«Guardi, son riuscito a fare scrivere “Forza Inter” al Cav»
L’ex patron dei nerazzurri ha costruito un impero con le mense «Moratti è un amico, con Berlusconi buon rapporto da sempre»
(di Cesare Lanza per LaVerità) L’ho conosciuto nel 1984, quando si diffuse la notizia che Ernesto Pellegrini aveva preso l’Inter. Mi incuriosiva. Andammo a pranzo. Mi impressionò la sua spontanea semplicità. Gli dissi che lo aspettavano le prime pagine, la notorietà, la popolarità, le forti emozioni e le inevitabili polemiche: qual era il suo stato d’animo? Mi guardò negli occhi – mi sembrava smarrito – e mormorò: «Ho visto i compensi dei calciatori e ho pensato che dovrò venderne molte, di mense, per riuscire a far quadrare i conti». Umile? Anche. E concreto, essenziale. Ci siamo incontrati tante volte, da quel giorno, e oltre a quelle qualità ne ho scoperte altre. Due sono congiunte e preziose: la sensibilità nel capire, senza chiacchiere, i problemi di chi ha difficoltà, e la generosa, fisiologica, solidarietà verso chi soffre.
PARTITO DAL NIENTE
Di certo, Pellegrini è un uomo speciale, fuori dal comune, e sono molti a pensarla come me. Per aiutare i poveri (cosa di cui parla pochissimo e mai si vanta) ha creato una fondazione apposita e si è limitato a dire, anche a me: «La fondazione è un modo per ringraziare Dio di ciò che ho avuto dalla vita: tanto, moltissimo. Ho voluto farlo partendo da quello che so fare: ristorare le persone, dare nutrimento e conforto, due cose che oggi mi sembrano particolarmente importanti». Dio lo avrà pure aiutato e sostenuto, ma Pellegrini ha contato, comunque, sulle sue forze. Si è fatto da sé, da zero. Dice di essere – sempre schivo – un uomo fortunato. Ha passato momenti difficili, a 20 anni era un semplice impiegato alla Bianchi, a 23 capocontabile, a 24 la svolta: un sindacalista gli propose di gestire la mensa aziendale, poi il suo capo gli regalò 150.000 lire come incentivo e con quei soldi cominciò la sua attività di imprenditore. Oggi Ernesto è il re delle mense e della ristorazione: nel 2018 ha registrato una crescita del fatturato intorno al 9% rispetto all’anno precedente. La sua impresa ha festeggiato nel 2015 i primi 50 anni di vita e, passo dopo passo, è cresciuta anche all’estero e con intelligenza strategica si è diversificata (oggi il business della ristorazione costituisce «solo» il 41% del fatturato). Tra le aziende clienti ci sono Mediaset, Nestlé, università come lo Iulm. Dal 1979 Pellegrini gestisce mense anche in Africa e negli Emirati Arabi Uniti. Al suo fianco la splendida figlia Valentina (vicepresidente del gruppo), che si è adeguata agli insegnamenti del padre, per gli investimenti e l’innovazione, «da sempre nel nostro Dna di impresa famigliare che deve competere con diverse multinazionali». Ernesto dixit: «Sì, da sempre reinvestiamo interamente gli utili per sostenere il nostro sviluppo: puntare su qualità e relazioni con le persone ci ha permesso una fidelizzazione unica con clienti che sono con noi da 50 anni, come Siemens e Fontana».
