Il 13 aprile del 2017 finiva il trentennio berlusconiano: nonostante i dubbi sul suo patrimonio e la difficoltà a trovare un nuovo finanziamento per restituire il prestito a Elliott, Yonghong Li non vuole passare la mano. E promette almeno un grande bomber, Uefa permettendo. Ma nel caso è già pronto un nuovo investitore made in America
Ricorre oggi l’anniversario del più sofferto closing della storia del calcio italiano. Il 13 aprile 2017, dopo laboriosissima transazione, Silvio Berlusconi consegnava ufficialmente il Milan nelle mani ignote dell’imprenditore cinese Yonghong Li, ottenendo la gratitudine dei figli e un duplice effetto economico: 740 milioni di euro (debiti compresi) a beneficio del bilancio di Fininvest e un risparmio di 90 milioni di costi medi a stagione, salasso non più sostenibile per la holding di famiglia. L’anno non è certo passato immoto, tra il Fiume Giallo e l’Olona. Sul campo si è finalmente chiuso un lustro di precarietà in panchina: la squadra ha trovato stabilità tecnica con Rino Gattuso, figura unificante e carismatica. Lo ha lanciato e sostenuto il Ds Massimiliano Mirabelli. Lo ha rafforzato l’Ad Marco Fassone, col rinnovo del contratto fino al 2021. Lo hanno promosso lo stesso Yonghong Li e il dg “David” Li Han. Lo hanno benedetto i tifosi.
DUELLO CINA-USA. Più confuso resta invece il panorama finanziario: l’eredità di Berlusconi, che promise solide certezze per il futuro, è per ora un grande incastro internazionale. Repubblica è in grado di aggiornare il puzzle. La notizia fresca di queste ore è che i cinesi non mollano, anzi rilanciano sulla campagna acquisti estiva: anche se sarà condizionata dalle sanzioni Uefa e meno faraonica di quella dell’estate scorsa, punterà comunque ad almeno un grande nome. I concorrenti dei cinesi vengono dagli Usa e non solo per il debito da 303 milioni contratto con il fondo Elliott: un nuovo fondo di investimento statunitense – ancora coperto dal segreto – è interessato a rilevare il club in autunno, se Yonghong Li non dovesse onorare il suo impegno con il fondo Elliott.
YONGHONG NON MOLLA. Fonti da Pechino rivelano che il presidente del Milan e i suoi uomini – malgrado il forte indebitamento, il fascicolo aperto della procura di Milano sulle transazioni finanziarie dai paradisi fiscali per il passaggio di proprietà, i fari accesi dall’Uefa e la velata accusa di essere dei “gamblers”, giocatori d’azzardo – non hanno la minima intenzione di abbandonare un business potenziale da 1,2 miliardi di euro, col traguardo della quotazione in borsa. Non commentano la notizia del tentativo di rifinanziamento in bitcoin, due mesi fa, con la piattaforma specializzata Vsport: secondo le stesse fonti da Pechino, intendono replicare coi fatti. Ai molti dubbi per il costante affanno nel rispettare le scadenze degli aumenti di capitale chiesti da Elliott (fatidico quello di fine giugno per il completamento della tranche di 37 milioni) e a quelli sulla provenienza dei capitali, rispondono coi numeri del budget stanziato per puntellare la squadra: 5 milioni l’anno avevano messo sul piatto per il sostituto di Montella, 10 ne hanno impegnato per i ritocchi dei contratti di Donnarumma e Suso, 6 per l’ingaggio biennale di Reina, 7 per il triennale di Gattuso. Rimane viva l’idea di un grande nome in attacco: se l’orizzonte è la quotazione in borsa, non ci si può accontentare del piccolo cabotaggio, servono campioni.
LA NOVITA’ AMERICANA. Però gli americani controllano e vigilano. I tassi di interesse sul prestito a Li sono tali (poco menod el 10%) per cui il fondo Elliott, colosso sempre più centrale nell’economia italiana grazie al massiccio ingresso nell’affare Telecom in appoggio a Berlusconi, può incassare circa 400 milioni, interessi compresi, dopo averne prestati 303 a Li (180) e al club (123). Se il debito non venisse onorato entro la scadenza di ottobre o anche prima, il club passerebbe a Elliott. La novità è che ci sarebbe già un compratore, il cui nome finore viene tenuto coperto. Si tratta di un altro fondo Usa, che garantirebbe prospettive solide alla società: in altre parole, un investitore di lungo periodo. Non mancano altri potenziali acquirenti, russi e arabi. Il Milan, insomma, continua a essere appetibile: nonostante il presumibile deficit prossimo da 130 milioni, il marchio è forte e conserva margini di ricavo notevoli, soprattutto se il rilancio sportivo dovesse proseguire.
