino a oggi.

“Prima di chiuderlo farò scrivere ‘Il Corriere della Sera’ per darmi ragione”.

Sbaglierà anche lei, qualche volta.

“Nelle ‘Pignolerie’ ho scritto che Dionigi il Piccolo era un monaco sciita, con due ‘i’.

Figuriamoci, a quel tempo, circa 520 dopo Cristo, non era ancora nato Maometto. 

In realtà era ‘scita’, originario della Scizia”.

Come fa a conciliare la venerazione per Giovanni Malagodi con quella per Emiliano Zapata?

“Amo chiunque difenda la libertà. 

In Messico fu combattuta l’ultima rivoluzione per tornare al passato. 

Alla curandera che lo scongiurava di non recarsi nel luogo dove l’avrebbero ucciso, Zapata rispose: 

‘Se mi ammazzano è un bene. 

Ci vuole un martire per la rivoluzione’.

Mi piacerebbe chiamare Emiliano il secondo nipotino che una delle mie due figlie sta per darmi”.

Stravede anche per Cavallo Pazzo.

“Colpito con una baionettata alla schiena, steso su un tavolaccio, il capo sioux ottenne dai soldati americani il permesso di vedere il padre Bruco e il cugino Tocca le Nuvole. 

Le sue ultime parole furono: 

‘Padre, di’ al popolo che non può più contare su di me’.

Mi commuovo ogni volta…”

(Gli occhi si riempiono di lacrime).

Chi altro c’è nel suo pantheon?

“Oscar Wilde. 

Livello intellettuale assoluto. 

E Giuliano l’Apostata. 

Cultura sterminata”.

Che cosa le piace del mondo di oggi?

“Che domanda, ragazzi! 

Salvo solo la tecnologia. 

Per il resto, l’uomo è sempre uguale”.

E che cosa rimpiange del mondo di ieri?

“La verve. 

Adesso i giovani stanno muti davanti alle slot machine, come automi. 

Una volta il prete giocava col peccatore, l’avvocato col giudice. 

Ognuno diceva la sua, uscivano battute formidabili. 

Perché crede che il cabaret sia morto? 

Il gioco era un esercizio collettivo. 

Capitava che durante una partita al Caffè Piero Chiara dicesse a uno spettatore: ‘Va’ a pisciare per me, ché io non posso’.

È finita la creatività. 

Sono rimasto solo io!”

Il ritratto: della Porta Raffo il Gran Pignolo pronto a farsi monumento.

È diventato famoso correggendo gli errori dei giornalisti, dopo vent’anni si celebra con una ‘autoenciclopedia’.

Francesco Borgonovo

Libero

2 gennaio 2012

Tranne le sue vittime, parlano tutti bene di Mauro della Porta Raffo. 

Per oltre un decennio si è dedicato a scovare gli errori dei giornalisti, spiattellandoli nella sua rubrica sul Foglio ‘Pignolerie’.

Naturale che venga ricoperto di elogi da mezza stampa.

Conviene tenerselo buono nella speranza che chiuda un occhio sulle castronerie di chi lo ha incensato per sbeffeggiare quelle altrui. 

Ora però il Gran Pignolo cambia vita, vuole monumentalizzarsi. 

Oddio, la faccia di bronzo della statua ce l’ha già da un pezzo.

Si supera: ha scritto impaginato, stampato e diffuso un’enciclopedia dedicata interamente a se stesso. 

Si è canonizzato da vivo, suddividendo il suo pensiero e le sue opere in dieci tomi robusti sfornati dalla Legatoria Carravetta di Varese (la città che ha da sempre fatto sua e di cui avrebbe voluto diventare sindaco). 

Si comincia da un volume di racconti, intitolato La vita come viene, si prosegue con gli scritti sugli Stati Uniti, il suo pallino. 

Seguono le Pignolerie che Ares nel 2006 raccolse in un libro per il decennale della rubrica fogliante.

E così via…

La pazza idea.

Abbiamo deciso di chiedergli come gli sia saltato in mente di immortalarsi. 

“Nel 1992 ho vissuto un periodo in cui non dormivo più. 

Mi svegliavo prestissimo. 

La tivù mi aveva stufato.

Leggere ho sempre letto, ma a tutto c’è un limite. 

Decisi di mettermi a scrivere. 

Volevo cominciare con dei racconti ispirati al periodo in cui facevo il giocatore d’azzardo. 

E anche perché il mio maestro di vita è stato Piero Chiara, con cui ho avuto una frequentazione di circa quindici anni. 

Mia moglie sosteneva che all’epoca stessi molto più con lui che con lei. 

Ma in quell’anno c’erano le elezioni americane, argomento che mi appassionava da sempre. 

La mia prima opera così è stato un saggio sul sistema elettorale americano”.

Quella fu solo una delle tante svolte della sua vita. 

“Fino a quel momento avevo fatto decine di mestieri diversi. 

Direttore di un ente pubblico dai ventitre ai trent’anni. 

Poi patrocinatore legale, mestiere che ho lasciato per dedicarmi al gioco d’azzardo, che è molto meglio. 

Ero specializzato nelle carte. 

Non devi giocare al casinò, negli ippodromi o belle bische.

Devi farlo contro le altre persone.

Chi ha più memoria alla fine vince. 

Non la singola partita, alla lunga. 

Quindi, una parentesi normale, come agente di assicurazione.

Ed ecco che nel 1992 sono tornato a casa e ho detto a mia moglie “Mi sono licenziato voglio scrivere” e lei “Moriremo di fame”. 

Qualche articolo veniva pubblicato ma economicamente per un bel pezzo non andava certamente bene.”  

Poi la grande occasione. 

Nel 1996 nasce Il Foglio. 

“Mi dissi dura poco e decisi di collezionarlo. Leggendolo notavo grosse imprecisioni. All’epoca in pagina nessuno firmava, il primo ad avere l’onore di farlo sono stato io. 

Ho cominciato a inviare fax al giornale di Ferrara, che ha preso a pubblicare le mie correzioni. 

Poi più nulla, così gli scrissi una lunghissima lettera nella quale sostanzialmente gli dicevo: Lei mi ha tradito.

Vale a suo riguardo dunque l’assunto di fine Ottocento di Oscar Wilde: 

‘C’è molto di buono da dire sul giornalismo moderno. 

Dandoci le opinioni degli ignoranti ci tiene in contatto con l’ignoranza della comunità’. 

