(Cesare Lanza per LaVerità) Scommettiamo che il vecchio proverbio latino «nemo propheta in patria» oggi si può adattare – restringere – all’ambito familiare? Le riflessioni porterebbero lontano, all’evoluzione dei rapporti tra padri e figli. Mi limito a un ricordo. Tantissimi anni fa, Leonardo Sciascia mi confidò una piccola amarezza: i suoi libri e i suoi articoli erano apprezzati da un largo pubblico, ma alcune persone a lui care non gli davano la soddisfazione di leggerli (ebbi la sensazione che tra i distratti e gli indifferenti dovesse esserci una figura femminile). Ora, non so se ricordate – è una mia nota di alcuni giorni fa – quel mio amico sempre scontento dei suoi familiari, che gli danno attenzione solo quando si tratta di chiedergli soldi, come fosse un bancomat. Ebbene, quell’amico è tornato alla carica, con una tiritera sulla (vera 0 presunta non saprei) insensibilità di figli e nipoti. Per consolarlo gli ho raccontato quel mio ricordo di Sciascia. E poi mi sono sfogato anch’io: la mia prima moglie e anche la seconda, i cinque figli, i nipoti adulti… Nessuno di loro legge ciò che scrivo. Eppure stanno per ore attaccati a computer e telefonini, basterebbe un clic per seguirmi, almeno sporadicamente. A questo punto il mio interlocutore, brontolone, ha avuto un lampo di acume. «Ma i lettori, gli amici, gli estranei ti leggono?». Gli ho risposto: «Non posso lamentarmi…». E lui, pronto: «E allora perché ti lamenti? Pensa se ti leggessero solo mogli e figli e non avessi nessuna attenzione da amici e lettori…». Ho dovuto abbozzare, come si dice. Con un pensiero molesto però: è proprio impossibile essere seguiti sia dal pubblico, sia dagli intimi di famiglia?