Si sentiva un attore per caso e rifiutò un’offerta di Fellini
Campione di nuoto, appassionato di pugliato e rugby, al cinema Bud Spencer fu preso per la stazza e divenne subito popolare. Era, come me, amante del casinò e senza limiti con il cibo.
(di Cesare Lanza per LaVerità) Era un uomo molto semplice, spontaneo e buono. Credo che pochi personaggi di pubblica notorietà siano stati popolari e amati come lui, Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer. Figuratevi quanto, da me! Perché, oltre a tutto, mi era simile, in due aspetti almeno: era un grande giocatore di poker e dei giochi di casinò, e mangiava e beveva quanto e come gli piacesse, senza timore di eccessi. E ha sperperato tutti i suoi incalcolabili guadagni: forse ha addirittura lasciato qualche debito. Era curioso, interessato a tutto, con una straordinaria, infantile e purissima voglia di vivere. É stato un grande, memorabile campione nel nuoto, ha praticato anche per passione pugilato e rugby. È stato un eccezionale attore, arrivato al cinema quasi per caso. Impossibile per chiunque parlar male di lui. Forse – mi ha mormorato un amico – poteva evitare la debolezza di cedere alle tentazioni politiche (berlusconiane) e di essersi candidato alle elezioni, peraltro senza successo? La mia risposta è no: penso che sia apprezzabile offrire il proprio sostegno a un progetto politico, se all’ origine non ci siano meschine ambizioni e interessi personali, come – senza dubbio – fu nel caso di Bud, idealista e utopista. In definitiva, gli invidio il dono religioso che io non ho avuto: la fede. Era profondamente e sinceramente credente. Un aspetto paradossale, probabilmente, per chi mi legge è che io Spencer l’ho conosciuto pochissimo: alcune occasioni professionali pubbliche, ma non l ho mai intervistato; qualche battuta su gare sportive (era tifoso del Napoli e simpatizzante della Lazio); qualche altra battuta sulla qualità e la qualità del cibo, tutti e due eravamo super quintalini: nelle cene a casa gli lasciavano regolarmente, come ultimo piatto, la pentola. E le riflessioni sul poker, attraverso i racconti dei suoi compagni al tavolo verde. Ecco, vi riferisco qualche confidenza. A poker Spencer ha buttato un sacco di soldi, per due difetti fondamentali, il primo perché era mosso dalla costante curiosità, andava sempre a «vedere» il punto degli avversari. E passi! Il secondo difetto è da leggenda: quando aveva lui un punto forte e gli avversari stavano per accettare la sua puntata, scoppiava a ridere, scopriva le carte e diceva: «Ma lascia stare, chi te lo fa fare, sono più forte…». Una cosa verosimile perché era molto generoso; dubito però che sia vera. Vero invece che spesso giocava a casa di un amico (ne taccio il nome), che preparava un pranzetto delizioso e alla fine Spencer, perdente, diceva: «Buono tutto, però il tuo è il ristorante più caro di Roma!».
Tenerissimo al momento di morire: una sola parola, l’ultima, «Grazie», rivolta alla sua famiglia. Sulla fede: «Ho bisogno di credere perché – nonostante il mio peso – mi sento piccolo di fronte a quello che c’è intorno a me. Se non credo sono fregato… ». Aveva il senso dell’ umorismo: «Non ho mai rincorso le donne degli altri perché non riesco a entrare negli armadi quando i mariti tornano all’ improvviso» «La mia regola di vita è: Futtetenne. Dei problemi piccoli te ne devi fregare, l’obiettivo è andare avanti nella ricerca della felicità». «Non ho più ambizioni perché ho fatto davvero di tutto, tranne il ballerino classico e il fantino». Sapeva dire di no. Disse di no nientedimeno che a Federico Fellini, ai tempi in cui il maestro progettava il suo Satyricon. Il dialogo andò così: botta e risposta da antologia. Federico Fellini: «Carlo, avrei trovato un ruolo perfetto per te nel Satyricon». Carlo Pedersoli: «Va bene, Federì, dimmi che devo fare». Fellini: «Trimalcione, quello che era nel triclinio di Nerone… Vedi, tu stai nudo nella piscina e i putti ti mordono il sedere». Carlo: «Ah Federì, abbi pazienza, ma io non lo faccio. Io nudo in piscina con i putti che mi mordono il sedere, non ci sto». Fellini: «Ma come, in un film di Fellini!… Allora non sei un attore!». Carlo: «Hai detto giusto, non sono un attore». Il gran rifiuto spiega il suo rapporto col cinema: «Non sono un attore, sono un personaggio che il pubblico ha gradito. Conosco i miei limiti, so esattamente quello che posso fare». E raccontò di aver rinunciato anche al teatro, quando gli proposero di recitare nell’ Uomo, la bestia e la virtù di Luigi Pirandello: «Ho sempre rifiutato le offerte teatrali, ritengo che il vero attore sia quello di teatro, se sbaglia una sillaba viene buttato fuori dal pubblico… Nel cinema, al quarantesimo ciak, anche una scimmia riesce a far bene». E approfondì il concetto: «Distinguo due tipi di successo: quello che ho avuto nello sport e quello nel cinema. Il primo è mio e non me lo leva nessuno. Il secondo è quello che il pubblico ha deciso di darmi e mi ha permesso di fare decine di film».