Io intendevo quella lettera come una rottura. Invece compro IFoglio la mattina dopo e vedo un’ultima pagina con un titolo a nove colonne: Un lettore ci informa della pochezza della stampa italiana

Sotto con la firma dell’elefantino era scritto: ‘lei merita una rubrica, ci sta?’

Dal 5 settembre successivo ho avuto la rubrica Pignolerie che è andata avanti per tredici anni fino al 2009”.

Un vero giocatore d’azzardo. 

Poi è passato anche su altre testate.

“Ho collaborato con tutti i quotidiani, tranne quelli di sinistra che non mi hanno mai neppure citato. 

Solo Repubblica con Beniamino Placido che dopo aver visto una mia intervista alla tv svizzera, scrisse che ero come il lanciatore di lenticchie di Johann Hebel. 

Un tale che tira lenticchie dentro la cruna di un ago ed è diventato bravissimo decide di esibirsi dal Papa. 

Alla fine il Papa gli dà una ricompensa, un sacchetto. 

Lui pensa che sia pieno di monete d’oro, invece il sacchetto è colmo di lenticchie. 

Voleva dire Placido che quello che facevo era un mestiere che non serviva a niente. 

E in effetti, guardando oggi i giornali, aveva assolutamente ragione.”

Triste bilancio. 

“Continuo a pensare che chi, scrivendo sui quotidiani o sulle riviste, commette errori, vada licenziato. 

Può succedere parlando e in quel caso non mi arrabbio.

Personalmente, ho sbagliato una sola volta.

E mi sono corretto io.”

E ora si pubblica anche. 

“Sono passati vent’anni da quel primo saggio. Quindi è il momento di monumentalizzarsi. 

E lo faccio con la proposizione non dell’opera omnia ovviamente. 

Sarà un’edizione limitata, fuori commercio.

Ho cercato anche di dargli una bella veste. 

La regalo solo agli amici e a chi ritengo farlo”.

Come si diventa Gran Pignolo?

“Penso di avere dei doni naturali come la grande memoria. 

Poi acculturarsi. 

Se uno mi dovesse chiedere lei cosa fa nella vita? risponderei studio.”

Biagi, il più impreciso

Il giornalista che sbagliava di più? 

“Enzo Biagi. 

Ho sessantotto pagine nel mio libro dedicate a lui. 

Scrissi sul Giorno quando morì un anticoccodrillo spiegando che cosa aveva scritto e come in realtà stavano le cose.

Non quando era novantenne, da giovane.

Per esempio parlando di un viaggio a Cuba in cui tutte le affermazioni riportate erano false. 

Non gliene importava nulla di mettere in giro cose sbagliate.

Non verificava, non sapeva niente. 

Non sapeva nulla ma scriveva di tutto. Montanelli invece una volta pubblicò sul Corriere una castroneria a proposito di Abraham Lincoln.

Mi disse: devo pubblicare la sua correzione  perché è giusto che i lettori sappiano che ho scritto una cosa sbagliata.

Chi si arrabbiò più di tutti fu Luca Goldoni,che scrisse che ero soltanto un topo di biblioteca. 

Poi ci siamo incontrati a una presentazione di un suo libro a Varese. 

Da allora abbiamo fatto conferenze insieme in tutta Italia”.

Beh, qualcuno che sa apprezzare le facce toste, per fortuna, è rimasto.

Vent’anni dopo, Gianni Barbacetto il 3 settembre del 2016 su Il Fatto quotidiano in occasione del ventennale delle Pignolerie 

Mauro della Porta Raffo – nom de plume, spiega lui, di Mauro Maria Romano della Porta Rodiani Carrara Raffo dei Pfyffer von Altishofen, dei Bontemps de Montreuil e di casa Savelli – continua a fare paura. 

Le sue “Pignolerie” hanno rovinato i risvegli dei più noti giornalisti italiani, che vedevano segnalati senza pietà i loro errori. 

Era giovedì 5 settembre 1996 quando tutto cominciò. 

Quel giorno sul Foglio comparve (prima vittima: Gian Antonio Stella) una rubrichetta fulminante che faceva il contropelo alla stampa, beccando di settimana in settimana castronerie d’autore. 

Titolo, appunto, “Pignolerie”.

“Era andata così”, racconta il suo inventore, “i giornali – tutti – sono pieni d’errori, io li segnalavo da tempo con lettere che di solito non venivano neppure pubblicate. 

Con mia grande sorpresa, il 29 agosto 1996 trovo invece stampato sul Foglio di Giuliano Ferrara un mio lunghissimo fax (sì, era ancora l’epoca dei fax!) sugli errori compiuti dai quotidiani italiani che raccontavano la campagna elettorale presidenziale in corso negli Stati Uniti. 

Titolo a tutta pagina: ‘Un lettore denuncia la pochezza della stampa italiana’. 

Qualche contatto telefonico e poi, a settembre, parte le rubrica. 

Settimanale, ogni giovedì. 

Firmata, mentre gli articoli del Foglio non lo erano”.

I giornali si accorgono di lui quando tutti scrivono che era morta la vedova di Pancho Villa.

“Ma no: era morta Isabel Seanes, ma il rivoluzionario messicano di mogli ne aveva 75! 

Ne sposava una, regolarmente, in ogni paese dove arrivava con i suoi fucili”. 

Il Gran Pignolo – così cominciò a essere chiamato – andò avanti sul Foglio fino al 2009. 

Tredici anni. 

Nessuno fu risparmiato: Enzo Biagi e Indro Montanelli, Andrea Camilleri e Umberto Eco, Corrado Augias ed Eugenio Scalfari, Furio Colombo e Paolo Mieli, Tiziano Terzani e Claudio Magris, Francesco Merlo e Vittorio Zucconi (“Troppo facile!”).

Non c’è argomento su cui il Gran Pignolo non sappia intervenire con la sua matita rossa e blu. 

Pugilato e storia americana, tennis e letteratura, il fucile Winchester e Al Capone, la nascita dell’Fbi e il Nobel a Thomas Mann. 

Poi anche il settimanale Panorama fu contagiato. 

Quando lo diresse Giuliano Ferrara, volle una sua rubrica sugli errori del concorrente, L’Espresso. 

Titolo: “The Other Place” (come si chiamano tra loro le università di Oxford e di Cambridge, senza mai nominarsi). 

Il più tremendo tra le “vittime”? 

“Biagi: ha fatto di tutto per convincere Ferrara a non farmi più scrivere. 

Il migliore, Montanelli: un suo errore su Lincoln lo ha dichiarato, citandomi, sul Corriere”.

Come nascono le Pignolerie? 

della Porta Raffo lo spiega in tre parole: “Io so tutto”. 

