Come si fa a stimare la crescita del Pil?

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La divergenza tra il Governo italiano e l’Unione europea sulla manovra economica messa a punto dal ministro dell’economia Giovanni Tria e bocciata dalla Commissione europea si basa in gran parte sulla diversa stima della crescita del Pil del nostro Paese nel prossimo anno e in quelli successivi. Secondo l’Ue, infatti, la crescita del Prodotto interno lordo sarà bassa al punto da far aumentare il rapporto tra il debito pubblico e lo stesso Pil. Secondo il Governo, invece, la manovra economica farà crescere di più il Pil e in questo modo il rapporto diminuirà: se in una frazione il denominatore (il Pil) cresce più del numeratore (il debito) il risultato finale si riduce.

Proprio mercoledì scorso l’Istat ha rivisto la propria stima della crescita economia per il 2019 indicando una previsione dell’1,3%. Secondo il Governo, invece, la crescita sarà dell’1,5% ed è questa la cifra che è stata indicata nella manovra economica. L’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che riunisce i Paesi più sviluppati, compresa l’Italia, ha appena rivisto le previsioni al ribasso, indicando che la crescita economica dell’Italia dovrebbe fermarsi allo 0,9% per il 2019 e anche per l’anno seguente. La Commissione europea è leggermente più ottimista dell’Ocse e leggermente più pessimista dell’Istat: nell’ultimo documento pubblicato indica 1,2% di crescita per il 2019 e 1,3% per il 2020. Queste quattro previsioni sono tutte diverse, con una differenza che arriva a superare il 50% tra Ocse e Governo.

E non sono le uniche: ne realizzano anche la Banca d’Italia e la Banca centrale europea, ma anche le grandi banche private, le società di investimento ed esistono persino società specializzate in previsioni, che le vendono.

Cercare di capire che cosa determini le differenze tra una e l’altra è molto difficile. Si sa che le previsioni del Governo sono sempre più ottimiste delle altre. La verità è però che vengono effettuate con modelli che sono tutti diversi uno dall’altro, come spiega il professor Alessandro Sembenelli, professore di Econometria all’Università di Torino. «E il risultato dipende ovviamente da come è pensato il modello stesso».

Un modello econometrico per la stima del Pil dei prossimi anni è composto da grandi serie di equazioni matematiche, anche centinaia di formule che contengono molte variabili. Ogni modello ha una idea diversa su come si comporteranno queste variabili, che sono sensibili a ciò che succede. Per esempio, abbassare le tasse (come prevede la flat tax) probabilmente fa aumentare i consumi di chi otterrà questo beneficio fiscale. Ma ogni modello indicherà una percentuale di aumento (tecnicamente viene chiamato «moltiplicatore») diverso. Chi è ricco ha una propensione al consumo diverso da chi ha un reddito medio e da chi è povero. La flat tax e il reddito di cittadinanza avranno quindi moltiplicatori sui consumi diversi.

Ma gli studiosi di econometria sanno che i moltiplicatori non solo sono diversi tra categorie di persone diverse (come ricchi e poveri), ma cambiano nel tempo e cambiano anche in funzione del valore delle altre variabili collegate: se si abbassano le tasse dell’uno per cento oppure del dieci per cento il comportamento delle persone probabilmente cambierà.

«In ogni caso, i modelli prevedono che il futuro si comporti come il passato e questo non sempre è vero», aggiunge il professor Sembenelli. Inoltre sono di proprietà di chi li usa e quindi non vengono pubblicamente discussi e confrontati. Le analisi sulla loro attendibilità realizzate a posteriori sono scarse.

La Stampa