Molto interessante il ricordo di uno dei suoi tre figli, Giuseppe Pedersoli: «Non ha sofferto per la decadenza, lo sport gli ha insegnato che ci sono vittorie e sconfitte… Era molto curioso, con una mente giovane. La musica era una grande passione, ma il suo rammarico era di non averla studiata. Con la chitarra andava alle feste con gli amici: una volta suonò, per caso, insieme a un giovane, Domenico Modugno». E ancora: «Con Terence Hill c’era un’amicizia vera. Ho prodotto il loro ultimo film di coppia, Botte di Natale. Terence era anche il regista e ho visto mio padre fidarsi di lui completamente…. In Italia, negli anni Settanta, il western scanzonato non era apprezzato dai critici. Col tempo invece si sono accorti che c’erano contenuti importanti». Coinvolgente anche il ricordo della sua controfigura, Pierluigi Camiscioni: «È come se, a un tratto, una parte della mia vita sia stata spazzata via da un forte soffio di vento…». Camiscioni, un ex nazionale di rugby, e «nel contempo anche attore»; Carlo Pedersoli, campione italiano di nuoto e nel team del Settebello di pallanuoto azzurro. «Dal 1996 e per due anni di seguito ho girato in Costa Rica con Bud la serie di otto film Rai, dal titolo Noi non siamo angeli. E anche due film a Miami mai usciti in Italia». Com’era Bud Spencer sul set e fuori dalla scena? «Era molto buono e generoso, legato alla moglie e al figlio Giuseppe, produttore della nostra serie. Però con un grande vizio, il gioco della roulette. Tutti i casinò erano i suoi… Comunque si lavorava, fatta eccezione per la pausa pranzo, dalle 6 del mattino alle 18. Vivendo in simbiosi con Bud, nella roulotte, all’ora di pranzo e cena ero io che gli preparavo i menù avendo a disposizione parmigiano, passata di pomodori e pasta italiana che mi ero procurato da un ristoratore amico, suo compagno alle Olimpiadi di Helsinki nel 1952 per il tiro al piattello, mentre Bud era centometrista nel nuoto e faceva parte della squadra di pallanuoto. Ero il cuoco: a Bud piaceva mangiare per poi rimproverami così: “A Camisciò, me fai magnà troppo e poi m’engrasso”». Ed era molto popolare? «Quando giravamo le scene in mezzo alla giungla, gli indios conoscevano più Bud che il Papa».
