Uno studio inglese ha identificato sei differenti gruppi di oggetti e comportamenti che causano disgusto. A selezionarli sarebbe stata l’evoluzione, perché corrispondono alle sei principali modalità di trasmissione di virus e batteri
Si fa presto a dire “che schifo”. Ma a guardar bene non tutte le esperienze nauseabonde sono uguali. Tutt’altro: esisterebbero infatti sei differenti categorie di disgusto, con cui tutti gli esseri umani distinguono oggetti, persone e comportamenti che espongono al pericolo di contagio da parte di virus, batteri, tossine e via dicendo. Un comportamento innato, plasmato dall’evoluzione per aiutarci ad evitare malattie e intossicazioni alimentari. O quanto meno, questa è l’opinione di due ricercatori della London School of Hygiene and Tropical Medicine e della Brunel University di Londra, che hanno affrontato la questione in un paper pubblicato di recente sulla rivista Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences. Che il disgusto abbia una sua utilità – ricordano d’altronde i due ricercatori – la scienza lo ipotizza da tempo. È la cosiddetta parasite avoidance theory (letteralmente teoria dell’evitare i parassiti), secondo cui ogni comportamento che riduce il rischio di entrare in contatto con patogeni e parassiti ha un’alta probabilità di essere premiato dall’evoluzione. Non sarebbe un caso, dunque, se moltissimi degli oggetti che ci provocano disgusto sono potenziali vettori di malattie e infezioni: dalle deiezioni, ai fluidi corporei come saliva e sudore, passando per cibi andati a male, insetti e altri parassiti. Esempi simili (mutatis mutandis ovviamente) si ritrovano d’altronde anche in moltissime specie: anche creature primitive come le aragoste, o piccoli mammiferi come i topi, tendono ad evitare i conspecifici malati con delle reazioni estremamente simili al disgusto umano. Tutti indizi – scrivono gli autori del paper – di un comportamento selezionato nel corso dell’evoluzione, che svolge un ruolo importante per la sopravvivenza e che probabilmente è radicato in profondità all’interno del nostro cervello.Trattandosi di un sistema sviluppatosi per evitare la diffusione di malattie e parassiti, hanno ipotizzato i due scienziati, è probabile che le categorie di oggetti e comportamenti che provocano disgusto si sovrappongano in qualche modo alle sei modalità più comuni di trasmissione delle infezioni: contatto diretto con un malato, contagio aereo (in seguito ad uno starnuto ad esempio), contagio sessuale, ingestione di cibi contaminati, contatto con tipici vettori di patogeni come topi e insetti, contatto con oggetti contaminati.Per scoprire se le cose stessero realmente così, hanno organizzato un esperimento: hanno chiesto a 2.500 volontari di porsi in 75 scenari ipotetici potenzialmente collegati ad un rischio di infezione, e di dare loro un voto una scala che andava dal non disgustoso all’estremamente disgustoso. Situazioni del tipo: prendere in prestito per errore il deodorante stick di qualcun altro; calpestare una lumaca a piedi nudi; notare delle bolle rossastre sui genitali del proprio partner. Scenari credibili insomma e, almeno per la maggior parte di noi, estremamente disgustosi. Raccolte le risposte dei partecipanti i ricercatori le hanno quindi analizzate statisticamente per identificare i gruppi di comportamenti e oggetti che provocano più facilmente una reazione di disgusto. Trovandosi di fronte a una situazione simile, ma non uguale, a quella prevista. Dai loro risultati infatti è emersa l’esistenza di sei distinti tipi di disgusto, legati a categorie parzialmente sovrapponibili ai sei metodi di trasmissione delle malattie. Parzialmente, ma non completamente: come riflettono gli stessi autori, l’evoluzione non può essersi infatti basata sulle conoscenze scientifiche attuali, ma deve aver selezionato cosa evitare a partire da indizi più tangibili. Non potendo vedere direttamente i microscopici patogeni che causano le malattie, insomma, abbiamo imparato ad evitare le circostanze in cui sono più comuni. Grazie appunto al disgusto. Esiste quindi un disgusto legato allo scarso igiene, un disgusto per determinati animali e insetti, il disgusto per pratiche sessuali promiscue, il disgusto per individui dall’aspetto inusuale (potenziale sintomo di una malattia), il disgusto per ferite e lesioni di ogni tipo, e il disgusto per il cibo andato a male.”È solo nel diciannovesimo secolo che abbiamo scoperto come si trasmettono le malattie, ma i nostri risultati mostrano chiaramente che la nostra specie ha una comprensione intuitiva di cosa vada evitato nell’ambiente in cui ci muoviamo”, sottolinea Micheal de Barra, psicologo della Brunel University di Londra e coautore dello studio. “La lunga coevoluzione con malattie e patogeni evidentemente ha impresso nel nostro cervello questo senso intuitivo di cosa possa causare infezioni”. Insomma: non è certo un’emozione piacevole, ma cerchiamo di ricordarci che il disgusto esiste per un motivo, e che è fondamentale per restare in salute.
Simone Valensini, repubblica.it