Assaggio di riforma dei reati tributari: per le fatture false innalzato il limite massimo di pena dai sei a otto anni di carcere. E’ questa la novità sui reati tributari contenuta nella bozza del decreto fiscale, approvato salvo intese dal consiglio dei ministri. La misura è una prima norma del disegno più ampio di riforma dei reati penali tributari per cui è in corso una discussione all’interno della maggioranza e che sarà inserita nel corso dell’iter della manovra. Al momento è scomparsa dal decreto fiscale anche la nuova, in campo tributario, fattispecie penale, della confisca per sproporzione, (la possibilità di sequestrare con sentenza passata in giudicata beni dell’imputato sproporzionati rispetto alla dichiarazione dei redditi)
Tornando al reato di fatture false, sebbene inizialmente si fosse immaginato di intervenire su plurime delle fattispecie penal-tributarie previste dal dlgs. 74/20000, l’unico reato che al momento pare essere interessato da un inasprimento del trattamento sanzionatorio, elevando il limite massimo di pena da sei a otto anni di reclusione, è quello di cui all’art. 2.
Si tratta del delitto che sotto la rubrica «Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti», punisce «chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi»; specificando al comma successivo che «il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria».
Del resto, non stupisce che si sia data priorità a una riforma della cornice edittale proprio di questa fattispecie criminosa: la circostanza per cui la dichiarazione, oltre a essere non fedele, risulti sorretta da un impianto contabile e documentale fasullo, in grado di sviare o intralciare la successiva attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, comporta che questo reato risulti particolarmente insidioso, al punto da essere pacificamente considerato come quello ontologicamente più grave nell’alveo degli illeciti fiscali.
Da qui, la necessità di un approccio repressivo particolarmente rigoroso, a partire dalla severità del dettato legislativo, come del resto già confermato dalla evidenza per cui quello ora in esame è l’unico delitto tributario, unitamente allo speculare di «Emissione di fatture per operazioni inesistenti» ex art. 8, a non contemplare soglie di punibilità: in altre parole, qualora in dichiarazione ci si avvalga di fatture false, la condotta rileva penalmente, a prescindere dal quantum sottratto a imposizione.
Né la mancanza di soglie analoghe a quelle previste per l’ipotesi di operazioni simulate documentate in modo diverso (di cui all’art. 3 del medesimo decreto) realizzerebbe una disparità di trattamento arbitraria, come peraltro confermato anche dalla Corte costituzionale, che con la recente sentenza 95/2019 ha evidenziato l’intenzione del legislatore di far emergere lo speciale disvalore «di azione» che la fattispecie presenta, in ragione della particolare capacità probatoria delle fatture e di riflesso della maggiore capacità decettiva delle falsità commesse tramite tali documenti. Ciò detto, pare invece che rimarrà invariato il minimo edittale di un anno e sei mesi, scelta che consentirà, bilanciando proprio la predetta assenza di soglie di punibilità, di modulare la sanzione nei casi in cui l’evasione assuma dimensioni più modeste.
Stefano Loconte e Giulia Mentasti, ItaliaOggi