Aggiunge: “Ma è proprio vero!”. 

Ha settantadue anni, dorme quattro o cinque ore per notte, per il resto legge. 

Legge tutto e di tutto. 

Giornali ma soprattutto libri. 

Ne ha ottomila nella sua casa di Varese. 

Eppure non gli stanno addosso i panni del secchione o del topo da biblioteca, dell’intellettuale noioso tutto Capalbio e impegno. 

Effervescente e narciso, nella vita ha fatto tanti mestieri, tra cui, per dire, il giocatore di carte professionista. 

“Mantenevo me e la mia famiglia. 

E molto bene. 

Ma niente poker: non sopporto i bluff”. 

Ha molto giocato anche a biliardo: “Ho imparato dal mio maestro, Piero Chiara”.

Il suo segreto, nel gioco come nelle Pignolerie, è la memoria. 

Prodigiosa. 

Ripeto: io so tutto. 

Leggo e ricordo ogni cosa. 

È di famiglia, come avere gli occhi azzurri. 

Io non ho meriti: ho ereditato una gran memoria; e ho anche gli occhi azzurri”. 

Biblioteca sì, ma niente archivio. 

Neppure un catalogo dei suoi ottomila volumi. 

E uso molto parco del computer: “Solo chi è molto colto può usare internet e trovarci qualcosa di nuovo e di interessante. 

Chi non lo è, invece, pesca a caso, copia molte cose sbagliate, e non impara mai niente perché dice: ‘Ho tutto lì’. 

Il computer è il più formidabile strumento per aiutarti a restare ignorante”.

Così negli anni le cose sono peggiorate, anche nel giornalismo. 

“Vent’anni dopo, dico: le Pignolerie non sono servite a niente. 

I giornalisti continuano a sbagliare.

Anzi, sbagliano più di prima. 

E non lo dice un vecchio afflitto dalla nostalgia del passato: la stampa è peggiorata e lo posso dimostrare con i fatti. 

Gli errori sono enormemente aumentati.

Le nuove generazioni non sanno niente. 

Sono più ignoranti, più maleducate e più malvestite. 

E non è questione di povertà e ricchezza: anche i poveri un tempo erano vestiti meglio, indossavano la camicia, non le magliette e i jeans. 

Eppure vestirsi bene, in fondo, costa meno che vestirsi male. 

Peggiorata anche la politica: c’è stata una degenerazione dei leader. 

Un tempo c’era Malagodi – io ero e sono liberale – ma anche Fanfani, Cossiga, Togliatti… 

Quelli di oggi? 

Non insista, non li voglio neppure nominare”.

Nessuno ha mai beccato in castagna lui, che segnala gli errori degli altri. 

Una volta sola ha dovuto correggersi da sè: “Avevo scritto che Dionigi il Piccolo, il riformatore del Calendario, era sciita. 

Ma no: era scita, nativo della Scizia”. 

Mentre scrivo, naturalmente, un filo di terrore mi formicola nelle dita: qualche errore lo farò e a lui non sfuggirà. 

Ma ormai per un giornalista essere bacchettato da Mauro della Porta Raffo è come per un politico essere ritratto in una vignetta da Forattini. 

Il Forattini degli anni d’oro, però.

Settant’anni a Varese

Una vita, molte altre

di Massimo Lodi

24 marzo 2017

-Mauro della Porta Rodiani Carrara Raffo di casa Savelli: settant’anni di varesinità. Che esagerata ricorrenza è, il 27 marzo 2017?

“Felice, dolce, gratificante. 

Amo Varese, l’ho sempre amata, continuerò ad amarla. 

Bella città e anche bella gente, per lo più. 

Sfatiamo un dire di segno opposto, conformistico, sbagliato”

-Bella città e bella gente ieri e anche oggi, per lo più?

“Oggi città decaduta e decadente, con gente che ne vorrebbe riscattare i fasti dopo gente che li ha offesi”.

-Impresa possibile?

“Desiderio condivisibile: perché negarsi l’ottimismo, pur fra tanto circolare di segnali, e opere, che inducono al pessimismo?

-Cominciamo dal principio, dallo sbarco a Varese dell’infante MdPR eccetera…

“Sono nato a Roma, poi venni traslocato altrove per ragioni di lavoro del capofamiglia. 

Un giorno mia madre Anna Maria, desiderosa di sfuggire al caldo africano di Catania, dove papà Manlio dirigeva l’Ente provinciale per il turismo, chiese di effettuare una ricognizione in terra prealpina. 

Nella zona della Valmorea aveva lavorato in anni precedenti e viveva il suo genitore. 

Venne, vide, respirò. 

Aria buona. 

E decise di tornare, stabilendosi qui. 

Papà ottenne il trasferimento, iniziammo l’avventura bosina.

Vi avrebbero partecipato anche Silvio e Annamaria, mio fratello e mia sorella.

A Varese sarebbero poi nati dal matrimonio con Sissi, l’indispensabile Sissi, le mie figlie, Alessandra e Federica, e i miei nipoti, Giulio e Tommaso”.

-Quali i più lontani ricordi?

“Quelli della scuola elementare, che mi vide girovago tra gli istituti di Barasso, Casbeno e via Como. 

Un ricordo su tutti: il tratto di esemplare educazione dei compagni di classe. 

E la loro intensa tenacia a impegnarsi. 

C’erano figli di imprenditori, professionisti, impiegati. 

Ci davano dentro, come da obbligo di rango sociale. 

C’erano figli di contadini e operai: ci davano dentro ancora di più, come da orgoglio di ultima fila. 

Un maestro severissimo: il Rossinelli di via Como. Guai a sgarrare. 

Reprimende verbali e punizioni fisiche: allora si usava, era l’accettata regola”.

-Predisposizione allo studio?

“Poca, se non zero, fin dall’iniziale approccio a banchi e cattedre. 

Ancora meno in seguito. 

Le medie rappresentarono un calvario: sempre rimandato, e infine bocciato in terza. 

Rifiutavo d’apprendere le cognizioni impartite, preferendo zigzagare da anarchico fiutando l’estro personale. 

Che so, elenchi di fiumi in base alla lunghezza, rassegne di città secondo la popolazione, filotti di curiose date storiche e di molto altro ancora”.

-Una precoce ribellione culturale…

“Una naturale inclinazione alla libertà di pensiero e dunque d’azione. 

Innanzitutto intellettuale.

Ovviamente non compresa dagl’insegnanti.

E sopportata con disagio dai genitori. 

