Bitcoin sale, bitcoin scende. Sul mercato – parallelo – delle valute, la cripto moneta creata nel 2009 da Satoshi Nakamoto (pseudonimo dietro cui si nascondo uno o più programmatori di cui nulla sappiamo) è prigioniera della volatilità: dopo essere arrivata a sfiorare i 5mila dollari a inizio settembre (ne valeva mille il primo gennaio scorso) è crollata a 3.300 dollari una settimana dopo e oggi cerca di riportarsi intorno ai 4mila. Oscillazioni indicate solo per i “forti di cuore” direbbero i vecchi agenti di cambio.
L’algoritmo
La realtà, però, è molto più semplice: Bitcoin è una moneta virtuale, creata da una complessa serie di algoritmi. Il suo valore è ovviamente determinato dalla domanda: più cresce, più il prezzo sale. A differenza delle monete tradizionali, però, il numero di Bitcoin in circolazione non potrà mai superare i 21 milioni: l’ultimo sarà estratto nel 2044. Insomma non esiste una Banca centrale capace di “battere” moneta per calmierare i prezzi o di drenare liquidità per sostenere le quotazioni: a determinare gli strappi più nervosi sono piuttosto le prese di posizione dei regolatori ufficiali e gli umori mutevoli dei grandi investitori.
I minatori
Il sistema è studiato perché più aumentano le monete in circolazione, più diventa complesso trovare l’algoritmo giusto per “estrarre” un Bitcoin. Tradotto: servono computer potenti e veloci nell’esecuzione del calcolo, capaci di battere la concorrenza dei tanti “minatori” a caccia di Bitcoin. Alla base di tutto, però, resta il concetto che chiunque può riuscire nell’impresa: un po’ come per i cercatori d’oro del Klondike.
Le banche
“Le banche, JpMorgan in testa, hanno provato da subito a mettere le mani sulle criptovalute per creare una loro blockchain, ma ancora non ci sono riuscite e così demonizzano il fenomeno” spiega Federico Pecoraro, amministratore delegato di Robocoin (società che produce bancomat per Bitcoin), commentando le parole di Jamie Dimon, il numero uno di JpMorgan che aveva definito “Bitcoin una truffa” minacciando di licenziare “chiunque fosse stato sorpreso da negoziare la valuta”.
Bitcoin non è Blockchain
L’errore più comune che si fa parlando di Bitcoin, però, è quello di confondere le valute con la blockchain, la tecnologia sulla quale tutte le monete virtuali sono state realizzate. Si tratta, in sostanza, di un database formato da blocchi di algoritmi che memorizzano altri blocchi di transazioni validate in tempo reale dai soggetti coinvolti: i blocchi collegati formano una catena, con ogni blocco addizionale che rinforza quelli precedenti. “Bitcoin nasce per mettere un freno a tutti gli intermediari che guadagnano sulle singole transazioni, ma ha un vantaggio enorme: come tutte le transazioni in blockchain è tracciabile e trasparente, in ogni momento” aggiunge Pecoraro.
Tracciabilità e immutabilità
“E’ una moneta transnazionale con regole definite dalla rete anziché dalle banche centrali per cui il digitale ne è un elemento intrinseco” fa eco Valeria Portale, direttrice della ricerca su Blockchain&Distribuited Ledger degli Osservatori del Politecnico di Milano, che poi spiega: “Spesso la criminalità si è avvicinata alle criptovalute per sfruttare gli elementi di anonimato che le caratterizzano, ma ignorando che la blockchain sia uno degli strumenti più tracciabili al mondo. Basti pensare che il sito Silk Road (dove si vendevano in bitcoin armi e droga, ndr.) è stato chiuso con l’arresto di oltre 100 persone”.
Regolatori spiazzati
Il problema è che fino ad oggi le banche – quelle centrali in primis – non hanno capito molto del fenomeno e così il regolatore è rimasto spiazzato: qualcuno ha vietato i bitcoin, altri sono stati più morbidi, altri ancora hanno messo fuori legge i primi operatori, come ha fatto la Cina poche settimane fa. “Il mondo è sempre concentrato su Bitcoin, ma con blockchain si può fare molto per migliorare l’efficienza dell’economia reale in tanti settori”, rilancia Roberto Mancone numero uno nella direzione di Francoforte delle Disruptive Technologies and Solutions di Deutsche Bank che insieme a H-Farm ha lanciato un acceleratore tecnologico proprio “per sfruttare le enormi potenzialità in campo industriale: il sistema delle transazioni e delle comunicazioni potrebbe migliorare moltissimo”.
Le applicazioni industriali
“L’informazione che occorre estrarre attraverso blockchain – continua il banchiere – non deve essere solo quella di una valuta virtuale, ma deve essere sviluppata in ambito industriale: per esempio in tutte quelle situazioni dove servono dei certificati di origine, o documenti che attestino il passaggio di proprietà, come nel settore alimentare o nella moda, o nella componentistica, riducendo frodi, falsificazioni e aumentando efficienza e riduzione di rischi operativi nella catena di controllo a favore di tutti gli attori: importatori, esportatori, banche, dogane, società di logistica, assicurazioni”. Anche perché per falsificare uno qualunque dei passaggi bisognerebbe corrompere la metà più uno dei validatori: nel caso di Bitcoin non si sa neppure chi siano, negli ambiti industriali – invece – sarebbero proprio le diverse parti coinvolte nell’operazione.
Smart contract
Ad aumentare la confusione tra chi sente parlare di Bitcoin e blockchain c’è spesso la sovrapposizione del concetto di transazione con quello di investimento: oggi utilizzare la tecnologia di Nakamoto per pagare un qualunque bene è quasi impossibile proprio per le oscillazioni della valuta, mentre investire in Bitcoin può essere interessante, anche se estremamente rischioso per la mancanza di sottostante. “Tra un balzo e l’altro il valore dei Bitcoin continuerà a crescere e nel frattempo sto aiutando negozi e imprese a capire come utilizzare la valuta per le loro transazioni”, dice Pecoraro. Più scettica Valeria Portale secondo cui “fino a quando il Bitcoin non troverà stabilità l’utilizzo nell’economia reale sarà poco significativo”. Mancone, invece, guarda già al futuro: “Penso ai contratti intelligenti che si possono scrivere con la blockchain, ai micropagamenti automatici all’avverarsi di determinate condizioni tra macchine e componenti, all’evoluzione della shared economy, penso alle smart cities. I prossimi anni saranno rivoluzionari. E le banche devono decidere che ruolo vogliono giocare”.
Giuliano Balestreri, Business Insider Italia