Non è ancora svanita l’ipotesi di ripartire il 27 aprile. Le imprese chiedono chiarezza sulle condizioni di sicurezza al termine del lockdown
L’ultima speranza di una fine del lockdown produttivo anticipata a lunedì prossimo 27 aprile sembrava essersela portata via il premier Giuseppe Conte con il suo post su Facebook: riaprire prima del 4 maggio sarebbe da irresponsabili. Ma poi si riapre una speranza: il presidente del consiglio non esclude di dire sì alla lettera del governatore Rossi per una ripartenza a fine mese.
Il che potrebbe attenuare i mugugni facilmente immaginabili anche da parte del mondo dell’industria aretina, che già mordeva il freno. Eppure non basta ad accontentare gli imprenditori e le loro organizzazioni per niente rassegnati a mettersi sulla riva del fiume per aspettare: dateci almeno un quadro chiaro delle condizioni di sicurezza alle quali dovremo attenerci e non ditecelo soprattutto a mezzanotte del 3 maggio, come è successo con la tragicommedia dei codici Ateco.
In Toscana, a dire il vero, una serie di regole ci sono già, quelle dell’ordinanza che il governatore Rossi ha firmato sabato scorso, a cominciare dalla distanza sociale a un metro e 80 che ha indotto il presidente di Confindustria regionale Ranaldo a ritirare all’ultimo momento la sua firma, in attesa di consultazioni con le sue associazioni territoriali, che a cominciare da quella aretina sono più perplesse di lui.
Ci sono poi le questioni dei presidi individuali, le mascherine chirurgiche (doppie ove non sia possibile rispettare il metro e ottanta) difficili da trovare, almeno nella quantità necessaria, gli spazi di fabbrica da riorganizzare per adeguarsi alla distanza sociale (e soprattutto le piccole aziende faranno fatica a mettersi in regola), i termoscanner per misurare la febbre ai dipendenti anch’essi quasi introvabili se non nei modelli più cari che costano fino a 2 mila euro (ma per negozi, laboratori e aziende minori potrebbe bastare l’autocertificazione del lavoratore), la sanificazione degli ambienti (anche qui potrebbe essere sufficiente l’autocertificazione), il trasporto pubblico verso le fabbriche, con l’incentivo all’uso della auto private e quindi con i rischi eventuali di congestione del traffico.
Ma il problema dei problemi resta quello di chi riparte. Tutti? Oppure il governo selezionerà alcune categorie specifiche, a cominciare da quella dei virtuosi dell’export suggerita a Roma sempre dal governatore Rossi? Fosse questa la soluzione finale (ma ancora niente c’è di definito, perchè tutti premono per rimettersi in moto), la manifattura aretina sarebbe in rampa di lancio quasi al completo, a cominciare dalle sue colonne portanti, l’oro e la moda.
Non c’è infatti o quasi azienda provinciale che non arrivi a quella soglia del 25 per cento del fatturato che va all’estero posta da Rossi come l’asticella oltre la quale si può riaccendere il motore del sistema produttivo. Oro e moda, poi, vanno molto più in là, non a caso la percentuale di export locale sul Pil è dell’85%, 9 miliardi di produzione che prendono le vie dei mercati internazionali. Gli imprenditori dei gioielli hanno sì fretta di ricominciare ma non di tornare a produrre.
Dubai e Hong Kong, come gli Usa, i loro grandi mercati, sono ancora chiusi. Il settore moda, invece, scalpita: ci sono da preparare i campioni e i prototipi per la stagione autunno-inverno, che a questo punto è la prima sulla quale puntare, con la primavera-estate già perduta. Prada, 1200 occupati con l’indotto in Valdarno, è ancora ferma, ma Gucci a Firenze ha già riaperto il laboratorio prototipi di calzature e borse di lusso. Chissà che qualcuno, anche qui, non sia già tentato di imitarlo.
LaNazione