Non c’è padre o madre che si rallegri del pessimo rendimento scolastico d’un figlio, pur se egli manifesta voglia di letture, approfondimenti, ricerche varie e perfino dotte”.

-Alle superiori la tradizione si confermò?

“Si rafforzò.

Andai sciaguratamente di male in peggio.

Feci il liceo scientifico, e tenni fede all’uso di recuperare d’estate il tempo perso nei mesi precedenti. 

Esami ogni anno, mai una promozione. 

Alla maturità ammesso con la media del cinque, ma solo perché i voti in filosofia, storia e italiano bilanciarono il disastroso verdetto delle altre materie. 

Un professore mi chiese: cosa sono le putizze? Non so, risposi. 

Ma so che è scritto a pagina 252 del libro di scienze. 

Se è vero, replicò guardandomi in tralice, ti rimandiamo invece di bocciarti. 

Era vero. 

Per chi lo ignora: le putizze sono delle pietre”.

-L’amico del cuore?

“Nessuno. 

Molti amici di gioiose bigiate, i fratelli Ponzellini specialmente. 

La preferita: migrare in barca dall’altra parte del lago, a Bodio. 

E mangiare panini da un tizio che li confezionava da artista del settore alimentare, in particolare con salame d’asino. 

Difficile che non riuscissimo a farla franca. 

Fabio, uno di noi, era eccezionale nell’imitare le firme dei parenti: gli dobbiamo pacchi e pacchi di giustificazioni andate a buon fine”

-Questo era il passatempo illecito. 

E quello lecito?

“Il cinema, al top delle mie passioni assieme alla lettura. 

Papà fruiva di una tessera dell’Anicagis, e la usavo io. 

Praticamente non c’era giorno in cui non vedessi un film, preferibilmente western e commedie americane. 

Qualche volta mi accompagnava mio fratello, ma poi troncammo il sodalizio dello schermo: gusti differenti. 

Come, del resto, in letteratura”.

-E il primo, grande amore?

“Non nacque a Varese, ma a Rimini. 

Lì stavamo ogni estate, e a lungo, in villeggiatura. Perché allora c’era la villeggiatura, non c’era la vacanza. 

Conobbi una coetanea di Como, intelligente prima che (molto) bella: Maria Luisa. 

C’innamorammo. 

Poi la storia s’esaurì, come succede alle storie d’un sacco di sedicenni. 

Non si è esaurita l’amicizia: ci sentiamo e vediamo ancora adesso, qualche volta. 

Con i rispettivi coniugi”.

-Torniamo agli studi. 

L’università segnò un cambio di marcia?

“Affatto. 

Ci misi dieci anni a laurearmi. 

Ma per forza: mi iscrissi, bongré malgré, a giurisprudenza, e della giurisprudenza non m’importava un fico. 

Frequentare, una noia. 

Dare esami, di tanto in tanto. 

Interessi alternativi: un mare. 

Tra di essi la politica, che aveva cominciato a intrigarmi quando un amico mi convinse a entrare nella Gioventù liberale. 

L’ideologia del Pli, allora partito importante, corrispondeva alla mia, di radicale dall’anima tricolore. 

Mi sentii a casa. 

E conobbi un’epoca d’oro, segnata da Piero Chiara segretario provinciale e Maurizio Belloni presidente. 

Belloni, avvocato, era una figura elegante, riservata, fascinosa: ricchissimo, a capo di istituzioni varie, tra le quali l’Automobile Club e l’Ente provinciale per il turismo, aveva l’abitudine di non tenere mai soldi in tasca. 

Invitava gente al caffè e al ristorante, faceva acquisti nei negozi, quindi salutava con cenno ieratico e veniva ricambiato da generale deferenza. Alla fine di ogni mese, il suo segretario passava a onorare i conti in sospeso.

Belloni, dopo papà Manlio, è stato il mio maestro di vita. 

Con i liberali avrei successivamente condiviso campagne elettorali, candidature alle elezioni locali e nazionali, iniziative propagandistiche eccetera. Fui consigliere provinciale dal ’75 al ’78, costretto al ritiro causa debiti di gioco: Chiara s’impegnò a saldarli, ma in cambio pretese le dimissioni. Ricevendole. 

Per mio conto mi sarei presentato nel 2011 come aspirante sindaco. 

Nome della lista: la Varese che vorrei. 

Presi il 2,64 per cento e, avendolo sottratto al centrodestra, costrinsi il borgomastro uscente Fontana al ballottaggio”.

-La faticata laurea servì a poco…

“A nulla. 

Resi contenti i genitori. 

Stop.

Provai a fare l’avvocato, qualche tempo dopo. 

Ma non era il mio mestiere, possono testimoniarlo i due colleghi, Balzarini e Valoroso, con cui aprii e chiusi uno studio. 

Lo fu invece l’occuparmi di un ente pubblico. Successe quando mi misero a dirigere l’Azienda autonoma di soggiorno, presieduta dal notaio Luigi Zanzi. 

Fu un periodo, dal ’68 al ’74, straordinario. 

Varese, che aveva vissuto una fase di splendore alla fine degli anni Cinquanta e al principio dei Sessanta, aveva ancora l’energia, la volontà, direi la vocazione a rinnovarsi e progettare, fidare nel futuro e adoperarsi per prepararlo al meglio. 

Zanzi era un vulcanico trascinatore: quando ti chiamava nel suo ufficio non sapevi mai se ti avrebbe trattenuto qualche ora a programmare e discutere o costretto a missioni di un giorno intero o più giorni in diverse parti d’Italia per trovare persone, esempi, finanziamenti utili alla causa varesina. 

Erano anche, i suoi desiderata, circostanze per eventuali digressioni extrafamiliari: qualunque ritardo trovava giustificazione nelle pressanti incombenze imposte dal presidente. 

L’osservatorio astronomico di Campo dei Fiori, i campi di tennis delle Bettole, il parco e la piscina alla Schiranna devono la loro realizzazione anche a quest’uomo. 

Soprattutto a quest’uomo”.

-All’epilogo della direzione dell’Azienda di soggiorno e alla rinunzia a proseguire nell’attività forense che cosa seguì?

“Seguì la scelta di dedicarmi all’azzardo, a una laboriosa vita da scioperato. 

Non si deve pensare che il gioco sia solo divertimento. 

Lo è, forse, un poco. 

Ma, a dir meglio e per vero, non lo è assolutamente. 

Giocare richiede impegno, fatica, applicazione.

E abilità, intuizione, esperienza.

Ci si dev’essere portati, naturalmente. 

Ma bisogna unire al talento l’impegno. 