UNA FAVOLA MODERNA
Poi, c’è una pagina meravigliosa: una favola moderna, intessuta nella realtà milanese, «coeur in man». La storia di Ernesto e di Ruben, il ristorante «solidale» che ogni sera dà ristoro a persone segnalate da una rete di istituzioni benefiche del territorio, per ricevere una tessera trimestrale e rinnovabile. Ristoro non è solo buon cibo, ma anche accoglienza, anche grazie al contributo di 100 volontari. Non è una mensa dei poveri, ma un ristorante dove il pagamento di 1 euro simbolico ha permesso ai nuovi poveri, come padri di famiglia divorziati o rimasti senza lavoro, di portarci i figli conservando la propria dignità. Ma chi è Ruben? Era il nome del contadino senzatetto della cascina dove Pellegrini è cresciuto, morto assiderato, da sempre nella sua memoria e nel suo cuore. Ernesto racconta che «una domenica arrivò in cascina un nipote di Ruben, vestito a festa, per chiedere allo zio in quale banca tenesse i suoi risparmi. “Io non ho una banca, e i soldi li ho consegnati a due osti: vai a chiederli a loro”. L’ingenuo nipote andò nelle due osterie e gli risposero che Ruben i suoi risparmi li aveva “investiti” in polli e vino». Ruben, hanno scritto, era «forte come le erbacce di campagna, sgobbava da mattina a sera nei campi, andava a prender messa, dormiva sulla paglia e leggeva libri di storia ai ragazzini rimbrottandoli: «Tu ti te se gnurant». Pellegrini ricorda: «Avevo vent’anni, una bici scassata e guadagnavo 55.000 lire al mese come contabile, quando furono espropriati i terreni della cascina». Nel 1962 la cascina viene demolita per costruire case popolari e agli inquilini del casolare vengono assegnati piccoli alloggi alternativi. Però nessuno pensa a Ruben, che si rifugia a vivere in una baracca di legno. Pellegrini, che all’epoca viveva di miseri guadagni, si era sempre ripromesso di trovare un’occupazione e una casa al suo amico contadino. «Da che avevo memoria Ruben era sempre stato lì, lavorando per mio nonno, mio padre e poi per me e mio fratello Giordano. Non sapevo dove sarebbe finito, ma mi ripromisi, una volta sistemato, di aiutarlo. Non feci in tempo. Un giorno, uscendo dal lavoro, lo ritrovai sul giornale: “Barbone morto assiderato nella sua capanna”». Perciò Pellegrini ha chiamato Ruben il ristorante per i poveri, i bisognosi che non vanno chiamati e trattati come poveri, ma accolti festosamente, con rispetto. Il 27 ottobre 2014 è stato aperto ufficialmente in via Gonin 52, nella periferia ovest di Milano, fra via Lorenteggio e Giambellino. Altro che mensa solidale: Ruben è un ristorante milanese come altri e consente a chi accoglie di non sentirsi in alcun modo inferiore, senza dignità.
VINCENTE ANCHE NEL CALCIO
A tavola, passano centinaia di «Ruben» di oggi: vecchi colleghi senza più lavoro, genitori che non riescono a provvedere ai figli. «Uomini e donne con lavori saltuari e famiglie troppo numerose da mantenere. Ex detenuti, stranieri in attesa del riconoscimento dello status di rifugiati. Parenti al seguito di malati in cura a Milano, privi di mezzi per provvedere alle necessità della trasferta». I volti dei «nuovi poveri», come li ha ribattezzati la crisi… Vengono per mangiare a una mensa che non è una mensa, è un ristorante vero e proprio. Centinaia di coperti al giorno su due turni, dal lunedì al sabato, con i volontari che servono al tavolo, parlano con gli anziani, imboccano i più piccoli. Sono le mamme e i papà, i nonni e i ragazzini di ogni età. Il posto è bello, il cibo buono e poi l’occasione è davvero speciale. Chi è Ernesto Pellegrini? Quasi tutti lo ricordano come l’ex presidente dell’Inter nel decennio glorioso ’84-’95. Ma Pellegrini è stato soprattutto un fenomenale imprenditore nel settore della ristorazione collettiva, perfino in Libia, Yemen, Nigeria. Il suo gran merito fu il fiuto magico dell’imprenditore, negli anni del boom, l’intuizione delle gigantesche dimensioni che avrebbe avuto il business legato alla ristorazione in aziende, fabbriche e luoghi