A dicembre sarà convocata l’assemblea con cui la Banca Popolare di Bari si trasformerà in Società per Azioni, ottemperando alla legge che obbliga i grandi istituti popolari a diventare S.p.a. Come sempre, la mancanza di interventi effettuati al momento giusto fa col tempo venire al pettine tutti i nodi, ed anche ingigantiti. Il preannuncio delle sanzioni Consob alla Banca Popolare di Bari non ci coglie di sorpresa, ed anzi è solo l’ennesima conferma di come a Bari si stia replicando un copione già visto in Veneto, e la cui conclusione è nota.
Nell’articolo del 13 marzo dello scorso anno ci esprimevamo nella seguente maniera: “I multipli di bilancio espressi dal prezzo corrente di 7,50 appaiono quantomeno doppi rispetto ad analoghe realtà quotate in borsa ed è quindi agevole ipotizzare un prezzo di mercato almeno del 50% inferiore rispetto all’attuale e del 70% inferiore rispetto al massimo precedente di 9,53”. Sul circuito Hi-Mtf, dove le azioni sono scambiate dal 30 giugno 2017, siamo ora arrivati al prezzo di 2,38 euro, vale a dire il 68,27% in meno rispetto ai 7,50 euro di quel momento e il 75,03% rispetto al massimo precedente di 9,53. E non è ancora finita. Ci sono milioni di titoli in vendita, a fronte di acquisti inesistenti. Chi scrive non è un Premio Nobel e nemmeno il Maestro do Nascimento. Le condizioni della Popolare di Bari erano chiare per chiunque le osservasse senza pregiudizi, e mentre altre associazioni e comitati plaudivano al prezzo di recesso fissato a 7,50 non sapendo -o facendo finta di non sapere- che non sarebbe mai stato pagato, Aduc insisteva nell’evidenziare le tante cose che non andavano finendo anche per invitare gli amministratori, il 29 agosto sempre dello scorso anno, a raccontare la verità sulle condizioni in cui la banca versava. Invito caduto nel vuoto. Al prezzo attuale di 2,38 la Popolare di Bari capitalizza circa 380 milioni, contro il miliardo e duecento milioni espresso dal prezzo di 7,50. Dicevamo prima che non è ancora finita. Applicando i multipli di bilancio di altri istituti comparabili, il prezzo deve ancora almeno dimezzarsi, e la capitalizzazione complessiva scenderebbe a 190 milioni. E non è detto basti, anzi secondo noi non basterà di sicuro. Un rumor pubblicato da Bloomberg nel mese maggio parla di “lavori in corso” su un dossier per un aumento di capitale per 250-350 milioni di euro. Se ciò avvenisse, alla Popolare di Bari occorrerebbe nuovo capitale per un importo maggiore della propria capitalizzazione, forse anche il doppio ed oltre. Chi sborserebbe 250-350 milioni per tappare le falle della Popolare di Bari? I piccoli azionisti proprio no. Il “vero patrimonio della Popolare” costituito dai circa settantamila soci è stato bruciato per sempre, e non perché dopo la trasformazione in S.p.A. saranno non più soci ma azionisti, ma perchéil prezzo delle azioni da loro possedute è calato da 9,53 a…zero. Potrebbero arrivare nuovi azionisti, magari anche un istituto che acquisisca la maggioranza, ma chi investirebbe una simile cifra in una banca con circa settantamila azionisti azzerati e pronti a fare causa? Nella storia recente della Popolare di Bari è forte la presenza della Banca d’Italia, che nel 2014 autorizzò l’acquisto di Tercas, la Cassa di Risparmio di Teramo, che controllava anche Caripe, Cassa di Risparmio di Pescara. Banca d’Italia avallò l’operazione nonostante -come era evidente anche dal solo bilancio- la Popolare di Bari presentasse una scarsa copertura dei crediti nonostante avesse attraversato una delle più forti crisi economiche della storia. Analogo ragionamento si può fare per l’acquisto, nel 2009, della Cassa di Risparmio di Orvieto. Inoltre, c’è un episodio molto grave risalente al 2011, quando la Cassa di Risparmio di Ferrara (Carife), una delle quattro banche risolte nel novembre 2015, necessitava di 150 milioni che non riuscì però a raccogliere interamente sul mercato. Arrivarono allora in soccorso Banca Valsabbina, Banca Popolare di Cividale, Cassa di Risparmio di Cesena (altro istituto finito male) e proprio la Popolare di Bari che sottoscrisse azioni Carife per 4.037.000 euro. Pochi mesi dopo, Carife ricambiò il favore sottoscrivendo per un uguale importo aumenti di capitale delle banche. In parole povere, la Popolare di Bari partecipò ad una sottoscrizione reciproca di azioni vietata dalla legge perché consiste in aumento di capitale che non fa crescere il patrimonio effettivo. Occorre intervenire immediatamente prima che la situazione degeneri. Per certi aspetti è già tardi, ma forse si risparmierebbero alcuni effetti deleteri. Il prezzo di emissione delle azioni collocate al pubblico per finanziare l’acquisizione di Tercas-Caripe fu di 7,50 euro, con apposito maxi-aumento di capitale tramite cui mediante dei “pacchetti 50%+50%” di azioni e bond fu emessa anche per un ammontare di trecento milioni l’obbligazione subordinata livello Tier II Banca Popolare di Bari 6,50% 2014/2021. Per chi desiderasse togliersi il pensiero, il mercato sta attualmente offrendo la possibilità di uscire dall’obbligazione senza troppi danni. Le nuove regole sui salvataggi bancari che purtroppo abbiamo immediatamente appreso prevedono che, burden sharing(intervento dello Stato, del resto difficilmente applicabile alla banca) o bail in (liquidazione coatta), le obbligazioni subordinate devono “partecipare”, ossia essere sacrificate, al salvataggio della banca. E di obbligazioni subordinate della Popolare di Bari ce ne sono in giro per un nominale complessivo di trecento milioni, importo analogo al fabbisogno di capitale ipotizzato. Insomma, si avvisano tutti i “navigati” che a Bari c’è una barca che affonda. Prima di assistere nuovamente a migliaia di obbligazionisti (per gli azionisti oramai non c’è niente da fare) che prendono d’assalto le Agenzie, richiedono risarcimenti da parte dello Stato, manifestano davanti alla Regione ed alla Camera, intentano migliaia di cause, ecc. cosa ne direste, per una volta, di intervenire prima?
Giuseppe D’Orta, ADUC