La Brexit è ad un punto morto

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La Brexit è finita in un pantano e il rischio di un «no deal», ossia una uscita catastrofica di Londra dalla Ue senza alcun accordo, cresce di giorno in giorno. A meno che non si decida di congelare tutto, lasciando le cose come stanno per i prossimi tre anni, in attesa di trovare la soluzione al rebus.

Una ipotesi che stava prendendo corpo, dal momento che Theresa May si è presentata ieri a Bruxelles sostanzialmente a mani vuote, senza nessuna nuova proposta in grado di sbloccare il negoziato.

La premier britannica ha parlato agli altri 27 leader europei, i quali si sono poi ritirati a cena fra di loro per discutere sul da farsi . Ma non c’era molto da almanaccare: «Lei non ha presentato nulla di nuovo in termini di contenuti«, ha chiosato il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani.

Eppure fino allo scorso weekend un accordo era sembrato essere a portata di mano: e l’obiettivo era di sigillarlo nel vertice di ieri. Ma poi le cose non sono andate per il verso giusto: e a far deragliare tutto all’ultimo minuto, domenica sera, è stata come sempre l’intrattabile questione nordirlandese.

Con la Brexit il confine tra l’Irlanda del Nord, che fa parte della Gran Bretagna, e la Repubblica d’Irlanda a sud, che fa parte dell’Unione europea, diventerà l’unica frontiera fisica tra il Regno Unito e la Ue: ma nessuno vuole il ritorno di una vera barriera di separazione, perché la fluidità del confine tra le due Irlande è uno dei pilastri degli accordi di pace che hanno messo fine a decenni di conflitto armato.

Allora la Ue propone che, nel caso in cui non si trovi per tempo un accordo sulle future relazioni fra Londra e Bruxelles, dopo la Brexit entri in azione una sorta di «paracadute»: ossia una soluzione che lasci la sola Irlanda nel Nord nel mercato unico e nell’unione doganale.

Ma per Londra questa idea equivale a un anatema: significherebbe intaccare l’integrità del Regno Unito, staccando di fatto l’Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna. Un’ipotesi aborrita specialmente dal partitino unionista dell’Ulster, i cui voti sono necessari in Parlamento per tenere in piedi il governo May.

Ecco perché la premier è stata costretta a tirare il freno a mano all’ultimo momento, pena una sollevazione in casa. Ma a questo punto il tempo stringe, perché il 29 marzo Londra sarà automaticamente fuori dalla Ue. E allora Francia e Germania hanno fatto sapere che occorre prepararsi a una Brexit catastrofica: lo ha ammonito ieri al Bundestag Angela Merkel, mentre Parigi ha rivelato di contemplare l’introduzione di visti per i britannici.

«Abbiamo bisogno di più tempo, di molto più tempo», ha detto il capo negoziatore europeo Michel Barnier. E allora si affaccia l’idea di estendere la transizione post-Brexit fino alla fine del 2021: fare in modo, insomma, che per quasi tre anni tutto resti congelato com’è, in attesa di trovare una soluzione soddisfacente. A Londra i più impazienti mugugneranno, ma potrebbe essere l’unica via d’uscita. Per il momento.

Luigi Ippolito, Corriere della Sera