di lavoro. Da zero, era figlio di ortolani, costruì un impero. In Italia e nei Paesi arabi e africani del Mediterraneo. Diecimila dipendenti, centinaia di milioni di euro di fatturato, dall’Italia all’Africa. Infine, memorabili pagine ai vertici del calcio. Pellegrini, sempre uomo di testa e numeri, ma anche di cuore e fede, cristiana e nerazzurra. «Caro presidente – scrive nel dicembre del 1979 a Ivanoe Fraizzoli, patron dell’Inter – mi permetta di dare un contributo ai successi della mia squadra». Così Ernesto viene arruolato nel consiglio e in pochi anni, l’8 gennaio 1984, diventa il diciassettesimo presidente dell’Inter. Arriva all’Inter e annuncia: «Ho comprato Halle Rummenigge!» – scrive Luigi Garlando -. L’Avvocato ha fatto di tutto per portarlo alla Juve. Non c’è riuscito. Il suo cuoco sì». Dicono che Gianni Agnelli abbia commentato proprio così, «il nostro cuoco è diventato presidente dell’Inter». Seguono dieci anni di storia, quella dei record, la grande armata di Trapattoni, il trio tedesco Matthàus-Brehme-Klinsmann, Nicolino Berti, «l’uomo ragno» Zenga, l’«AJdone» Serena e lo «Zio» Bergomi. In mezzo, ci sono le gioie e i dolori. Successi e fallimenti. Gli amici e i nemici… Sul passaggio di mano nel 1995 a Massimo Moratti gli restano alcuni ricordi spiacevoli. «Quando avviai la trattativa per la cessione dell’Inter, c’erano persone che cercavano di accattivarsi la simpatia di Moratti, mettendomi in cattiva luce con lui. Nel tempo, però, Massimo ha capito. Mi ha sempre dato atto di essere stato corretto con lui e di avergli lasciato una società a posto sotto tutti i punti di vista. Siamo amici, tutti gli anni è ospite a casa mia e confesso che mi fa piacere quando mi dice: Ernesto, sei un signore». Ecco altri ricordi significativi e divertenti. La sera del 30 giugno ’84 Ferlaino era a casa sua. «Stavamo trattando la cessione di Bagni dall’Inter al Napoli. Arrivò una telefonata di Antonio Juliano, il direttore sportivo di Ferlaino, a Corrado: doveva correre a Barcellona per chiudere l’acquisto di Maradona. Brindammo e parti». Ernesto era presidente da sei mesi. Cinque anni dopo avrebbe vinto lo scudetto, proprio in una sfida contro il Napoli. E poi la Coppa Uefa ’91, dopo oltre un quarto di secolo senza successi in Europa, col bis del ’94. «Forse un giorno prenderò una piccola squadra per divertirmi», disse anni fa. «Non sono un presidente di professione e poi sono fedele all’Inter. Lo dissi anche a chi mi chiamò da Napoli anni fa. Qualcuno me ne parlò prima che arrivasse De Laurentiis. Spiegai che potevo essere presidente soltanto di una squadra: l’Inter. Il Napoli mi piace ma…». «L’Inter dei record, 58 punti, vinse lo scudetto quando ne erano assegnati due a vittoria. Era un calcio diverso da oggi. In serie A giocavano tutti i grandi. Gli olandesi, i tedeschi, i sudamericani del Napoli e della Roma. Adesso gli assi sono altrove, tra Liga e Premier».
«LA STUPENDA» DI ERNESTO
Pellegrini ricorda che «abbiamo avuto con Berlusconi un buon rapporto da presidenti di Inter e Milan e anche adesso. Ricordo ancora che mi scrisse in un momento delicato, era il ’94 e lui guidava il governo. Mi incoraggiò ad andare avanti. Chiuse la lettera con queste parole: “Chi la dura la vince. Forza Inter”. Quando ho scritto il mio libro, ho contattato Berlusconi per chiedergli se potessi citare quel messaggio e lui mi ha risposto di sì. Scherzando gli ho detto che sarebbero arrivati voti dagli interisti». Berlusconi tentò di prendere Maradona dal Napoli: l’ha mai sfiorata quel progetto? «Cosa sarebbe capitato se Diego fosse passato in un’altra squadra? Mai chiesto a Ferlaino. Non lo avrebbe ceduto. Invece, trattammo un altro giocatore di quel Napoli: Carnevale». L’anno in cui l’Inter di Pellegrini vinse lo scudetto, indimenticabile per il gioco e per i record, dirigevo la Notte e battezzai quella grande squadra «La Stupenda», nei titoli e nei commenti. Ernesto lo ricorda nel suo libro di memorie. Forse, anche qualche tifoso.