Da coloni a colonizzatori: i consumi cinesi superano quelli americani e l’Europa trema

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Nel 2000, i consumi retail cinesi valevano appena 472 miliardi di dollari; quelli americani 3.300 miliardi. Alla fine di quest’anno Pechino supererà Washington sfondando quota 5.800 miliardi. E’ successo in un attimo: la classe media ha iniziato a comprare automobili, smartphone, abbigliamento griffato. Non per nulla Shanghai è chiamata la “Parigi dell’est”. L’aumento degli stipendi ha avuto un peso rilevante: in dieci anni il reddito pro capite è passato da 2mila a 8mila dollari l’anno.
“La migliore merce di scambio della Cina è la massiccia e veloce crescita del mercato interno” dice Jianguang Shen, capo economista per il Paese di Mizuho, che sottolinea come “questo cambierà enormemente gli equilibri di potere: per la prima volta gli Stati Uniti si trovano a fronteggiare un mercato delle stesse dimensioni”. “La corsa della Cina era prevedibile” spiega Giuliano Noci, prorettore del polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, che poi spiega: “La propensione al consumo dei nati negli anni 90 è molto più alta rispetto a quella dei loro genitori. E poi c’è stata l’esplosione dell’ecommerce che permette ai cinesi non urbanizzati di fare acquisti che prima erano preclusi. E parliamo di 600 milioni di persone”. Un mercato enorme che ha permesso ad Alibaba di diventare una delle più grandi società del mondo.
Il rapporto consumi privati/Pil non è ancora comparabile con quello dei Paesi occidentali, ma come osserva Alberto Rossi, responsabile marketing Fondazione Italia Cina e analista CeSIF, “a fine 2017 i consumi pesano per il 58,8% della crescita del Pil e nella suddivisione della spese dei consumatori cinesi, dal 2015, l’acquisto di beni di sussistenza conta meno del 30%”. Tradotto: prima si acquistava il minimo indispensabile per vivere, oggi si sta rapidamente affermando uno stile di vita e un modo di consumare tutto cinese. Un cambio di paradigma che rende la Cina un mercato estremamente attraente per chi vuole investire, ma anche molto pericoloso per chi sceglie di assistere passivamente alla rivoluzione culturale orientale.
“Eppure – prosegue Noci –, la crescita dei consumi è ancora frenata. Perché spicchi il volo, Pechino deve incidere sul welfare: la classe media e i meno abbienti sono frenati dall’idea di una sanità molto costosa e per questo la propensione al risparmio resta molto alta. Un intervento del governo potrebbe dare una forte accelerata”. I numeri sono quindi la dimostrazione che il progetto politico di Xi Jinping sta funzionando: il modello economico cinese sta virando verso il New Normal, una crescita a ritmi inferiori, ma di maggiore qualità. “Non tutto sta funzionando come previsto – sottolinea Rossi -, ma tra gli aspetti maggiormente positivi del New Normal c’è di sicuro la crescita dei consumi interni che il governo ha stimolato”. Oggi, quindi, non si va più in Cina per delocalizzare – anche perché la crescita dei costi non lo permette più -, ma per aggredire il mercato interno. “Il baricentro del pianeta si sta spostando a est, ma bisogna essere prudenti, per noi i rischi sono enormi” dice Alberto Forchielli amministratore delegato di Mandarin Capital Partner, il primo fondo di private equity non cinese ad aver ricevuto in gestione capitali del governo di Pechino, che aggiunge: “In Cina il potere del primo ministro è verticale, quindi il partito incide come vuole sull’economia dello Stato. Le diseguaglianze sono enormi, la classe media è ferma e poi ci sono differenze culturali enormi. Non abbiamo idea di quale sia il pericolo per noi un mondo guidato dai cinesi”.
Per il momento i rischi sono mitigati dal bisogno che Pechino ha dell’occidente anche perché quasi il 20% dell’export cinese viene acquistato dagli Stati Uniti, ma nel medio termine anche questo dato è destinato a cambiare: “Oggi la fascia di reddito medio-alta rappresenta il 10% della popolazione, nel 2030 sarà il 35%. Oltre a questo tema, uno dei principali elementi di innovazione – prosegue Rossi – sono gli investimenti in ricerca e sviluppo, fortemente in crescita. L’innovazione locale accresce opportunità e competizione per le imprese italiane ed europee che, inizialmente, potranno beneficiare della domanda cinese per prodotti altamente tecnologici, ma nel tempo – se impreparate – dovranno affrontare una fortissima concorrenza delle aziende cinesi”. “D’altra parte – fa eco Forchielli – i cinesi ti usano finché hanno bisogno di te, poi ti scaricano. Con loro ogni affare inizia con il brindisi e finisce al mattatoio”.
C’è un altro numero che può aiutare a comprendere la potenza cinese: nonostante la tassa sul lusso del 10% sulle auto importante dagli Usa, una macchina americana su cinque è venduta in Cina. Come a dire che ogni restrizione nei confronti di Pechino metterebbe un freno alla crescita economica occidentale. “Gli Stati Uniti – conclude Noci – stanno prendendo una posizione chiara, Pechino prosegue per la sua rotta, l’Europa, invece, è il grande assente sullo scenario geopolitico. E corre grandi rischi”.

Business Insider