Morto a 84 anni. L’ultimo pensiero per operai e impiegati dell’azienda ceduta a Terna Riunioni di cinque minuti e decisioni comunque: «Se non decidi, sbagli di sicuro»
Li conosceva uno per uno. A tutti ha fatto passare quarti d’ora intensi, ma da ciascuno dei suoi dipendenti sapeva tirare fuori il meglio. Perché Luciano Tamini, classe 1932, in azienda era un motivatore, un leader che superava i dubbi con le decisioni. «Se non decidi sbagli di sicuro», ripeteva ai suoi collaboratori.
È morto sabato 1 luglio a 84 anni. Un mese fa gli era stata diagnosticata una malattia che non lasciava scampo. E lui, che aveva detto mille volte che «la morte più bella sarebbe andare a dormire e non risvegliarsi», ha reagito come ha sempre fatto: «Ma sì, sono contento di avere davanti un po’ di tempo, così posso organizzare bene le cose che voglio lasciarmi alle spalle». Il primo pensiero è andato ai «suoi» dipendenti: «Vorrei lasciare un ricordo». E subito dopo ha dato disposizioni per un lascito di circa 4 milioni di euro, cioè 15 mila euro per ogni operaio e 10 mila per ogni impiegato («perché è giusto dare qualcosina in più a chi guadagna meno») per un totale di circa 300 persone. Tutti coloro che erano alle dipendenze della Tamini al momento in cui è stata ceduta al gruppo Terna e che ancora lavorano nell’azienda fondata 101 anni fa da suo padre.
È il 1916, infatti, quando Carlo Tamini apre a Milano la sua officina di riparazioni meccaniche, che quasi subito diventa un impianto di saldatura. Il passaggio successivo è la produzione di trasformatori elettrici per i piccoli altoforni dei «tondinari» del bresciano e per la nascente industria siderurgica. Alla morte prematura del padre, tocca ai tre figli prendere in mano l’azienda. Luciano è il più giovane, ma è lui, a 21 anni, a guidare la conquista del mercato dell’energia elettrica, producendo trasformatori sempre più grandi da proporre negli Stati Uniti come in Iran. La fabbrica di Melegnano, leader mondiale del settore, viene ribattezzata «la Ferrari dei trasformatori».
Con Luciano Tamini le riunioni non durano mai più di cinque minuti e qualsiasi relazione sopra le tre pagine è destinata a non essere letta. Lui preferisce parlare, ascoltare. Per poi «decidere». Rapidamente, d’intuito. Negli ultimi tempi, con compiaciuta autoironia, diceva: «Ho avuto un gran c…, perché quello che ho deciso poi ha funzionato». Un carattere duro, ma un capo capace di calibrare parole e atteggiamenti. Da manager concepisce il mercato come un campo di gara in cui vince il migliore, e rifiuta accordi con i concorrenti, qualsiasi forma di cartello, nonostante le avances delle multinazionali. Ma intanto la globalizzazione rimescola le carte e si fanno sentire anche gli effetti di un conflitto familiare che si trascina per una decina d’anni. Nel 2014, arriva la scelta più sofferta: cedere l’azienda a Terna, colosso italiano della distribuzione di energia, convinto di assicurare così «un futuro al marchio e sopratutto ai lavoratori». Anche se il lavoro è un po’ diminuito a causa della crisi mondiale i bilanci continuano a essere in attivo e soprattutto — ripete con orgoglio il neo presidente onorario — non è «mai stato licenziato nessuno, non è mai stata fatta un’ora di cassa integrazione e non ci sono debiti con le banche».
Nel 2016, in occasione del centenario della Tamini, pubblica un libro, «Il cammino del vecchio leone», per raccontare la storia di «un’eccellenza italiana». E insiste per avere il leader della Fiom Maurizio Landini come ospite alla presentazione. Ma pochi mesi dopo, con il cambio ai vertici di Terna, alla Tamini si parla per la prima volta di cassa integrazione. Lui è contrario, si schiera dalla parte dei dipendenti. Ma nel febbraio scorso viene estromesso anche dalla carica di presidente onorario. Ma prima di uscire di scena scrive una lettera indirizzata agli «amici» operai, impiegati, dirigenti, sindacalisti. «Ho compiuto 84 anni, ma come un vecchio leone vi dico che sono pronto a ruggire ancora. La Tamini è indistruttibile e non potrà finire mai. Abbiate pazienza e fiducia, un abbraccio a tutti». Per il suo funerale, martedì 4 luglio alle 10 a Fortunago (Pavia), i manager che lui ha osteggiato hanno deciso di accogliere una delle sue ultime volontà: otto ore di permesso a tutti i dipendenti perché possano partecipare al commiato.
Giampiero Rossi, Il Corriere della Sera