Il progetto pilota nella sede Ikea di Spreitenbach, non distante da Zurigo. Gli arredi saranno riacquistati fino al 60% del costo originale. Ai clienti dei buoni di acquisto da spendere nei negozi del gruppo svedese. L’usato tornerà sul mercato a prezzi più bassi
Ikea a tutto campo e per tutte le tasche. Anche per quelle di coloro che i mobili della multinazionale svedese possono solo ammirarli nei centri commerciali, ma non possono permetterseli. O meglio, non possono permetterseli nuovi di fabbrica. D’ora innanzi il colosso dell’arredamento, fondato dal multimiliardario oggi 91 enne, Ingvar Kamprad, penserà anche a quelli che, con i suoi armadi, tavoli, cassettoni, letti, lampade e scrivanie si devono limitare, per il momento, solo a lustrarsi gli occhi. Non hanno i mezzi per comprarli nuovi? Glieli rivendiamo usati.
Si inizierà in Svizzera dove, l’anno prossimo, partirà un esperimento pilota, nella sede Ikea di Spreitenbach, non distante da Zurigo. “Dal primo gennaio- ha dichiarato al settimanale NZZ amSonntag il portavoce del gruppo, Manuel Rotzinger -inizieremo a ritirare i mobili di cui la nostra clientela intende disfarsi”. “L’esperimento- ha aggiunto Rotzinger- riguarderà gli acquisti effettuati presso le nostre superfici di vendita che, a dipendenza del grado di usura, potremmo pagare fino al 60% del prezzo originale”.
Il pagamento, giusto precisarlo, avverrà in buoni Ikea, tanto per non far uscire la clientela dal clan di fedelissimi della vasta gamma di creazioni di Kamprad. L’usato, una delle finalità dell’operazione, tornerà invece sul mercato per accontentare i meno fortunati. Insomma, per fare arrivare i prodotti Ikea dove, oggi, per questioni di budget familiare, non riescono a trovare spazio.
I maligni sostengono che, in tal modo, il gigante svedese finisce per alimentare un consumismo fine a sè stesso. Ma che, tutto sommato, non tradisce lo spirito del suo fondatore. “Io – ha dichiarato Ingvar Kamprad, noto per la sua parsimonia – mi vesto solo comprando usato, se possibile al mercato delle pulci”.
Franco Zantonelli, Repubblica.it