Il vaccino anti-Covid funziona e protegge anche le persone con malattie autoimmuni. Lo conferma uno studio condotto da medici e ricercatori dell’Azienda ospedaliero-universitaria e dell’università di Cagliari, pubblicato sulla rivista ‘Clinical and Experimental Medicine’.
Gli scienziati non hanno rilevato differenze nella risposta al vaccino a mRna contro il coronavirus tra persone sane e quelle con malattie infiammatorie immunomediate in terapia.
Sono state incluse nello studio 551 persone sane e 102 con quel tipo di patologie, con un’analisi separata per quelli trattati con farmaci anti-CD20, come rituximab o ocrelizumab, usati in alcune malattie autoimmuni sistemiche e nella sclerosi multipla.
Un mese dopo il completamento del ciclo vaccinale con due dosi, il 100% dei soggetti sani ed il 94% dei soggetti con malattie infiammatorie immunomediate mostrava una risposta anticorpale. Questi ultimi avevano un titolo anticorpale significativamente ridotto rispetto ai controlli, sia nel giorno del richiamo che un mese dopo, mentre non vi erano differenze cinque mesi dopo. Non sono state trovate differenze tra sottogruppi di patologie o in relazione al trattamento con immunosoppressori, corticosteroidi e farmaci biotecnologici diversi da quelli anti-CD20, un tipo di farmaci che agiscono interferendo con la risposta B-linfocitaria. Fra i pazienti trattati con anti-CD20, la proporzione dei responders e l’ampiezza della risposta anticorpale era significativamente ridotta.
“La conclusione di questo studio di ‘real-life'”, sintetizza Luchino Chessa, medico del Policlinico universitario di Cagliari, “evidenzia che non ci sono differenze sostanziali di efficacia tra soggetti sani e persone con malattie infiammatorie immunomediate in terapia per quanto riguarda la risposta al vaccino a mRNA anti-COVID-19, mentre rimane il problema dei pazienti che sono in terapia con farmaci che deprimono la risposta B-cellulare, ma la cui vaccinazione è in ogni caso consigliata”. “I soggetti immunodepressi sono considerati fragili per il maggior rischio di infezione e per le possibili gravi complicanze: per questo sono stati inseriti come categoria prioritaria nel calendario vaccinale nazionale anti-Covid 19”, ricorda Chessa, che ha lavorato allo studio assieme ai colleghi Davide Firinu, Stefano Del Giacco e Marcello Campagna (del dipartimento di Scienze Mediche e Sanità Pubblica), Andrea Perra (di Scienze Biomediche), Roberto Littera, medico immunogenetista della struttura complessa di Genetica Medica dell’ospedale Binaghi di Cagliari e Ferdinando Coghe, direttore sanitario e direttore del Laboratorio analisi chimico cliniche e Microbiologia dell’Aou di Cagliari.
La ricerca rientra nello studio ‘Corimu’, progetto condotto dai ricercatori dell’università di Cagliari sulla vulnerabilità all’infezione da SARS-CoV-2 e la gravità del quadro clinico nella popolazione sarda. I medici hanno confrontato la risposta anticorpale alla vaccinazione contro il Covid in pazienti con malattie infiammatorie immunomediate rispetto a persone sane.
A quasi due anni dall’inizio della pandemia, molti di coloro che hanno patologie autoimmuni temono il vaccino, come rilevato dai ricercatori. La ricerca si è concentrata su un campione di questi pazienti e di operatori sanitari dell’Aou di Cagliari, sottoposti da dicembre 2020 a vaccinazione con mRNA della Pfizer Comirnaty. Il giorno successivo al richiamo, un mese più tardi e cinque mesi dopo nei vaccinati è stato valutato il livello sierico degli anticorpi IgG anti-S-RBD del SARS-CoV2.