
Chi ha delle responsabilità istituzionali nella Ue e nell’Eurozona dovrebbe meditare da subito sul recente Rapporto del Gruppo dei 30 (″Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid”), un forum che si occupa di economia e finanza e dove, in questa occasione, si affronta il tema della ristrutturazione e del rilancio dei sistemi economici post-pandemia. Il Rapporto, coordinato da Mario Draghi e da Raghuram Rajan, è un elaborato complesso di alte competenze internazionali in materia economica e finanziaria che tracciano le strategie per superare la più grave crisi del Dopoguerra. Per questo rappresenterà a lungo un riferimento per capire l’urgenza delle scelte presenti collocate in una prospettiva storica. Il rapporto può servire anche all’Europa per l’implementazione del Piano di Ripresa e Resilienza della Ue e sulle connesse scelte di politica economica dei Paesi membri. Ovvio che il Rapporto non riguarda la Ue e l’Eurozona, ma qui lo declino riflettendo sulla impostazione di Draghi, che viene da lontano. Farò uso quindi di varie citazioni consapevole della possibile arbitrarietà della selezione.
Draghi e le politiche europee dal 2011
Scelte urgenti e visione lunga sono una tipica caratteristica della analisi e della azione di politica economica di Mario Draghi. Si prenda il suo famoso “Whatever it takes” del luglio 2012 dal quale mosse la politica monetaria della Bce, che gradualmente (senza improvvisazioni) giunse fino all’ottobre del 2019 quando Draghi cessò dalla presidenza della Bce. Allora Draghi disse che ci si trovava “in una situazione caratterizzata da bassi tassi di interesse che non forniscono più lo stesso grado di stimolo registrato in passato, a causa della diminuzione del rendimento sugli investimenti nell’economia”. Per questo, egli disse, la politica monetaria poteva raggiungere i suoi obiettivi solo se affiancata dalle politiche di bilancio. Su questa evidenza Draghi aggiunse: “Da novembre 2014, infatti, la Bce pone sempre più enfasi sulla combinazione delle politiche macroeconomiche nell’area dell’euro. Una politica di bilancio più attiva nell’area consentirebbe l’aggiustamento più rapido delle nostre politiche e determinerebbe tassi di interesse più elevati”. Ed infine concluse che “le politiche di bilancio nazionali non sempre possono garantire il giusto orientamento per tutta l’area dell’euro. Il coordinamento delle politiche di bilancio decentrate è per sua natura complesso. Politiche non coordinate non bastano, in quanto gli effetti di propagazione tra i paesi delle politiche espansive sono relativamente bassi. Per questo l’area dell’euro ha bisogno di una capacità di bilancio di entità e struttura adeguate: sufficientemente ampia per stabilizzare l’unione monetaria, ma pensata in modo tale da non creare un eccessivo azzardo morale”.
Draghi e le politiche europee dal 2020
Nelle interviste rilasciate a commento del Rapporto del G30 e pur nella incertezza insita in ogni intervista sia pure “tra virgolette”, Draghi dà alcune raccomandazioni che, forse con una certa mia forzatura, vedo allineate con la sua visione della Costruzione europea anche nel post Covid. Draghi premette che nell’emergenza si è fatto bene tutto il possibile per evitare il tracollo socio-economico. Ne seguono varie raccomandazioni.
La prima riguarda i debiti pubblici e gli investimenti. “In base a tutte le previsioni, i tassi d’interesse resteranno bassi per molto tempo […]. La mia congettura è che, in ultima analisi, la sostenibilità del debito pubblico in un certo Paese sarà giudicata sulla base della crescita e quindi anche di come verranno spese le risorse di Next Generation EU. Se saranno sprecate, il debito alla fine diventerà insostenibile perché i progetti finanziati non produrranno crescita. Se invece i tassi di rendimento dei progetti fossero elevati e tali da giustificare l’investimento pubblico, allora la crescita arriverebbe e diventerebbe il fattore decisivo per la sostenibilità del debito”.
La seconda raccomandazione è che Paesi con debito elevato facciano una valutazione molto rigorosa del tasso di rendimento dei progetti di investimento che finanzieranno. La visione che Draghi ha del tasso di rendimento è economica e sociale, ma non certo di breve periodo perché riguarda anche l’istruzione, la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica che hanno rendimenti differiti, ma crescenti nel tempo. Ciò che va calcolato e dimostrato comporta che nessun investimento sia replicativo di vecchie filiere di spesa improduttiva. E a tal fine, aggiungo, il riferimento qualitativo e quantitativo a casi virtuosi e di successo di altri Paesi europei che andrebbero trapiantati.
Molte successive parti del Rapporto riguardano la collaborazione tra pubblico e privato, il nesso tra banche e imprese, la possibilità di creare bad banks, il problema di quali imprese salvare e far crescere e quali no, la questione dimensionale di banche e imprese ed altro ancora. Tutto ciò richiederebbe analisi specialistiche impossibili da fare in questa sede.
Una conclusione euro-italiana
In questo fine 2020 la Banca centrale europea è arrivata al limite delle sue possibilità di intervento perché tassi di interesse zero o negativi non fanno parte della fisiologia dello sviluppo. Nella visione di Draghi mi sembra sia chiaro che nessuna Istituzione euro-nazionale deve illudersi che il debito pubblico venga monetizzato o consolidato o cancellato. L’accento di Draghi è quindi concentrato più sulla economia reale e sulle politiche di investimento. La Ue ha fatto nel 2020 un passaggio cruciale con il varo di quelli che sono, sia pure nelle più varie denominazioni, Eurobond. Adesso spetta ai singoli Stati investire al meglio i fondi sotto il controllo delle Istituzioni europee. Qui sta gran parte degli interrogativi sul successo del passaggio dalla emergenza alla creazione di una vera unione economica e monetaria sulla quale il “rapporto dei 5 Presidenti” (uno dei quali era Draghi) del giugno 2015 aveva già prefigurato una tabella di marcia piuttosto dettagliata. Quanto all’Italia, credo che si tratti di una situazione dalla quale si uscirà solo attraverso una convergenza alle migliori pratiche della Repubblica per investimenti selettivi e innovativi che ci consentiranno di superare i molti dualismi, tra cui vi è quello di tanti talenti formatisi in Italia ed emigrati altrove.
Alberto Quadrio Curzio, Huffingtonpost.it