Il roboadvisor non decolla, in Italia gestisce solo 200 milioni e l’87% degli investitori non sa cosa sia

L’Italia non è un Paese per roboadvisor. Almeno non ancora. Consulenti ed sgr tradizionali sono ben lontani dall’essere spazzati via e se l’entrata in vigore della Mifid2 ha dato uno scossone al mercato, per il momento, non ha provocato quello tsunami che molti temevano. A fare chiarezza sullo stato dell’arte è un recente quaderno sul Fintech pubblicato da Consob e frutto del lavoro di Consob, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Università Bocconi, Università di Pavia, Università di Roma ‘Tor Vergata’ e Università di Verona. Per quantificare la portata del fenomeno in Italia, basti pensare che i risparmiatori hanno affidato ai roboadvisor circa 200 milioni di euro (nel complesso i clienti dei diversi operatori non arrivano a 20mila) a fronte un patrimonio gestito di oltre 2mila miliardi di euro. Una goccia nel mare.

D’altra parte la Consob rileva che la “consulenza automatizzata risulta sconosciuta alla maggior parte dei risparmiatori intervistati (87%), i quali dichiarano di essere comunque poco disposti a fruirne (nell’85% dei casi) prevalentemente per timore di possibili truffe online (66%”. Di conseguenza, i più interessanti al servizio sono uomini con “con elevati livelli di istruzione e alfabetizzazione finanziaria e i più giovani” perché più attenti al mercato digitale.

Il paradosso, secondo un’altra indagine condotta da Consob, è che i risparmiatori potrebbero essere più interessati al servizio a offrirlo fosse uno dei Gafa (Google, Amazon, Facebook, Apple), operatori che nell’immaginario collettivo hanno guadagnato “una reputazione di efficienza e affidabilità nel campo dell’e-commerce”. Come a dire che i margini di manovra per gli operatori indipendenti sono piuttosto risicati. Anche perché il risparmio gestito è uno dei grandi obiettivi dei colossi della rete. Non per nulla Facebook ha già ottenuto una licenza bancaria in Irlanda.

Eppure, il roboadvisor ha tutte le carte in regola per rivoluzionare il mercato. Nel 2016, Blackrock ha stimato che, sulla base della composizione dei costi a livello unitario, in media, la commissione richiesta dai consulenti digitali è circa 130/180 punti base più bassa di quella di un intermediario tradizionale per un fondo bilanciato. Insomma se il presente resta incerto, la traiettoria pare segnare. L’asset management si sta automatizzando e i roboadvisor sono destinati a prendere uno spazio sempre maggiore. Soprattutto nell’ottica di servire la generazione dei Millenials e il retail, ma anche di agevolare il lavoro dei consulenti, dato che sono piattaforme online che, sulla base di algoritmi di risk management e asset allocation, creano soluzioni di investimento e specifici portafogli.

Le opportunità sul mercato sono enormi. Basti pensare che solo il 18% degli operatori americani usa strumenti digitali avanzati. L’arrivo della Mifid 2 e della Psd2 stanno cambiando radicalmente il mercato modificando anche l’industria della distribuzione dei prodotti d’investimento. Un’evoluzione su cui scommette anche MdotM secondo cui il mondo degli investimenti è un “tech game”: per questo l’obiettivo della società è sviluppare strategie di investimento utilizzando l’Intelligenza Artificiale. Il mercato di riferimento della start up è quello degli investitori istituzionali che possono usare I modelli di MdotM “a supporto delle loro decisioni di investimento diretto, prodotti finanziari o sugli asset in gestione. La macchina – dicono i due fondatori, Federico Mazzorin e Tommaso Migliore – non si sostituirà mai all’uomo perché non è in grado di cogliere la singola opportunità, ma nel lavoro quotidiano è fondamentale per tutto il lavoro a basso valore aggiunto. L’intelligenza articiale migliorerà il lavoro”.

Giuliano Balestrieri, Business Insider Italia

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