Carlo Pedersoli era nato a Napoli il 31 ottobre 1929, morì a Roma il 27 giugno 2016. Era nato in una famiglia benestante, da Rosa Facchetti, di Chiari, e da Alessandro Pedersoli, napoletano, nel rione di Santa Lucia, nello stesso palazzo dello scrittore Luciano De Crescenzo, con cui frequentò le scuole elementari. Nel 1940 lasciò Napoli insieme alla famiglia per Roma, dove iniziò le scuole superiori. Si diplomò al liceo scientifico con il massimo dei voti, appena diciassettenne, e si iscrisse a Chimica alla Sapienza. Nel gennaio del 1947 la famiglia si trasferì in Sudamerica, Carlo fu obbligato ad abbandonare gli studi, in Brasile lavorò al consolato italiano di Recife. Rientra in Italia a fine anni Quaranta, inizia una brillante carriera nel nuoto. Ai campionati italiani vince 11 titoli nello stile libero e nelle staffette miste. Nei 100 metri è il primo italiano a scendere sotto il minuto. Ai Giochi del Mediterraneo, 1951, due medaglie d’argento. Nel 1952 alle Olimpiadi di Helsinki, nono nella finale dei 100 metri. Nella pallanuoto medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo del 1955. L’anno seguente nuovamente alle Olimpiadi, a Melbourne. In gioventù aveva praticato anche pugilato e rugby, sport che saranno poi protagonisti di alcuni suoi famosissimi film. Ed eccoci alla carriera cinematografica e televisiva. Nel 1951 debutta quasi per caso con una piccola parte nel kolossal hollywodiano Quo Vadis, girato a Roma. E prende parte anche ad altri film, sempre in piccole parti. Scrive canzoni per artisti come Nico Fidenco e Ornella Vanoni. La vera svolta arriva nel 1967, quando il regista Giuseppe Colizzi gli offre un ruolo nel film Dio perdona io no!. Sul set Bud Spencer conosce anche quello che diverrà il suo inseparabile compagno di lavoro e grande amico nella vita: Terence Hill in arte, all’ anagrafe Mario Girotti. I due stanno insieme in 18 film, dal 1967 al 1994. Nel biennio 1970-1971 sbancano i botteghini con i western in versione comica, Lo chiamavano Trinità e continuavano a chiamarlo Trinità. Il loro ultimo film insieme: Botte di Natale. In carriera per Bud Spencer oltre 50 film, quattro serie tv e due film per la tv. L’ ultimo lavoro è stata la serie in Mediaset I delitti del cuoco, nel 2010. Ha lavorato per registi importanti: Mario Monicelli, Dario Argento, Steno, i fratelli Bruno e Sergio Corbucci, Ermanno Olmi. Parlava cinque lingue: inglese, tedesco, spagnolo, portoghese e francese. Lo pseudonimo Bud Spencer era nato dall’ unione del nome della birra Bud e dal nome dell’ attore Spencer Tracy. Nel 1999 la rivista americana Time lo aveva collocato al primo posto tra gli attori italiani più famosi del mondo. Ha vinto due Telegatti, un Globo d’oro e un David di Donatello. Nel 2008 la nomina a Grande ufficiale della Repubblica. Aveva sposato nel 1960 Maria Amato, con tre figli: Giuseppe, Cristiana e Diamante. «Siamo sposati da 55 anni. Come abbiamo fatto a stare insieme così a lungo? Chiedete a lei come ha fatto a sopportarmi». Il padre di Maria era un importante produttore cinematografico. «Io però non ne ho mai approfittato», puntualizzava Pedersoli. «Anzi, non volevo nemmeno fare l’attore. Un giorno un produttore chiama mia moglie e le chiede: “Suo marito è ancora grosso come quando nuotava?”. Avevano bisogno di uno ben piazzato e così mi hanno voluto sul set».
Infine, la passione per il cibo. Era alto 1.93, portava il 47 di scarpa e quanto al peso è arrivato a 156 chili. E la sua grande passione è stata la cucina. Nel 2014 ha scritto il libro Mangio, ergo sum (a quattro mani con Lorenzo De Luca, con prefazione dell’amico Luciano De Crescenzo). «Adoro mangiare, non ho mai seguito una dieta. Adoro fare colazione con i cornetti caldi: non smetterei mai di mangiarli! Inoltre, mi sono sempre dilettato con lettura dei filosofi: da Platone ad Aristotele, da Cartesio a Kant. Nel libro mi immagino costretto dal medico a stare a stecchetto per un paio di settimane, un vero calvario! La sera mi rigiro nel letto per colpa della fame, mi vengono a trovare i maggiori filosofi. Il titolo è un riferimento a Cartesio, che ha rivoluzionato la storia del pensiero dicendo “cogito ergo sum”, penso, dunque sono. Ma io credo che sarebbe più corretto affermare: “Mangio, dunque sono”, perché non solo siamo quello che mangiamo, ma se non mangiamo non siamo e non pensiamo».