Ciò che per un tempo non breve decisi di fare. 

Fino ad allora la mia dimestichezza era stata soprattutto con gli scacchi, della cui associazione locale ero stato nominato presidente”.

-L’esperienza d’avvio dove e con chi?

“In un bar accanto al distributore di benzina del notissimo Aldo, in via Sanvito. 

Orari d’ufficio, mattina e pomeriggio. 

Partite a carte e dadi con habitué o clienti occasionali. 

Vincite e perdite.

Maggiori le prime delle seconde. 

Nessun cenno dell’attività ai familiari: a mia moglie raccontai che prestavo opera in un’agenzia immobiliare. 

Mi copriva l’amico Renzo, che quel mestiere lo praticava davvero. 

E se qualcuno gli chiedeva notizia di Raffo, confermava la mansione da me dichiarata. 

Durò a lungo, ma non poteva essere per sempre. Finì che dovetti rientrare nei ranghi della normalità, diciamo così. 

Che presero le vesti di agente d’assicurazioni.

Per davvero, stavolta. 

Sarò sempre grato a un altro amico, Leonardo, che m’insegnò a tenere corsi di formazione in questo settore e mi riconciliò con il lavoro”.

-La stagione del gioco si svolse al fianco di Chiara…

“Ci unirono le carte, il biliardo, il casinò. 

Il mio battesimo avvenne a Campione d’Italia. 

Ci andammo insieme.

Io persi tutto.

Lui mi aspettava all’uscita con un rotolo di franchi in tasca. 

Cinquemila. 

Me ne regalò la metà. 

Li aveva vinti giocando contro un tizio che puntava forte. 

Piero, pur con somme modeste, faceva il contrario dell’altro, che continuava a rimetterci fiches, cioè quattrini. 

Per levarsi di torno colui che riteneva un menagramo, gli diede i cinquemila franchi. 

Chiara li volle spartire con me perché, disse, era stato lui a trascinarmi là: si sentiva responsabile”.

-Chi ci ha rimesso, nelle sfide a carte o altro tra voi due?

“Sono felice di possedere alcune opere d’arte di cui Piero si privò, per sanare qualche debito di gioco con me. 

Eccone lì un paio sulla parete del mio studio: un Montanari e un Rapp. 

Quello di Rapp è il disegno della copertina del romanzo ‘La stanza del vescovo’, quello di Montanari ritrae una scena di partita a carte in spiaggia, sotto l’ombrellone”.

-Ciò che poteva sembrare un altro azzardo è l’attività di MdPR giornalista e scrittore: cominciata per caso e divenuta di successo…

“La scintilla scoccò nel ’92. 

Lo storico quotidiano locale, la ‘Prealpina’, mi chiese un articolo sulle elezioni americane. Accettai volentieri. 

Uscì il 31 ottobre, con la firma della Porta accanto a quella Raffo. 

Scelsi così non per snobismo, ma per distinguermi da mio fratello, ben più noto di me essendo popolare insegnante di liceo. 

La passione verso la politica Usa era di vecchia data. 

Già all’inizio degli anni Cinquanta l’argomento, di cui leggevo sui giornali del pomeriggio che papà portava a casa tornando dall’ufficio, catturò la mia attenzione. 

Successivamente, sfogliato il libro “Le quarantotto Americhe” di Raymond Cartier, la curiosità dilagò diventando gratificante mania. 

Di Stati Uniti so davvero tanto, forse tutto. 

E ne ho scritto, detto, argomentato su diverse testate giornalistiche e radiotelevisive. 

In occasione delle sfide presidenziali a partire dal 2004 sono stato per esempio ospite fisso di Bruno Vespa, a “Porta a porta’”.

-La fama nel settore è tuttavia venuta da una rubrica apparsa sul Foglio dal titolo “Pignolerie”…

“Accadde nel ’96. 

Uscì il nuovo giornale di Ferrara: mi sfiziava, aveva un’aria chic, e iniziai a collezionarne i numeri. 

Mi cadde l’occhio, a un certo punto, su inaccettabili castronerie giusto a proposito di cose americane, e mandai via fax lettere di obiezione.

Vennero pubblicate.

Poi, non più. 

Allora inviai una nota di protesta al direttore, assai pepata: denunziavo, citando Wilde, l’ignoranza giornalistica rivelatrice di quella della comunità dove alberghiamo. 

Anziché indignarsene, lui la mise in pagina, commentando: che ne direbbe di avviare una rubrica per noi? 

Detto e fatto. 

La pignoleria d’esordio apparve il 5 settembre di quell’anno, un giovedì. 

Proseguii sino al 2009. 

Ogni giorno mi documentavo leggendo sette quotidiani, più un ricchissimo carnet settimanale di periodici”.

-Intanto lo spettro delle collaborazioni si ampliò…

“In precedenza avevo già cominciato a firmare sul ‘Giornale del Popolo’ di Lugano e realizzato un documentario per la tivù svizzera sull’azzardo, intitolato “Mal di gioco”. 

Durante l’inchiesta tornai sui luoghi delle mie avventure, spesso incontrando vecchi compagni di tavolo verde che mi dicevano, non avendomi più visto da un pezzo e giudicando impossibile la dismissione del vizio da parte di chicchessia: pensavamo che fossi morto. 

Invece no, ero sopravvissuto alla dolorosa astinenza. 

Tra i grandi quotidiani, il primo a ospitare i miei articoli fu il ‘Giornale’ di Vittorio Feltri. 

Avevo scritto a lui come a tanti altri direttori millantando un precedente incontro a casa d’una certa Marta, dove -fingevo di rammentare- c’eravamo accordati per un successivo colloquio allo scopo d’una mia scribacchina cooptazione. 

Il colpo di teatro sorprendentemente avvenne: Feltri, ignoro se consapevole o meno della trappola, mi fece chiamare dal suo capo della redazione esteri. 

Stringemmo l’accordo e mi occupai di America Latina, altra mia fissa. 

Anche sotto la direzione di Mario Cervi, professionista eccezionale e uomo meraviglioso, mi fu concesso molto spazio. 

Pure il ‘Corriere della Sera’, all’epoca di De Bortoli, mi ha onorato della sua ospitalità”.

-A un certo punto le pignolerie diventarono materia di export, apparendo in altra veste su ‘Panorama’…

“Nacque, per volere del direttore Ferrara, la rubrica “The other place”. 

Facevo le pulci al concorrente di ‘Panorama’, cioè ‘L’Espresso’. 

