E’ come nelle trattative per vendere casa: si aumenta la valutazione quando si pubblica l’inserzione, per poi abbassarla in sede di trattativa, sperando di incassare la somma che si aveva in mente fin dall’inizio. Lo stesso è accaduto per i tagli decisi a fine dicembre prima dall’Opec e subito dopo dai principali concorrenti al di fuori del cartello. Per tutto il 2016 si è discusso su come trovare un accordo per il taglio della produzione in modo da dare una risposta al calo del prezzi del greggio: un periodo di tempo nel quale non solo non c’è stata alcuna moratoria in attesa di una decisione, ma la produzione è addirittura cresciuta. Così, anche dopo il taglio avvenuto ad accordo raggiunto si è più o meno tornati ai livelli di un anno fa. In altre parole, i paesi produttori – in particolare quelli che hanno un costo per l’estrazione più basso della media dei prezzi dell’ultimo anno – hanno fatto salire il livello dei barili estratti nel mentre delle discussioni, per poi fermarsi solo a firma ottenuta da parte di tutti.
Lo dimostrano i dati appena pubblicati proprio dall’Opec: nel mese di gennaio, la produzione mondiale è scesa a 95,8 milioni di barili al giorno, in calo di 1,3 milioni rispetto a dicembre: ma se facciamo il raffronto rispetto al gennaio 2016, quindi rispetto a un anno fa, il calo di riduce di quasi due terzi, pari a 0,46 milioni. Considerando solo l’Opec, il taglio è stato di 890 mila barili al giorno, con una produzione scesa così a 32,14 milioni di barili.
Del resto, anche il mercato se ne è accorto: non a caso, la ripresa dei prezzi c’è stata a metà 2016 quando si è capito che un accordo sarebbe stato inevitabile, me non dopo che è stato sottoscritto da tutti. Anzi, da inizio gennaio le quotazioni sono tutto sommato stabili.
Luca Pagni, La Repubblica