GLI OLIGARCHI, SALVINI E GLI ARABI. Anche dalla Russia si guarda a Casa Milan. La scabrosa situazione diplomatica con gli Usa non facilita oggi le trattative con gli imprenditori amici di Putin, anche se, dopo gli anni dello stretto legame tra Berlusconi e il leader del Cremlino, è adesso un altro politico milanista, il leader della Lega Matteo Salvini, a caldeggiare rapporti di fratellanza con Mosca. Il nome del miliardario Alisher Usmanov, azionista di minoranza dell’Arsenal, non smette di circolare negli ambienti della City di Londra, dove era rimbalzato fino al mese scorso quello di Saeed al-Falasi, broker di Dubai, volto di un fondo arabo, poi congelato in attesa degli sviluppi sulla situazione del rifinanziamento del debito, affidato alla banca d’affari Merril Lynch e finora senza esito. Ma sarebbe un altro oligarca, per ora rimasto nell’ombra, il vero candidato alla poltrona di presidente in via Aldo Rossi.
L’INCOGNITA UEFA. Il compito dell’advisor non è stato agevolato dai dubbi finanziari sulle aziende cinesi di Li, né dall’imminente appuntamento con l’Uefa. Nell’incastro c’è infatti anche un tassello svizzero, forse il più importante. Tra una settimana, a Nyon, è in programma l’audizione Uefa, in vista delle sanzioni del settlement agreement per il mancato rispetto del fair-play finanziario negli ultimi tre anni, eredità dell’era Berlusconi. Rispetto alla bocciatura del voluntary agreement del dicembre scorso, dovuta al mancato rifinanziamento del debito, stavolta i parametri più importanti dovrebbero essere legati soprattutto al piano triennale di rientro nel fair-play. Ma l’aumento dei ricavi da stadio, i diritti tv e gli sponsor non possono da soli escludere i rischi: non tanto la punizione estrema dell’esclusione dalle coppe, ma una sanzione pecuniaria condizionata (dai 10 ai 20 milioni, in parte dilazionabili o cancellabili in base al progressivo circolo virtuoso), quanto le limitazioni alla rosa e alla campagna acquisti e tetto degli ingaggi, cresciuti col ritocco per Donnarumma (6 milioni l’anno) e potenzialmente in aumento ulteriore (Romagnoli). Il tetto dei salari, in genere, può toccare il 60% del fatturato, che per il Milan si aggira sui 215 milioni: in teoria, dunque, non si potrebbe sforare il tetto salariale di 129 milioni. Il rischio del blocco di una finestra appare più remoto. Fassone ha comunque un jolly da giocarsi: l’appoggio scritto di Elliott come garanzia economica della solidità aziendale.
CACCIA AL GOLEADOR. L’Ad milanista, successore di Galliani, è il volto più esposto del primo anno del Milan post Berlusconi: un compito delicato e ingrato al tempo stesso. Tanto entra, tanto può uscire. E’ verosimile che sia questo il paletto di mercato, fissato da Nyon. Resta sicuro il fatto che la programmazione della prossima stagione dipenderà appunto anche dall’Uefa: il sacrificio di Donnarumma e Suso potrebbe diventare necessario, per incassare una novantina di milioni e finanziare l’acquisto di un attaccante da 20 gol. E’ il vero obiettivo numero uno per luglio. Mirabelli ha bloccato i parametri zero Reina dal Napoli e Strinic dalla Sampdoria. E’ più laboriosa la trattativa per il centrocampista sudcoreano Ki dallo Swansea, è in bilico quella col Napoli per Callejon. Intanto, per allargare la base dei soci su iniziativa dei piccoli azionisti, si punta ai tifosi vip: esponenti della finanza, della cultura e dello spettacolo, sul modello dei tifosi vip dell’Inter, che con Moratti furono testimonial delle campagne abbonamenti. Si può arrivare al massimo allo 0,7% del capitale, ma potrebbe essere il primo passo verso un azionariato diffuso. Non restano affatto immote le acque, tra il Fiume Giallo e l’Olona.
Enrico Currò e Luca Pagni, Repubblica.it