Nel mondo ha 180 milioni utenti, 83 pagano un abbonamento
Ha rivoluzionato la musica e introdotto il concetto di streaming, una strada diversa per il settore già aperta da Apple con iTunes qualche anno prima.
Compie 10 anni Spotify, la piattaforma lanciata in Svezia il 10 ottobre del 2008 da Daniel Ek e Martin Lorentzon, che venivano dal mondo tech. Oltre alla comodità di accedere ad una infinita libreria musicale in mobilità e cimentarsi nelle playlist, Spotify ha aperto il grande dibattito sul giusto compenso agli artisti, con polemiche e defezioni come quella, strenua, di Prince fino a che è stato in vita.
La società in realtà nasce nel 2006 a Stoccolma, la piattaforma viene messa a punto e lanciata due anni dopo. Negli Stati Uniti è arrivata nel 2011, in Italia nel 2013.
L’intuizione di Spotify è stata quella di prendere spunto dalla pirateria e dal fenomeno Napster, ma rendere la musica accessibile legalmente grazie agli accordi con le case discografiche. Insomma ha messo in rilievo l’importanza del concetto di accesso contro il concetto di possesso, sempre legale, portato avanti invece da iTunes. E a ruota sono nati una serie di concorrenti come Deezer, YouTube Music, Amazon Music mentre la stessa Apple con il suo servizio Music sta facendo una lotta serrata soprattutto negli Stati Uniti. Spotify attualmente ha una community di 180 milioni di utenti, di cui 83 milioni pagano un abbonamento, è presente in 65 mercati e da pochi mesi si è anche quotata a Wall Street. La modalità di ascolto in streaming ha scardinato l’industria musicale diventando un volano alla crescita del settore che con i soli Cd era dato per morto. In Italia le hit parade tengono conto anche degli streaming a pagamento degli artisti. E la modalità di streaming musicale ha spalancato le porte anche allo streaming video, altra gallina dalle uova d’oro dei big della tecnologia e non solo. Basta solo menzionare Netflix.
Spotify ha offerto dunque un’altra possibilità di guadagno ai musicisti e ha vestito anche i panni del talent scout per quelli meno famosi. Ma non senza polemiche. Da anni, infatti, c’è un dibattito sul compenso finale che arriva agli artisti per ogni canzone o disco messo in streaming, giudicato troppo basso.
Polemica portata avanti da Thom Yorke dei Radiohead (a fasi alterne ha poi deposto le armi) e da Prince. Il folletto di Minneapolis è stato il più ostinato nel rifiutare Spotify e altre forme di divulgazione della sua musica su Internet, ostinazione mandata in fumo dai suoi eredi.
Altro cavallo di battaglia dei critici è l’algoritmo che sceglie le canzoni al posto nostro, anche per alcuni tipi di playlist. Un modo comodo di fruizione, ma giudicato passivo. “Ci sono dibattiti sui guadagni di musicisti e su quali artisti sceglie di promuovere ma l’accesso libero e totale di Spotify rende sostanzialmente la piattaforma utopica”, osserva il Guardian nell’articolo dal titolo emblematico: “Dieci anni di Spotify hanno rovinato musica?”
Titti Santamato, ANSA