Se non li puoi battere, fatteli amici. È la massima che sembra aver ispirato la nuova mossa della società Uber, da anni impegnata in una lotta senza esclusione di colpi con i tassisti. La multinazionale, infatti, ha annunciato che da oggi attraverso la propria piattaforma sarà possibile prenotare – per ora solo a Torino –, oltre alla tradizionale Ncc (vettura a noleggio con conducente), anche un taxi tradizionale. Una rivoluzione copernicana che muta il core business della società, avviata a trasformarsi in una piattaforma di mobilità integrata. L’obiettivo di lungo termine del nuovo amministratore delegato, Dara Khosrowshahi, è infatti trasformare Uber in una piattaforma multimodale in grado di offrire diverse soluzioni per il trasporto: dalle Ncc, ai taxi, alle bici, ai monopattini elettrici, fino alla possibilità di accedere al servizio di trasporto pubblico di linea. Un nuovo corso già avviato in altre sei città europee.
In poche parole, chi oggi ha bisogno di muoversi a Torino, aprendo l’app Uber potrà prenotare uno dei taxiche hanno deciso di aderire al programma, in base ad accordi ad personam. La prenotazione comporterà una maggiorazione del 7% rispetto alla corsa tradizionale – la stessa fee praticata dai concorrenti come MyTaxi del gruppo Daimler -, a fronte della quale, però, il cliente potrà godere di alcuni servizi aggiuntivi come:
- ottenere informazioni sul tassista (profilo dell’autista);
- seguire il percorso dell’auto sulla mappa integrata nell’app;
- avere una stima dell’orario di arrivo del taxi;
- avere una stima dell’orario di arrivo a destinazione.
Ai passeggeri inoltre sarà rilasciata una ricevuta elettronica con il riepilogo del tragitto, oppure, in caso di viaggio di lavoro, sarà possibile richiedere una ricevuta dal sito di Uber.
Nonostante gli indubbi vantaggi per i tassisti, i quali possono aumentare i ricavi, riducendo i tempi morti e usufruire del programma di assicurazione che garantisce copertura in caso di malattia o infortunio, i rappresentanti di categoria si sono già dichiarati contrari a seppellire l’ascia di guerra.
«Con Uber siamo stati in guerra fino a poco tempo fa, non ci fidiamo di loro e non accetteremo accordi, neppure se fossero molto convenienti», aveva dichiarato a “Repubblica”, il presidente di Federtaxi Piemonte, Massimo Zappaterra, «anche nel caso in cui Uber abbassasse la percentuale, io e altri miei colleghi continueremmo a rifiutare qualsiasi collaborazione. Le promesse può farle chiunque, ma il passato non si cancella. Chiedere scusa ora ha poco senso, abbiamo perso molti soldi tra scioperi e cause in tribunale. Uber ci ha fatto solo patire».
Dal canto suo, da Uber fanno sapere di essere «molto felici di lanciare Uber Taxi per la prima volta in Italia proprio a Torino. Come il nostro Ceo ha detto recentemente, vogliamo essere partner di lungo periodo per l’Italia e le sue città. Il lancio di oggi è solo un primo passo per costruire città più pulite e smart, lavorando insieme a tutti coloro che contribuiscono a definire la mobilità urbana, a partire dai taxi».
Al di là delle parole di miele, la svolta di Uber sa molto di capitolazione. Una sconfitta figlia della presa di coscienza dell’incapacità (o non volontà) delle autorità italiane di mettere mano alla tanto invocata riforma della normativa del trasporto pubblico non di linea (quella oggi in vigore risale al 1992, quando internet non esisteva). Una mancanza di volontà la cui riprova si è avuta nello scorso settembre, quando il governo gialloverde ha deciso di far decadere la delega conferitagli dal precedente Parlamento con la Legge sulla concorrenza, facendo così ripartire l’iter per la riforma del settore da zero.
Businessinsider