Uber era stato accusato di avere rubato – attraverso un ex dipendente di Google – segreti commerciali relativi alla tecnologia delle auto senza guidatore. L’azienda ha patteggiato
La battaglia legale tra Uber e Waymo, molto seguita nei giorni scorsi soprattutto nella Silicon Valley, è già finita. Con un patteggiamento e il pagamento, secondo i media americani, di circa 245 milioni di dollari da parte di Uber. Il gruppo che offre un servizio alternativo al taxi tradizionale era stato accusato dalla controllata di Alphabet (Waymo) specializzata nello sviluppo di auto a guida autonoma, di avere rubato – attraverso un ex dipendente di Google, da cui Waymo è stata poi scorporata, e poi passato a Uber – segreti commerciali relativi a quella tecnologia. Tra le tecnologie rubate – secondo Waymo – ci sarebbe stato il sistema «Lidar» (light detection and ranging), che consente a un veicolo self-driving di capire cosa gli sta succedendo intorno. Dopo una settimana dall’inizio del processo, in un documento trasmesso al Tribunale di San Francisco, le due parti affermano di aver sottoscritto «un’intesa confidenziale» che mette fine alle accuse. Uber avrebbe accettato di non usare la tecnologia Waymo e di pagare una quota azionaria del 34% pari al valore di 245 milioni di dollari. I termini economici dell’accordo però non sono stati formalmente diffusi e non ne ha fatto cenno neanche il Ceo di Uber Dara Khosrowshahi, nella sua lettera scritta e pubblicata online. In cui però sottolinea che questo scandalo fa parte di una gestione passata della compagnia. Il pensiero ovviamente va al fondatore Travis Kalanick ed ex amministratore delegato della compagnia che nei giorni scorsi aveva fatto anche apparizione al processo in un tribunale della California.
«In qualità di CEO di Uber — ha scritto Khosrowshahi — il mio lavoro è impostare il percorso che questa azienda percorrerà in futuro: innovare e crescere con responsabilità, e allo stesso tempo riconoscere e correggere gli errori del passato. Nel farlo, voglio esprimere tutto il mio rammarico per ciò che mi ha portato a scrivere queste parole». Per fare chiarezza, ha aggiunto l’ad, «mentre non crediamo che segreti industriali possano aver raggiunto Uber direttamente da Waymo, né crediamo che Uber abbia utilizzato alcuna informazione proprietaria di Waymo sulla tecnologia della guida autonoma, stiamo prendendo provvedimenti accanto a Waymo per assicurare che il nostro Lidar e il nostro software siano esclusivamente frutto del nostro buon lavoro. Non posso cancellare il passato, ma posso impegnarmi, a nome di ogni dipendente Uber, che da questo ultimo impareremo e che rappresenterà un punto da cui partire per le nostre azioni future. Ho parlato — ha spiegato il manager — ad Alphabet delle incredibili persone di Uber ATG, che sono concentrate sull’assicurare che i nostri sviluppi rappresentino il meglio dell’innovazione e dell’esperienze di Uber nella tecnologia della guida autonoma. Mentre apportiamo un cambiamento nel modo in cui operiamo e mettiamo l’integrità al centro di ogni nostra decisione, non vediamo l’ora di prendere parte alla corsa per costruire il futuro. Crediamo che questa corsa debbe essere equa e giusta – e che i vincitori debbano essere le persone, le città e l’ambiente».
Corinna De Cesare, Corriere della Sera