L’ex capo degli Usa ha indetto una class action contro le tre società e i loro amministratori delegati. L’accusa è di censura dei conservatori.
Trump lancia un monito contro le piattaforme che lo hanno declassato, rinviando al primo emendamento della costituzione. Richiede quindi il ripristino degli account e un risarcimento danni. “Chiederemo di mettere fine a questa penalizzazione ombra, a questo silenziare, ricattare, bandire e cancellare ciò che voi conoscete benissimo”, ha annunciato in conferenza stampa.
Il tycoon è stato cacciato dai social per aver diffuso le sue false accuse di brogli elettorali e per aver incitato i suoi fan a occupare il Congresso il 6 gennaio scorso al fine di ribaltare l’esito delle elezioni. Il timore è che l’ex presidente possa istigare un altro assalto, per questo la Silicon Valley ha deciso di bandirlo, ma lui non ci sta. Non potendo più comunicare attraverso i social ha indetto una class action.
L’iniziativa, però, sembra non avanzare come Trump sperava, poiché in base alla sezione 230 della Communications Decency Act del 1996, le società internet sono esentate dalla responsabilità dei contenuti postati da terzi e sono autorizzate a moderare i loro servizi rimuovendo i post che violano gli standard da loro fissati, dalla violenza al razzismo. Trump ed altri conservatori accusano Twitter, Facebook e altri social di aver abusato di questa tutela e chiedono di regolarla attraverso condizioni poste dal governo. Nel frattempo, in Florida il giudice federale ha bloccato temporaneamente una nuova legge statale, favorita dai repubblicani, che regola come i social media possono moderare i contenuti. Il giudice ha affermato che il provvedimento viola il primo emendamento sulla libertà di espressione. La legge in questione prevedeva multe sino a 250 mila dollari per le piattaforme online che sospendono i politici e autorizzava i cittadini della Florida che si ritengono “trattati in modo ingiusto” e danneggiati finanziariamente a fare causa alle società tech.