L’allarme del Cnr: questi due fattori saranno, da qui al 2050, responsabili della diminuzione di produzione a scala europea di questa pianta
L’agricultura è fra i settori produttivi maggiormente esposti alla variabilità del clima. E lo stress idrico e termico, come la siccità e le ondate di calore nel periodo estivo, saranno, da qui al 2050, responsabili della diminuzione di produzione a scala europea del mais. Per contrastare questi effetti, un team internazionale di ricercatori, ha individuato nuovi modelli di pratiche colturali e di miglioramento genetico delle varietà di mais e frumento. Allo studio – i cui risultati guardano anche ai nuovi dati del Rapporto Speciale “Global warming of 1.5°C” dell’IPCC sul superamento del limite di 1,5 gradi del riscaldamento globale nel 2040 – hanno presso parte anche studiosi italiani dell’Istituto di biometeorologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ibimet) e del Dipartimento di scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente (Dispaa) dell’Università di Firenze.I risultati della ricerca, realizzata all’interno del progetto europeo MACSUR (Modeling European Agriculture with Climate Change for food Security), sono stati pubblicati su Nature Communications. Nello studio “sono stati analizzati – spiega Marco Moriondo, ricercatore Cnr-Ibimet- i possibili effetti del cambiamento climatico sulle rese di frumento e mais a livello europeo, utilizzando dieci modelli colturali diversi e valutando, regione per regione, i principali determinanti dei rischi per le produzioni agricole fino al 2050″. Uno studio di questo tipo, segnala il Cnr, rappresenta una solida base su cui costruire risposte adattative coerenti con i previsti cambiamenti climatici per mantenere buoni livelli produttivi in agricoltura.”Mantenendo le varietà e le date di semina invariate rispetto al presente e considerando l’attuale distribuzione di aree irrigate e non, la produzione complessiva di mais a scala europea nel 2050 potrebbe diminuire del 20%, mentre per il frumento si potrebbero avere incrementi intorno al 4%” prosegue Moriondo. “In Italia, gli effetti più evidenti per il mais – segnala ancora il ricercatore – sono localizzati nel Settentrione, dove gli scenari più pessimistici evidenziano diminuzioni di resa fino al 15%. Viceversa, per il frumento il cambiamento climatico potrebbe determinare incrementi omogenei di resa sul territorio nazionale fino al 15%”. “Questa differenza di comportamento colturale – aggiunge – è dovuta al fatto che il ciclo vitale del frumento si sviluppa a partire dal periodo autunnale-vernino e termina quando le condizioni idriche del suolo e le temperature non sono ancora proibitive. Questo consente alla coltura di beneficiare del previsto incremento di concentrazione della CO2 atmosferica in termini sia di fotosintesi che di efficienza nell’uso dell’acqua”. Il mais, coltura prettamente primaverile-estiva, “è viceversa esposta a condizioni idriche e a temperature che divengono estreme specialmente nel periodo estivo, portando a sensibili diminuzioni di resa rispetto al periodo attuale” sottolinea il ricercatore del Cnr. Sarà quindi lo stress idrico, piuttosto che quello termico alla fioritura, a giocare il ruolo maggiore nella riduzione della produzione di colture erbacee nei prossimi 30 anni.
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