Scontro tra Soro e Verini (Pd), autore dell’emendamento: “Misura contro il terrorismo”
Il Garante Soro non cede sulla privacy: “Sei anni sono troppi”. “Ma la lotta dura contro il terrorismo e la tutela della privacy possono stare insieme. Basta intendersi sulle regole” replica il Dem Walter Verini quando affronta, e difende, il suo emendamento approvato il 19 luglio alla Camera che fa aumentare di due anni il tempo in cui il traffico via filo e via web non viene distrutto. “Non si può dire che aver spostato da 4 a 6 anni l’asticella della conservazione dei dati telefonici e telematici faccia inclinare l’ago della bilancia tutto a svantaggio della riservatezza”.
D’accordo il Procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti: “Certo. È un tempo lungo, ma in questo Paese dobbiamo decidere se la lotta al terrorismo si vuol fare davvero oppure no. Sia io che il procuratore di Roma Pignatone avevamo chiesto al ministero della Giustizia la proroga del decreto antiterrorismo del 2015 che blocca per 4 anni la cancellazione dei dati. Ma il vero problema non sta nel fatto che quei dati restino in vita, ma nel come vengono conservati per garantire la loro sicurezza e un loro uso congruo e non distorto”.
Un fronte contro l’altro. Soro, di fronte al Copasir, il Comitato di controllo sui servizi segreti, martedì pomeriggio, non ha tenuto a freno i suoi dubbi: “No, non sono d’accordo, questi 6 anni sono troppi. È una misura in palese contrasto con l’ordinamento e la giurisprudenza dell’Unione europea”. A strettissimo giro, a Soro replica Felice Casson, ex giudice istruttore a Venezia, senatore di Mdp, componente del Copasir: “Il Garante sbaglia. Non bisogna far confusione tra “sorveglianza massiva” e conservazione dei dati, giocando sulle direttive della Ue e soprattutto dimenticando le ormai tante sentenze della Corte di Giustizia del Lussemburgo che ha ammesso la memorizzazione più lunga dei dati e il loro uso, ma solo a patto che ci sia la garanzia del controllo del giudice, che l’uso sia giustificato da reati molto gravi, che i magistrati fondino la loro indagini su elementi specifici”.
Ecco, è in questi pareri la querelle scatenata dalla norma appena approvata dalla Camera che, basandosi sulle direttive Ue del 2017 sul terrorismo, “per garantire strumenti di indagine efficaci, tenuto conto delle straordinarie esigenze di contrasto al terrorismo anche internazionale, per l’accertamento e la repressione dei reati gravi e gravissimi”, porta a 72 mesi la durata della conservazione. Protestano Soro, molti avvocati, noti giuristi, si augurano tutti che al Senato la norma venga cambiata. Ma Verini si stupisce dello stupore, e ovviamente spera che a palazzo Madama non ci siano problemi: “Di certo non ce ne sono stati alla Camera, dove non ha protestato proprio nessuno né in aula, né fuori contro un presunto attentato alla privacy e alla democrazia, neppure i 5stelle”.
Verini spiega la genesi della norma: “Io non ho inventato proprio nulla. L’esigenza di prorogare il decreto antiterrorismo del 2015 è arrivato da via Arenula, che ha raccolto a sua volta le sollecitazioni preoccupate di noti magistrati. Sei anni sono troppi per Soro? Secondo me no. Sono il tempo giusto per non perdere una traccia investigativa importante, magari un telefono che ha squillato una volta, e poi ha taciuto per 3 o 4 anni, per poi risvegliarsi di nuovo. O un identico segnale informatico “. Tutto qui per Verini che tuttavia non nega la questione della privacy e concorda sulla necessità di “approvare una legge organica e di sistema per non usare in modo improprio e illegale i dati personali”.
Quale sarà, a questo punto, il destino della sua norma che ha sfruttato un contenitore occasionale, una delle tante leggi che italianizzano direttive Ue, per evitare, in tempi di lotta al terrorismo, che migliaia di possibili conferme investigative siano distrutte? Casson dà per scontato il sì del Senato: “È sbagliato lasciar intravvedere, qui in Italia, uno scenario simile a quello Usa in cui si sono verificate migliaia di intercettazioni abusive. Non è accaduto in passato e non succederà domani, in un Paese in cui solo il giudice può stabilire l’uso del traffico telefonico e telematico”. Perché non bisogna dimenticare che non stiamo parlando né di telefonate registrate, né di singole consultazioni del web.
Liana Milella, La Repubblica