
Seguire un’alimentazione ricca di grassi potrebbe interferire con l’orologio biologico legato alla sensazione di sazietà, il che potrebbe portare ad abitudini scorrette sul cibo e di conseguenza all’obesità. A suggerirlo uno studio, pubblicato sul Journal of Physiology, condotto dagli scienziati dell’Università Jagellonica, a Cracovia, e dell’Università di Bristol, che hanno utilizzato un modello murino per valutare gli effetti di un regime alimentare ricco di grassi sui meccanismi cerebrali. Dal 1975, riportano gli autori, il numero di persone obese è quasi triplicato a livello mondiale, come i casi di malattie cardiache, diabete di tipo 2, ictus e alcuni tipi di cancro. Questo lavoro, ipotizzano gli scienziati, potrebbe ricoprire un’importanza fondamentale per le ricerche future, volte a ripristinare il corretto funzionamento dell’orologio biologico nel cervello. Storicamente si credeva che l’orologio biologico principale fosse localizzato nell’ipotalamo, ma nel corso degli anni si è scoperto che anche altre parti del corpo possono gestire una certa parte dei ritmi quotidiani del corpo, come i livelli ormonali e l’appetito. Il gruppo di ricerca ha diviso i topolini in due gruppi, uno dei quali ha seguito una dieta bilanciata, mentre gli altri sono stati assegnati a un’alimentazione ricca di grassi. Gli animali sono stati monitorati per quattro settimane consecutive. Esaminando l’attività neuronale del tronco cerebrale evolutivo, gli studiosi hanno valutato i cambiamenti circadiani dell’attività neuronale e le risposte neuronali agli ormoni metabolicamente rilevanti in ciascuno dei gruppi di studio. Questo lavoro, sostengono gli autori, suggerisce nuove opportunità di ricerca per valutare strategie su come ripristinare le funzioni dell’orologio biologico cerebrale e potenzialmente combattere l’obesità. “Siamo davvero entusiasti di questi risultati – sostiene Lukasz Chrobok dell’Università Jagellonica – che offrono una serie di possibilità per affrontare i crescenti problemi di salute collegati all’obesità. Speriamo che il nostro lavoro possa offrire nuove opportunità terapeutiche”.