Ci divertimmo parecchio, perché prendevo spesso in castagna editorialisti, commentatori, inviati. Tornai a Panorama, dopo averlo lasciato, durante la gestione di Pietro Calabrese che mi chiamò successivamente al ‘Messaggero’, alla ‘Gazzetta dello Sport’, a ‘Capital’, infine alla Rai. 

Con Onofrio Pirrotta varammo la trasmissione “È la stampa, bellezza” che andò molto bene. 

In Rai sarei ritornato, su sollecitazione di Luca Iosi, per sovrintendere al ‘Quiz show’ condotto da Amadeus: preparavo le domande, curando con minuzia ogni dettaglio. 

Vietato sbagliare. 

Una volta Antonio Ricci ordinò all’inviato di ‘Striscia la notizia’ di consegnarmi il tapiro, sostenendo d’avermi colto in fallo nella formulazione d’un quesito. 

Non era vero e gli documentai l’errore. 

Il suo errore. 

Ma non volle smentirsi. 

Siamo comunque diventati amici”.

-E intanto venivano dati alle stampe libri in serie…

“Raccolte di racconti, testimonianze di vita vissuta, biografie di personalità locali e non solo, saggi su svariate materie. 

In primis, attenzione sempre agli Usa: gli ho dedicato e gli concedo migliaia di pagine. 

Meglio rimandare alla bibliografia, per non indulgere a un’infinita elencazione”.

-Mai parlato, all’epoca della frequentazione di Chiara, di questo ardore letterario?

“No, mai. 

Qualche chiacchiera generica, ma avevamo confliggenti predilezioni di generi e di autori. 

Ci accomunavano solo altri interessi. 

Verso di lui scrittore ho tuttavia una responsabilità: averlo indotto a ripubblicare per Mondadori il racconto “Con la faccia per terra”. 

Era uscito negli anni Cinquanta tra l’indifferenza generale, e quando fu riproposto non ebbe l’eco sperata”.

-Le prossime novità editoriali?

“Due libri in merito alle elezioni americane, tanto per aggiungere un bel po’ a quanto sinora studiato e proposto sul tema. 

Un libro di racconti. 

Un numero unico di ‘Dissensi e discordanze’, la rivista che dirigo, su champagne, cioccolata, sigari e whisky. 

E poi vedremo.

Vedrò. 

Quel che capita, capita. 

Nel frattempo curo i miei tre siti internet: maurodellaportaraffo.comelezionusa.itdissensiediscordanze.it”.

-Come saranno i secondi settant’anni di MdPr?

“I più vicini impegnati nell’educare i nipoti. 

Ci tengo molto. 

Quelli a venire, chissà. 

Continuerò a cercare di essere sempre me stesso, impresa peraltro difficile. 

E a dar retta a Jacques Brel, quando afferma: occorre davvero un grande talento per diventare vecchi restando immaturi e dissennati”.

-Sfoggio civettuolo?

“No, mi riconosco una vena di bizzarria. 

Sono convinto che me la riconoscano anche gli altri. 

Non mi pongo limiti, e tuttavia ne ho il senso. 

Nel mio studio campeggia una definizione: 

‘Sono sempre almeno in parte responsabile di tutto quanto di negativo accade. 

Lo so’. 

Dichiaro d’essere onnisciente e indispensabile, ma non è la sindrome da ipertrofia dell’ego. 

Solo un dovuto inchino al realismo. 

Che non prevede modestie, e invece obbedienza ai fatti”.

-Dai fatti alle opinioni: essere controcorrente è una virtù o un vizio?

“È uno stato d’animo. 

Un modo di vivere. 

Un impulso naturale. 

Groucho Marx mi trova concorde: qualsiasi cosa sia, io sono contro”.

-Un bouquet di ‘contro’ da confermare o negare. Il primo: contro la Varese contemporanea?

“Sì e no. 

Sì, perché la vedo annaspare e forse prossima all’annegamento, se non trova la giusta bracciata per stare a galla. 

No, perché le sono affezionato. 

Lo dimostrano i miei quasi ventennali ‘salotti’, in cui ho ospitato al caffè Zamberletti personalità d’ogni genere, tutte d’alto profilo nel loro campo: cultura, politica, economia, spettacolo, sport eccetera. Potrei snocciolare centinaia di nomi, mi astengo. E lo dimostra la mia presidenza del comitato per i duecento anni della città: ne vado fierissimo”.

-Contro l’Italia contemporanea?

“Se parliamo di politica, certamente: inaffidabile, inguardabile, irredimibile. 

Salvo miracoli. 

Ma qualcuno è convinto della possibilità che i miracoli avvengano?”.

-Contro gl’italiani contemporanei?

“Ahimè sì. 

Prevalgono ignoranza, superficialità, rozzezza. Fenomeno senza ritorno, temo”.

– Contro l’uno vale uno?

“Assolutamente. 

La democrazia, aveva torto Churchill, non è il migliore dei sistemi di governo possibili. 

Meglio il mandarinato cinese, che scartava coloro che si presentavano per essere investiti di cariche. O l’oligarchia inglese, che premiava gli appartenenti a un apprezzato ceto sociale”.

-Contro il voto popolare, dunque…

“Si capisce. 

Se tirassimo a sorte per scegliere i responsabili delle destini del Paese, forse otterremmo un risultato migliore di quelli solitamente usciti dalle urne”.

-Chiudiamo con modestia?

“È una mia caratteristica. 

Non a caso sono nato lo stesso giorno, il 17 aprile, in cui vide la luce Gesù di Nazareth”.

-Come Lui, absit iniuria, MdPR è immortale…

“Ovviamente. 

Muoiono sempre gli altri, diceva Totò. 

Sottoscrivo”.

Il Fatto Quotidiano 

intervista di

Alessandro Ferrucci

11 giugno 2022

Montanelli lo definì “un implacabile censore”; per Giuliano Ferrara è un “maniaco perfetto”; per Roberto Gervaso è “il terrore di chi scrive e la delizia di chi legge”. 

In realtà lui è stato ed è ‘Il Gran Pignolo’ del giornalismo. 

“Tutto nasce nel 1996, durante la campagna elettorale negli Stati Uniti: leggevo il Foglio e trovavo in continuazione delle imprecisioni; così un giorno invio un fax per correggerle, ma senza speranza, perché mi era capitato lo stesso con altri giornali ma nessuno mi aveva mai risposto. 

E invece quel fax l’ho ritrovato in pagina il giorno successivo”. 

Da lì è iniziata un’altra vita.

