Mosca taglia le forniture dirette a Kiev e preannuncia la fine del transito verso l’Europa
L’Europa avrebbe potuto evitare nuovi guai aggirando l’Ucraina con il gasdotto South Stream, invece la tubatura sotto al Mar Nero non è stata fatta, e così il nostro continente si trova un’altra volta ostaggio di una disputa sul metano fra la Russia e l’Ucraina, come capita ormai da troppi anni. Però questo ennesimo round potrebbe essere l’ultimo, perché il gigante russo Gazprom ha deciso di interrompere immediatamente le forniture di gas dirette al consumo interno di Kiev, e di avviare le pratiche per risolvere anche il contratto di transito con l’Ucraina, sul cui territorio passano ogni anno 90 miliardi di metri cubi di metano destinati all’Europa occidentale. Gazprom ha fatto questa scelta drastica dopo che una corte arbitrale di Stoccolma l’ha condannata a pagare a Kiev una penale di 4,56 miliardi di dollari. Questo perché il colosso russo non ha rispettato il contratto con gli ucraini, che prevede la consegna a Kiev di almeno 110 miliardi di metri cubi di metano all’anno (destinati al consumo interno dell’Ucraina); valori che Gazprom ha ridotto d’imperio, tagliando la media delle consegne a 94 miliardi. Mosca ribatte di non aver rispettato la sua parte d’impegni perché l’Ucraina non ha pagato una parte consistente del gas ricevuto, per un valore di 2 miliardi di dollari. La corte arbitrale ha fatto la sottrazione fra la penale di Gazprom e l’arretrato di Kiev condannando i russi a pagare agli ucraini un saldo di 2,56 miliardi. Mosca ha reagito con furia, denunciando «il doppio standard della sentenza». L’amministratore delegato di Gazprom, Alexei Miller, dice che «a queste condizioni vendere il gas all’Ucraina non ci conviene più: loro non ce lo pagano, e noi veniamo condannati a pagare a loro una penale». La reazione russa è stata tagliare immediatamente le forniture di metano all’Ucraina, lasciando intatte le forniture in transito verso l’Europa occidentale; ma solo per ora, perché è stata avviata la rescissione anche del contratto di passaggio. Kiev ha dovuto ridurre i consumi chiudendo asili, scuole e università e aumentando le importazioni di gas dall’Europa, che costa però il 34% in più di quello russo. La differenza, dice l’Ucraina, «dovrà pagarla Gazprom». È ovvio che l’Europa resti ostaggio di queste annose diatribe. Il South Stream sotto al Mar Nero, che avrebbe dovuto unire direttamente la Russia ai Balcani, non è stato fatto, in compenso si sta lavorando al Turkish Stream, sempre sotto al Mar Nero, fra Russia e Turchia, che ne ricalca in parte il tracciato; e si punta al raddoppio del gasdotto esistente Nord Stream sotto al Baltico, che taglia fuori anche la Polonia, con cui in passato erano sorti problemi analoghi. Al momento sia i russi (interessati ai proventi dell’export in Europa) sia gli ucraini (che vogliono incassare i diritti di transito, finché il transito dura) garantiscono che le forniture all’Europa non sono a rischio; ma è chiaro che così non si può andare avanti.
La Stampa