
Sono i legumi una delle migliori coltivazione “a impatto zero” per la tutela dell’ambiente e per affrontare il cambiamento climatico (oltre che ottimi per la salute umana). Un ettaro coltivato a legumi, infatti, può trattenere fino a 200 chilogrammi di azoto, abbattendo l’emissione di CO2 ed evitando l’utilizzo di concimi azotati. Ai benefici per l’ambiente si uniscono anche quelli sulla salute umana: secondo studi scientifici, il consumo giornaliero di legumi aiuta a diminuire fino al 38% la possibilità di infarto. Al mondo, su circa 81 milioni di ettari coltivati a legumi, i fagioli secchi sono al primo posto (34%), seguiti da ceci (18%) e piselli (14%). Ma in Italia la coltivazione è “ancora scarsa”, per questo “è auspicabile un netto aumento delle superfici” dedicate ai legumi. ù A tracciare il quadro è l’Accademia nazionale di Agricoltura di Bologna, nel corso di un incontro del ciclo “I Mercoledì dell’Archiginnasio”, svolto ieri in modealità online alla presenza di docenti e ricercatori dell’Alma Mater e dell’Università di Camerino, e imprenditori agricoli. “Non tutti sanno che l’elevato contenuto di proteine dei legumi- spiega Paolo Parisini, già associato all’Università di Bologna e imprenditore agricolo- è legato alla loro peculiare capacità di fissare l’azoto dall’atmosfera attraverso l’azione di batteri simbionti che vivono sulle loro radici”. Ad esempio, un ettaro coltivato a fava “può fissare fino a 200 chili di azoto, affranca l’agricoltore dal ricorso ai concimi azotati ottenuti per sintesi chimica e abbatte l’immissione di CO2 nell’atmosfera”, spiega Paolo Ranalli, già direttore del dipartimento trasformazione prodotti agroindustriali di Crea. Anche per questo, sostiene Parisini, “in Italia è auspicabile un netto aumento delle superfici e delle rese ettariali per soddisfare l’aumento dei fabbisogni e per sfruttare i molteplici fattori positivi quali la capacità azoto-fissatrice, l’apporto elevato di proteina, la possibilità per alcuni legumi di essere coltivati in terreni poveri e non irrigabili e permettere la rotazione nella coltivazione di cereali senza ricorrere a massive quantità di concimi”. Il rilancio dei legumi nell’agricoltura italiana, tra l’altro, “può giovarsi dei sussidi erogati dalla Ue attraverso la Pac- suggerisce ancora Ranalli- gli input più significativi devono però venire dallo sviluppo di nuove cultivar resistenti a stress biotici e abiotici, resilienti e più adatte alle nuove condizioni colturali provocate dai cambiamenti climatici”. Per avere successo, però, queste “azioni devono essere supportate da un aggiornamento puntuale delle innovazioni che la ricerca e la sperimentazione mettono a punto e ad oggi purtroppo non ci sono compendi monografici su queste piante”. D’aiuto per l’ambiente, dunque, ma anche per l’organismo. I legumi infatti sono ricchi di vitamine, sali minerali e fibre, ricorda Cristina Angeloni, docente di Biochimica all’Università di Camerino, e “agiscono come un vero e proprio alimento per i batteri probiotici che risiedono nell’intestino”. La loro azione serve a “migliorare la salute del colon e ridurre il rischio di cancro”, spiega Angeloni, ma aiuta anche ad “assumere gli alimenti, regolare la glicemia dopo i pasti e migliorare la sensibilità all’insulina. Diversi studi hanno evidenziato un’associazione tra un elevato consumo di legumi e un minor rischio di soffrire di patologie cardiovascolari”, diminuendo “fino al 38% la possibilità di infarto- afferma l’esperta- è stato suggerito che l’assunzione di 150 grammi al giorno di legumi cotti nella dieta sia associata a una minore mortalità nella popolazione”.