Lui è Mauro della Porta Raffo, cognome nobile che in realtà è molto, molto più lungo, accorciato per i comuni mortali e per esigenze di stampa; da anni è la bacchettata sulle dita dei giornalisti, è il professore che mette dietro la lavagna dopo un grave errore segnato con la matita blu. 

È implacabile “e non sbaglio mai”. 

Sotto di lui sono caduti in tanti (“soprattutto Biagi”), eppure “a scuola andavo malissimo”. 

E da allora è diventato pure un implacabile scrittore di libri.

È preparatissimo.

“Io so tutto. 

Se vuole le dico la stessa frase ma in tedesco, con le parole del maestro ebanista di Karl Popper”.

La interrogano per verificare tale onniscienza?

“In realtà no”.

A volte bluffa?

“(Stupito) Nooo. 

Allora aggiungo: non solo so tutto, ma non millanterei mai.

È chiaro che mi riferisco a determinati argomenti, di chimica, fisica o matematica non so nulla”.

Al Rischiatutto con quale argomento si sarebbe presentato?

“Forse cinema”.

Era amico di Dino Risi.

“Moltissimo; un uomo eccezionale, incredibile, di alto livello”.

Cinico?

“Assoluto, ed è fondamentale. 

Se ci pensa, quelle che vengono definite delle ‘commedie all’italiana’ in realtà erano tragedie. 

E Il sorpasso ne è l’emblema.”

“(Pausa) comunque Risi era un uomo divertente.

Prima di giornalismo e letteratura, di cosa si occupava?

“Agente assicurativo a Como, e sono nato il 17 aprile del 1944. 

E oltre a me sa chi è del 17 aprile? 

Gesù Cristo e Nero Wolfe, Rex Stout lo scrive in uno dei suoi romanzi.

Insomma, agente assicurativo…

Poi nel 1992 ho smesso e ho deciso di scrivere: all’inizio è stata una tragedia economica e ho pensato a quello che spiegava Piero Chiara (silenzio)”.

Cosa?

“Sono suo allievo, con lui ho intrattenuto un bel rapporto, soprattutto quando mi occupavo di politica, giocavo a biliardo e a carte”.

Insomma?

“Quando Piero Chiara lasciò la Giustizia, per tranquillizzare la madre, le disse che si sarebbe occupato della compravendita dei cavalli”.

E lei?

“Ecco, io per fortuna avevo qualcosa da parte e ho iniziato a scrivere per La Prealpina.

Il mio primo articolo l’ho dedicato alle elezioni statunitensi del 1992.

Democratico o repubblicano?

Non posso rispondere, sono presidente della Fondazione Italia-Usa”.

Nel 1992 era per Clinton o Bush Sr.?

“Bush”.

Obama o McCain?

“McCain era un uomo troppo rigido, sarebbe stato preoccupante come presidente”.

Montanelli l’ha definita un implacabile censore. 

I giornalisti la temono?

Tutti. 

Ed è ricorrente. 

Anche perché non sbaglio mai.

Mai.

È documentato dai miei articoli: solo le ‘pignolerie’ sono settecentocinquantadue.

E lì ho corretto tutti”.

Chi si è offeso?

“Enzo Biagi si inaspriva”.

Su cosa l’ha beccato?

“Nel mio libro gli ho dedicato sessantotto pagine.

Biagi spesso sbagliava le citazioni”.

Qualche giornalista le ha mai chiesto ‘pietà’?

“Un paio di giovani signore.

Una volta ho sbagliato pure io e mi sono autocorretto”.

Cioè?

“Un giorno ho definito Dionigi il Piccolo come monaco sciita, con due ‘i’ e non era possibile perché gli Sciiti sono arrivati un secolo e passa dopo. 

In realtà era scita, con una ‘i’ sola, arrivato dalla Scizia”.

Quando ha scoperto la sua dote?

“Tutto deriva da mio padre quando da piccolo mi ha regalato le enciclopedie. 

Ho imparato ogni cosa da solo”.

Guarda i quiz televisivi?

“Nel 2000 e 2001 sono stato consulente del Quiz Show: controllavo le domande e le risposte; per questo, da concorrente, non sono ammesso”.

Ha un cognome nobile.

“Oggi questo conta poco o nulla, però vengo da un’antica famiglia romana”.

E cosa le è rimasto di quella cultura?

“Non me lo chiedo, ma non è un piano che mi piace, oramai il mondo è diverso”.

Ha l’anello al mignolo?

“Certo, lo porto ancora”.

Oltre al cinema, quale altra materia?

“So tutto dello sport, ma non solo i grandi, pure il curling o le freccette”.

Ha scritto “adoro invecchiare”.

“Perché più si va avanti e più imparo.

E voglio avere il tempo per farlo

Ancora: “Umiltà e modestia sono difetti”.

“Chi si definisce tale è perché ha delle gravissime pecche”.

Si è mai sentito sminuito?

“All’inizio da Luca Goldoni.

Quando non ci conoscevamo di persona ho segnalato un suo errore in un articolo sul Corriere. Il giorno dopo, sempre sul Corriere, mi ha definito ‘topo da biblioteca’.

 Anni dopo siamo diventati grandi amici”.

Quanti libri ha scritto?

“Dal 1992 più di trenta ma sarei potuto arrivare tranquillamente a cinquanta”

Lei chi è?

“Uno straordinario nonno”.

Valeva la pena…

(Ho avuto ed ho Famiglie assolutamente splendide.

D’origine, quella per i rami dei miei Genitori, unica da ogni punto di vista.

Ne ho poi formato con Sissi una seconda, caratterialmente contrastatissima e per questo oltre modo feconda.

Devo moltissimo ad Alessandra e a Federica.

A quest’ultima e al marito Gabriele, a me caro, i due incredibili abiatici Giulio e Tommaso.

Ciò detto, di seguito – chissà quanti altri temi trascurando essendo impossibile, ovviamente, la completezza – le passioni, le persone, le musiche, i libri, i film… che è stato bello conoscere e amare vivendo).

L’entrata del pianoforte nel secondo movimento del Concerto ‘Imperatore’ di Ludwig van Beethoven nell’interpretazione di Claudio Arrau (per quanto, Van Cliburn a Mosca nel 1962…).

– L’Andante con moto dal Trio opera 100 di Franz Schubert.

– Le Ouverture di Franz von Suppé.

– Carlo Bergonzi in ‘Addio alla madre’ da ‘Cavalleria rusticana’ di Pietro Mascagni, ma, naturalmente, non solo.

– La voce bronzea di Franco Corelli

– ‘Widmung’ di Robert Schumann e ‘Widmung’ di Schumann/Liszt.

