La resa del piede e di tutto quello che rimaneva attaccato al piede arriva al settimo gioco del terzo set, quando si materializza il break per l’altro, quello più forte e più amato. Praticamente Marin Cilic non ha avuto né chance né tempo per interferire su Roger “Foreverer” Federer, l’eterno disillusionista dei progetti altrui, quello che dura dove gli altri smettono (per i motivi più disparati) o perdono sul campo (sempre per i motivi più disparati). Come previsto, ma non era affatto scontato, e senza perdere un set in tutto l’arco del torneo come a Londra accadde al solo Borg nell’era open, e come gli era già riuscito a Melbourne quest’anno, Roger Federer vince il suo ottavo Championships, diventa l’uomo che più di tutti ha saputo dare all’erba (e al tennis sull’erba di Wimbledon) quel rilievo cromatico supplementare, in questa come in tutte le altre stagioni, quella brillantezza che ormai neppure i giardinieri dell’All England Club riescono più a garantire.
Cilic è stato a modo suo protagonista. La palla break comparsa a inizio partita era veramente piovuta dal cielo ma lui non ha fatto in tempo a capire cosa stava succedendo che il flash della miracolosa possibilità si è spento e il mondo gli si è di colpo rivoltato contro. Ha ceduto pian piano centimetri, mentre l’altro prendeva spazio, ha mutato espressione e persino la barba gli si è irrigidita. Hanno pianto tutti sul Center Court. Sullo 0-3 nel secondo set Cilic per poco non cade dalla sedia per lo smottamento interno, un misto di rabbia, dolore e impotenza.
La Repubblica