I due comici autori e protagonisti dello spettacolo “La classe non è qua”
(di Cesare Lanza per il Quotidiano del Sud) Pio e Amedeo è un duo di comici italiani formato da Pio D’Antini (Foggia, 25 agosto 1983) e Amedeo Grieco (Foggia, 20 agosto 1983). Tutti e due trentaseienni, affiatatissimi.Gran successo al Teatro Sistina di Roma in La classe non è qua, come autori e protagonisti. Brunello Vescovi ha intervistato Pio su La Stampa: «“La classe non è qua”: se lo dicono da soli Pio e Amedeo, il duo comico che ha iniziato il 2019 con il botto al Festival di Sanremo – le loro gag hanno fatto salire vertiginosamente gli ascolti – e ora concludono l’anno in tour nei teatri… – Pio, perché questo titolo? «Beh, dopo Sanremo la gente si aspetta da noi uno spettacolo di classe. Lo vorrei io, che cito Shakespeare, diversamente da Amedeo. Però poi ci ritroviamo alle prese con la nostra realtà». Sarebbe a dire? «Ci spingiamo oltre ogni limite, citiamo Hitler, parliamo di omosessualità. Scherzi a parte, la nostra è una battaglia contro il perbenismo. In tv e nel mondo dello spettacolo in generale hanno paura a dire questa o quella cosa perché temono di esser fraintesi o perché magari non fa share… Tipo quelli che dicono: ‘Io omofobo? Ma va’, ho tanti amici gay”»… Per voi la volgarità cos’è?«Qualcosa che non è nella parola, ma nella persona. Nei nostri spettacoli volano parolacce, ma con una certa faccia si possono anche dire certe cose. La volgarità può essere nel gesto, magari di un signore distinto». Con il pubblico trovate sempre empatia: come fate? «Siamo partiti da zero, e la gente l’avverte. Dopo certe nostre uscite leggiamo sui visi in platea frasi come: ‘Ecco, io l’ho sempre pensata, questa’. Ma si sarebbero vergognati a dirla. La gente ci dà sicurezza, ci sembra di ricevere una pacca sulla spalla: vai così, ché vai bene». Dalla tv ai live. «Ci sentiamo nel limbo: siamo l’ultimo baluardo dell’emittenza locale, visto che siamo partiti da Telefoggia, però siamo anche i primi del web. E così abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con gente diversa». In tv avete spopolato con Emigratis, dove prendevate di mira i vip. Tre edizioni, poi lo stop. Lo rifarete? «Ne parliamo ogni giorno, ma non abbiamo più l’età. La volta in cui inseguivamo la Merkel ci siamo visti addosso le lucine rosse dei laser: eravamo finiti nel mirino dei cecchini. Come lo racconterò a mia figlia?».
ERANO IN FASCE, CON AMEDEO AL PRIMO INCONTRO NELLA VITA
Quando ha incontrato Amedeo la prima volta? «Al reparto maternità. Una foto lo documenta: siamo nati a cinque giorni di distanza. Poi ci siamo ritrovati a undici anni,sotto casa: lui con i capelli rasati e il codino. Aveva i peli sulle dita dei piedi e zoccoli rossi: giocava in porta, a piedi nudi, come Ronaldinho nelle favelas». Che cosa vi distingue? «Io ho l’intuizione di proporre certe cose un po’ folli, però poi a un certo punto mi fermo. Amedeo, quando si butta, va oltre. Dove non arriva uno arriva l’al tro». In tv vi si rivedrà presto? «Abbiamo un progetto: siamo patiti dei programmi di Arbore, ci piacevano Vianello e Tognazzi. Così stiamo lavorando a un varietà adeguato ai tempi nostri»
POMPEI, LA MOSTRA FAVOLOSA SUL LUSSO DI GIULIO POLIBIO
All’Antiquarium degli Scavi di Pompei (Napoli) inaugurazione ieri mattina della mostra «Gli arredi della Casa di Giulio Polibio». Ampio spazio su “Il Mattino”: «Il racconto di una famiglia, di un personaggio pubblico, di individui strappati alla vita. Le loro abitudini, il vezzo e il desiderio di mostrare la propria ricchezza, attraverso il lusso negli arredi e negli oggetti di vita quotidiana. Così attraverso la mostra “Gli arredi della Casa di Giulio Polibio”, allestita con i numerosi reperti rivenuti nella dimora, ci si immette in quella che doveva essere la vita di una ricca famiglia pompeiana, quella di Giulio Polibio.
LUCERNE, TEGAMI SFARZOSI UN ANELLO E I DADI DA GIOCO
Oltre 70 oggetti, tra lucerne, porta-lucerne, bruciaprofumi, vasellame per la cottura degli alimenti (pentole per bollire, tegami per friggere, olle per la bollitura di focacce e verdure),coppe per banchetti e bottiglie in vetro, scaldavivande, candelabri, un anello con sigillo in bronzo con il nome forse del vero proprietario della casa, il calco perfetto di un cesto in vimini, un salvadanaio in terracotta, dadi da gioco e altro ancora. Ma anche il tentativo di dare un aspetto agli abitanti della casa, raccontato attraverso i volti ricostruiti di tre delle vittime rinvenute. Il viso di una ragazza di meno di 20 anni, agli ultimi mesi di gravidanza al momento dell’eruzione, quello di un uomo adulto tra i 25 e i 35 anni e quello di un uomo anziano, intorno ai 60 anni di età. Una ricostruzione effettuata partendo dai crani dei tre sfortunati, pioneristica per l’epoca in cui fu realizzata (anni ’70). La ricostruzione consistette nell’applicare sul modello in scala 1:1 del cranio strati di plastilina dello spessore corrispondente a quello della muscolatura standard. Vennero in seguito effettuate ulteriori indagini sul Dna degli individui, portando a stabilire alcuni legami di parentela. Gli antropologi fisici Maciej e Renata Henneberg identificarono 13 individui: 3 maschi adulti, 3 femmine adulte, 6 subadulti e un fetone gli ultimi mesi di vita intrauterina