– Egon Schiele, sempre. 

Pablo Picasso, Salvador Dalì e Gustav Klimt spesso.

– Il ‘Cristo Morto’ di Hans Holbein il Giovane del Kunstmuseum di Basilea.

– ‘San Pietro in lacrime’ di Bartolomé Esteban Murillo.

– Katharine e Audrey Hepburn.

– Sofia Loren in ‘Una giornata particolare’ di Ettore Scola.

– Marlène Jobert ovunque e comunque.

Isa Miranda in ‘Le mura di Malapaga’. 

La corsa di Shirley MacLaine nel finale de ‘L’appartamento’.

– ‘Festa mobile’, ‘Il mio vecchio’ e ‘Breve la vita felice di Francis Macomber’ di Ernest Hemingway.

– ‘Smoke Bellew’ di Jack London, per capire come deve essere una donna.

– ‘La giumenta verde’ di Marcel Aymé, per comprendere come deve essere un uomo.

– Vittorio Gassman in ‘La famiglia’ di Ettore Scola, specie nel finale.

– ‘On Raglan Road’ di Patrick Kavanagh, nell’interpretazione di Luke Kelly e, ovviamente, la morte di Brendan Gleeson nel bellissimo ‘In Bruges’ di Martin McDonagh.

– Michael Douglas in ‘Wonder boys’ di Curtis Hanson.

– Dashiell Hammett e Raymond Chandler sempre e Lillian Hellman quando scrive del primo.

– Lucio Anneo Seneca, Giuliano l’apostata, Oscar Wilde, Jorge Luis Borges.

– Orson Welles e Robert Mitchum in ogni caso.

– Burl Ives in ‘La gatta sul tetto che scotta’.

– Harvey Keitel nel ruolo di Auggie in ‘Smoke’.

– Danny De Vito che suona ‘I’m in the mood for Love’ col violino in ‘I soldi degli altri’.

– L’apparizione di Henry Silva in ‘Ghost dog’.

– Lee Marvin in ‘Contratto per uccidere’.

– Walter Matthau sempre e in particolare in ‘Chi ucciderà Charley Varrick?’

– Charles Bronson in ‘C’era una volta il West’ e con James Coburn, in ‘L’eroe della strada’.

– Paul Newman in ‘Lo spaccone’.

– Sterling Hayden in ‘Rapina a mano armata’ e ‘Johnny Guitar’.

– Anthony Quinn nei panni di personaggi ‘più grandi della vita’.

– ‘L’Immortale Peruviana’ di Esteban Canal.

– John Steinbeck, eccome.

– Rod Laver, Nicola Pietrangeli, Pat Cash (sull’erba e finché non si è ‘rotto’), Jimmy Connors, John McEnroe, Vitas Gerulaitis, Henry Leconte, Andres Gomez, Fernando Gonzalez (quando gli funzionava il terrificante ‘dritto’), Martin Del Potro, naturalmente Roger Federer, il determinatissimo Novak Djokovic, il sempre più nobile Rafael Nadal  e, per il piacere e l’emozione che ha dato il suo divino ‘rovescio a una mano’, Stanislas Wawrinka.

– Martina Navratilova , Chris Evert, Steffi Graf, Roberta Vinci quest’ultima dall’eccezionale ‘rovescio in back’.

– Rocky Marciano su tutti (che dire del tredicesimo round del primo match con Jersey Joe Walcott?) ma anche Roberto ‘mano di pietra’ Duran i due ‘paesani’ Rocky Graziano e Jake La Motta e lo spettacolare mio amato sodale Sandro Mazzinghi.

– Fred Astaire e gli altri di Omaha, Nebraska (Montgomery Clift, Marlon Brando, Nick Nolte, Malcolm X, Gerald Ford, Max Baer, Warren Buffett, Andy Roddick…)

– ‘Nuova enciclopedia’ di Alberto Savinio.

– Suo fratello Giorgio De Chirico.

– ‘I don’t want to talk about it’ e ‘Grace’ di Rod Stewart.

– David Lodge, specie per ‘Il professore va a congresso’.

– ‘Il canone occidentale, di Harold Bloom.

– Betsabea

– ‘Nessun uomo è un’isola’ di John Donne.

– La voce e lo stile di Dean Martin.

– ‘Hotel Supramonte’ cantata da Andrea Parodi.

– Bernard Hinault.

– Gli ultimi venti secondi di ‘Casco d’oro’ e, comunque, Jacques Becker.

– ‘L’ussaro sul tetto’ di Jean Giono.

– Cavallo Pazzo

– Charles De Gaulle.

– ‘Una donna e una canaglia’ di Claude Lelouch.

– Kurt Weill, John Huston, Indro Montanelli, John Quincy Adams, Teddy Roosevelt, Lyndon Johnson. E i ‘cinquanta semidei’ che hanno fatto gli Usa.

– L’America, ma solo nei dipinti di Edward Hopper.

– Emilio Salgàri e Jules Verne.

– Giovanni Malagodi, Piero Chiara, Luigi Zanzi senior, Leonardo Bellanca e Giuliano Ferrara.

– Dino Risi, vecchio e caro amico.

– ‘Crocevia della morte’ dei fratelli Coen. 

– ‘Zio’ Yul Brynner. 

– Woody Allen, in particolare per ‘Harry a pezzi’ e meno ma di poco in ‘Basta che funzioni’. 

– L’apparizione di Dorothy Malone in ‘Il grande sonno’ di Howard Hawks.

– Claude Sautet, sempre. 

– Yves Montand, inarrivabile nei film di Sautet. 

– ‘Quinto potere’ sceneggiato da Paddy Chayevsky e con William Holden. 

– ‘Sentieri selvaggi’ dalla imperdibile prima scena, un’emozione infinita.

– Emiliano Zapata, Lope De Aguirre, Jacobo Arbenz Guzman, Bobby Fisher, Margaret Thatcher.

– ‘Il mondo secondo Garp’ e, quasi, ‘Vedova per un anno’ di John Irving.

– Romy Schneider verso i quarant’anni: la più bella, probabilmente.

– I film del 1975: 

‘Il vento e il Leone’ di John Milius. 

‘Stringi i denti e vai!’ di Richard Brooks. 

‘L’uomo che volle farsi re’ di John Huston. ‘Shampoo’ di Hal Ashby. 

‘Marlowe’ di Dick Richards. 

‘Barry Lyndon’ di Stanley Kubrick. 

Il già citato ‘L’eroe della strada’ di Walter Hill.

– Maggie Smith.