Alle 14.39, corso Ercole I d’Este sembra ondeggiare nell’afa, liquefarsi e svanire, più caldo e meno affollato del Sahara. Uno vorrebbe fare dei lirismi sul più bel viale d’Italia, quindi del mondo, e sull’«Addizione erculea», primo caso di programmazione urbanistica della storia (le capitaline italiane sono così, piccoli punti sulla mappa del mondo globalizzato, pietre miliari su quella della civiltà), ma è distratto da una più basica e devastante considerazione: fa un caldo infernale, spaventoso, assurdo. In un concerto di cicale, le bandiere penzolano flosce e apparentemente sudate, anche loro, dal balcone di Palazzo dei Diamanti, mentre là in fondo le torri del Castello tremolano come miraggi. Ieri Ferrara era la fornace d’Italia: 37, 38 o 39 gradi, a seconda del display della farmacia o del sito meteo consultati, in una gara all’ultima sudata con Bologna. Non siamo ancora ai mitici 50 «percepiti» dell’estate 17, ma il record stagionale italiano è già stato battuto. «Ma va benissimo così spiega suadente e non sudato (è a casa, lui) il più celebre scrittore ferrarese, Roberto Pazzi -. L’importante è non essere nel grigio delle mezze misure. L’orrore, anche nel clima, è la mediocrità. In realtà, Ferrara non è una città italiana e nemmeno europea, ma sarmatica: freddissima o caldissima, nebbiosa o afosa come in un romanzo russo. Senza mezze misure né mezze stagioni. Infatti è l’unico punto d’Italia dove l’orizzonte non è interrotto da alcun oggetto, nemmeno i colli come a Bologna o a Padova. È sprofondata in un vuoto, che può essere riempito soltanto dalla fantasia, dalle “fole” dell’Ariosto. Questo caldo spropositato ha un effetto narcotizzante, alla fine anche piacevole». Insomma, la meteo è l’oppio, se non dei popoli, almeno dei ferraresi. Quindi con queste temperature non c’è da stupirsi se brucia l’Ariosto o il Tasso va definitivamente fuori di testa. «Del resto, come mi chiamo io?». Pazzi. «Vede? Anzi, adesso me ne andrò, nonostante il caldo, a fare un giro in bicicletta. E stasera a mangiare la salama da sugo, che del resto è buonissima anche fredda». Pazzi sarà l’eccezione che conferma la regola. Letteratura a parte, per ora in giro di gente se ne vede pochissima. In piazza, solo qualche vecchietto in canotta che, restando accuratamente all’ombra davanti al Duomo perennemente ingabbiato, commenta le ultime malefatte politiche e le prospettive della gloriosa Spal con grande rinforzo di «maial!», l’elegante esclamazione autoctona. Le biciclette, il mezzo di trasporto plebiscitato dai ferraresi, sembrano volate via come l’Ippogrifo. Si incontra solo qualche turista tedesco in Birkenstock e con la faccia dello stesso color vinaccia della salama, che qualche oste sadico gli avrà magari fatto mangiare a pranzo. E qui sorge un altro problema. La pur eccellente cucina locale, puro Rinascimento a tavola (pasticcio dolce di maccheroni, cappellacci, salama da sugo, panpepato) non prevede una versione estiva, o almeno alleggerita. «Mettiamola così: i piatti estivi sono quelli invernali ma mangiati d’estate. Con l’avvertenza che se poi vai ai Lidi è meglio che non fai il bagno per un po’, diciamo un paio di giorni – se la ride il comico Gianni Fantoni, altra anima della città -. Il riscaldamento globale non c’entra, a Ferrara d’estate ha sempre fatto caldissimo. “A bala la vecia”, si dice quando la strada sembra muoversi sotto i tuoi piedi. E tutto sommato questi record di temperatura non ci dispiacciono nemmeno. Per batterli ogni anno saremmo capaci di accendere il riscaldamento in agosto». Qui Fantoni ha ragione (e anche Pazzi, se è per questo). Ammettiamolo: di fronte a temperature davvero smodate tutti soffriamo, ma con una certa inconfessabile fierezza. Dalle Alpi a Lampedusa, frasi tipo «sono due settimane che non dormo», «mai sentita un’umidità del genere», «fa così caldo che le uova diventano sode da sole» vengono declamate con lo stesso tono orgogliosamente vissuto dei reduci di Waterloo o della campagna di Russia. Purché, ovviamente, il tormento ci venga inflitto dalla Natura matrigna e non dalla nequizia degli uomini. Nel caso, scatta la ribellione. Informa infatti La nuova Ferrara che a Copparo, nella Bassa verso il Po, fra temperature impossibili con l’aggravante delle zanzare, un dipendente comunale ha fatto causa all’Unione dei Comuni Terre e Fiumi perché nel suo ufficio non c’è l’aria condizionata. In attesa di quello del giudice, il nostro verdetto è che ha ragione. Il condizionatore è l’ultimo ma non meno irrinunciabile diritto dell’Uomo e del Cittadino. A Ferrara, poi, di più.
Alberto Mattioli, La Stampa