Con i suoi 440mila euro è il comune di Milano quello che si aggiudica le donazioni più cospicue dal 5 per Mille. E’ quanto emerge da una elaborazione di Centro Studi Enti Locali (Csel) per l’Adnkronos. Se per l’8 per mille la scelta è limitata tra mondo religioso e Stato, per il 5 per mille, rileva il Centro Studi, il novero delle opzioni è vastissimo. Con questo strumento i contribuenti possono devolvere una quota pari al 5 per mille della propria Irpef al finanziamento di alcuni enti che perseguano specifiche finalità non lucrative espressamente elencate dalla legge.
Ma quanti sono i cittadini che scelgono di devolvere a questi enti pubblici il 5 per mille del proprio Irpef? Sono 6.417 i comuni che nel 2021 hanno beneficiato di donazioni derivanti dal 5 per mille. Una elaborazione di Centro Studi Enti Locali basata su dati del Viminale mostra come nell’anno finanziario 2019 (anno d’imposta 2018) complessivamente questi enti siano stati destinatari di 16 milioni di euro, pari a un quarto di quanto assegnato al soggetto in assoluto più scelto: l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro. Quest’ultima, da sola, ha beneficiato di 65 milioni di euro: 47 milioni per indicazione diretta e 18 milioni in virtù del meccanismo che redistribuisce in modo proporzionale alle scelte espresse, le quote del 5 per mille per le quali non è stata esplicitata una destinazione.
I Comuni non sembrano dunque avere particolare appeal tra coloro che devono indicare dei beneficiari di queste risorse. Mediamente gli oltre 6mila enti hanno beneficiato di 2.500 euro ciascuno, con grandi differenze però, legate a doppio filo – ovviamente – anche con le loro dimensioni. Si va da 14 euro di Catenanuova, in provincia di Enna, ai 440mila euro di Milano, che è l’ente locale che ha beneficiato dei contributi in assoluto più alti. Seguono la città meneghina, nell’ordine, Roma (con 396mila euro), Torino (con 165mila euro), Bologna con 111mila euro e Napoli con 92mila euro. In generale, superano quota 20mila euro soltanto 69 comuni su 7.904: poco meno dell’1%. In oltre 1.400 enti, inoltre, non un singolo contribuente ha optato per lasciare che fossero i propri amministratori a impiegare il proprio contributo per finanziare la spesa sociale sul territorio.
Se guardiamo ai dati aggregati per province, appare evidente come il grosso delle risorse del 5 per mille sia confluito verso gli enti locali del nord Italia. Fatta eccezione per la provincia di Roma che, con i suoi 657mila euro, occupa la settima posizione, le restanti 9 province che occupano la top ten sono infatti tutte settentrionali. In primis Milano, con 1,3 milioni. A seguire, Vicenza con poco più di 830mila euro, Torino con 740mila, Treviso con 710mila, Bergamo con 543mila euro, Brescia con quasi 480mila e Bologna con 440mila euro.
Per trovare la prima provincia del mezzogiorno, che sicuramente sconta in questo anche il fardello di redditi mediamente più bassi, occorre scendere fino al 19esimo posto, occupato dalla provincia di Napoli, i cui enti locali si sono visti destinare globalmente 235mila euro.
I fondi derivanti dall’8 per mille a gestione statale coprono solo il 20% delle domande avanzate dai comuni per quanto riguarda la messa in sicurezza delle scuole. Ciò che colpisce, rileva il Csel, “è l’abisso tra le risorse disponibili e quelle richieste, destinate a rimanere insoddisfatte per l’80%. A fronte di istanze presentate per poco meno di 115 milioni di euro, le risorse disponibili che saranno effettivamente ripartite ammontano infatti a soli 22,4 milioni”.
Per capire la vastità del numero di opere che non potranno essere realizzate, sottolinea Csel, “basti pensare che i 192 comuni richiedenti di sud e isole hanno, da soli, avanzato istanze per quasi 68 milioni di euro, oltre un triplo della dotazione del fondo. I 111 comuni richiedenti, che sono localizzati nel nord Italia, hanno fatto domande di finanziamento per oltre 33 milioni mentre i 43 enti del centro, per quasi 14 milioni”.
Questi contributi, da destinare in via prioritaria ‘agli interventi di edilizia scolastica che si rendono necessari a seguito di eventi eccezionali e imprevedibili’, sottolinea il Csel, “sono determinati dalle scelte dei contribuenti italiani in tema di 8 per mille dell’irpef. Come noto, dal 2020, i cittadini che scelgono di destinare l’8 per mille allo Stato, possono anche specificare a quale delle cinque possibilità di intervento desiderano siano destinati i fondi: interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e ai minori non accompagnati, conservazione dei beni culturali, o ristrutturazione, messa in sicurezza ed efficientamento energetico delle scuole”. Sebbene negli anni si sia assistito a un timido ma costante aumento del numero di italiani che decidono di devolvere questa frazione delle proprie imposte allo Stato, rileva il Centro Studi, complessivamente questi rappresentano ancora una netta minoranza, che genera risorse contenutissime rispetto a quelle che convergono verso il mondo ecclesiastico.
Nel 2021 alla Chiesa cattolica 1,1 mld da 8X1000, allo Stato solo 215 mln
La Chiesa cattolica, seppure con lievi rallentamenti, continua a fare incetta di risorse aggiudicandosi nel 2021 1,1 miliardi contro i 215 milioni destinati allo Stato.
Per quanto riguarda i redditi 2017 ripartiti nel 2021, ad esempio, rilevai l Centro Studi, “solo il 15% delle scelte espresse dagli italiani è ricaduta sullo Stato, contro il 78,5% che ha optato per la Chiesa cattolica. Va detto, inoltre, che la maggior parte dei contribuenti (58%) non opera affatto una scelta e questo, a cascata, per il meccanismo vigente di redistribuzione delle risorse libere in misura proporzionale alle scelte espresse, finisce per premiare la Chiesa che è, appunto, saldamente il beneficiario preferito dai contribuenti italiani. Su oltre 41 milioni di cittadini che fanno una dichiarazione dei redditi, quelli che scelgono di lasciare queste risorse in capo alla fiscalità generale, sono solo 2,6 milioni, pari al 6% del totale”.Attualmente, rileva Csel, “ci sono 14 opzioni possibili tra cui scegliere: lo Stato e 13 enti religiosi. Ma quella che l’ha sempre fatta storicamente da padrona è, appunto, la Chiesa cattolica. La tendenza degli ultimi anni sembra indicare che questa enorme forbice sia destinata a ridursi perché il mondo ecclesiastico sta subendo una lenta erosione della propria base di ‘sostenitori’. Se fino al 2014 la Chiesa era sempre stata indicata da più dell’80% dei contribuenti, le stime del Mef per i riparti 2022 e 2023, riferiti ai redditi 2018 e 2019, la vedono ferma rispettivamente a quota 77 e 72%. Ciò nonostante, il divario è così ampio che è difficile immaginare un prossimo futuro in cui gli esponenti di questa confessione religiosa non catalizzeranno comunque la stragrande maggioranza delle risorse in ballo. Basti pensare che nel 2021 la Chiesa cattolica ha ottenuto 1,1 miliardi contro i 215 milioni dello Stato”.
Adnkronos