Verificare l’utilizzo di metodiche di next-generation per risalire all’identità di alcuni resti umani rinvenuti in una foiba in Slovenia. Con questo obiettivo l’Istituto di Medicina Legale di Lubiana, in collaborazione con Paolo Fattorini del Dipartimento di Medicina dell’Università di Trieste, ha avviato uno studio i cui risultati sono stati pubblicati su Forensic Science International Genetics. “In questa ricerca – si legge in una nota dell’ateneo triestino – sono stati analizzati 57 campioni di Dna estratti da altrettanti femori di soggetti rinvenuti nella fossa Konfin I, nel Comune di Loski Potok (Bassa Carniola), vicino all’attuale confine con la Croazia, che conteneva i resti di soldati sloveni, croati e serbi. In particolare, l’attività si è concentrata su 15 campioni che a causa della degradazione del Dna non avevano fornito nessun utile risultato con le metodiche standard. Con l’applicazione di metodiche di next-generation, gran parte dei campioni ha fornito dati genetici che hanno permesso un’identificazione certa”. Lo studio è stato avviato dopo che su incarico del governo Sloveno, attraverso un’indagine che è durata dal 2005 al 2009, la Commission on Concealed Mass Graves (Commissione sulle fosse comuni segrete) ha censito in Slovenia 581 fosse comuni contenenti i resti di circa 100.000 persone. Con il supporto finanziario della Slovenian Research Agency, dal 2007 era iniziata anche l’opera di identificazione di tali resti che prevedeva l’analisi del Dna ricavabile dai resti scheletrici, per confrontarlo con quello di consanguinei delle persone scomparse all’epoca. “Tale attività, coordinata da Irena Zupanic Pajnic, dell’Istituto di Medicina Legale di Lubiana, ha dovuto imbattersi in vari problemi di natura tecnica – sottolinea l’ateneo triestino – tra cui l’alto livello di degradazione del Dna che è estraibile da ossa che datano circa 75 anni”. Da qui l’avvio del nuovo studio.