Da sempre l’inversione dei tassi Usa, ossia il momento in cui il rendimento dei titoli a breve supera quello dei bond a lungo termine, è un segnale visto con preoccupazione dagli operatori. E proprio ieri per la seconda volta quest’anno il rendimento dei titoli di Stato Usa a tre mesi ha superato quello del decennale per alcuni momenti. Già il 22 marzo scorso questo era avvenuto e l’anomalia era durata per sei giorni. In passato l’inversione dei tassi è stata un indicatore di una futura recessione e proprio per questa ragione è guardata con preoccupazione dagli investitori.
Ieri l’inversione sembra essere stata provocata dalla corsa all’acquisto dei Tbond decennali con gli investitori che, spaventati dall’idea che non si arrivi a un accordo commerciale tra Usa e Cina, hanno preferito vendere gli asset rischiosi per rifugiarsi nei titoli di Stato. La rapida salita dei prezzi e la conseguente discesa dei rendimenti ha portato all’inversione della curva, che, però, è presto rientrata.
D’altronde oggi la curva Usa è piuttosto piatta, con un basso differenziale tra tassi a breve e a lungo termine, per cui è più facile che si verifichino incidenti come quello accaduto ieri.
Molti economisti e strategist ritengono che solo un’inversione che si prolunghi per settimane o mesi possa essere interpretata come un segnale di recessione in arrivo. Ma non manca invece chi è più pessimista e teme che la politica di rialzo dei tassi portata avanti dalla Fed finirà per avere un impatto negativo sulla crescita del pil Usa. Soprattutto se le nuove tensioni tra Usa e Cina avranno un impatto negativo sulla crescita mondiale.
Roberta Castellarin, Milano Finanza