Upa, più trasparenza su internet

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Libro bianco con le regole comuni secondo investitori, editori e mondo della comunicazione. I nodi: copyright, fisco e dati. Prove d’intesa con Google

Il mondo della comunicazione presenta il suo Libro bianco sul digitale e si prepara per settembre a passare dagli intenti delle regole comuni individuate ai fatti, ossia lanciare una certificazione per gli istituti di rilevazione online come Nielsen e Comscore, tra gli altri. Si tratterà quindi di una sorta di bollino di livello superiore, destinato ad attestare le pratiche delle società specializzate in monitoraggi, per esempio, di campagne pubblicitarie digitali.
L’intenzione di Upa (Utenti pubblicità associati, che riunisce gli investitori italiani sotto la presidenza di Lorenzo Sassoli de Bianchi) e delle altre sette associazioni di settore (Fieg, Assocom, Netcomm, Iab, Unicom, Fedoweb e Fcp) è fissare degli standard industriali uguali per tutto il comparto. Per questo verrà indetto un bando aperto a varie società, senza escludere l’americana Mrc e la britannica Abc che, nei rispettivi mercati, già rilasciano certificazioni analoghe. Tra le società di rilevazione contattate da ItaliaOggi, che saranno a loro certificate, ha risposto Comscore secondo cui: «Appoggiamo ogni procedura che porti a una maggiore trasparenza», ha dichiarato l’a.d. tricolore Fabrizio Angelini, «purché non si risolva tutto in una certificazione di quanto già valutato all’estero da altri enti internazionali. Serve un’analisi innovativa». Da Nielsen (guidato in Italia dall’a.d.
Giovanni Fantasia), invece, hanno fatto sapere che «il Libro bianco può rappresentare un punto di partenza per una regolamentazione del mercato basata sulla condivisione di principi riconosciuti dai tutti i player della filiera della comunicazione digitale. Nielsen da sempre fa dell’indipendenza e della trasparenza i tratti distintivi dei propri servizi di misurazione quindi accoglie con favore l’iniziativa». Intanto, aspettando settembre, si prosegue con la diffusione del Libro bianco sulla comunicazione digitale, che ha debuttato ieri a Milano e a cui hanno lavorato per la prima volta insieme le otto associazioni, concentrandosi su sei aspetti: viewability (la misurazione di come e per quanto tempo viene vista una pubblicità), trasparenza nella lunga e complessa filiera del programmatic advertising (gli spazi venduti in automatico), user experience (con un’attenzione particolare al fenomeno dell’ad blocking), ad fraud (creazione illegittima di traffico online), brand safety e brand policy (la creazione di contesti di comunicazione in linea con le strategie dei marchi) e soprattutto la ricerca di una maggiore trasparenza sui dati d’investimenti pubblicitari. Il Libro bianco è disponibile su www.upa.it.
Google e Facebook, tra i vari over-the-top (ott), non comunicano infatti la loro raccolta, pur attirando una stima di circa 2,5 miliardi di euro, ossia il 25% di tutti gli investimenti digitali, a loro volta pari al 28% del totale (secondo dati Fcp). Il tutto in un settore commerciale in cui un euro pianificato online ne genera 25 d’indotto. Adesso, però, Big G ha manifestato «un accordo di massima ai parametri individuati dal Libro bianco, compresa la trasparenza dei dati», ha spiegato Sassoli de Bianchi, giusto lo stesso giorno in cui è stata annunciata la multa Ue al colosso Usa per 2,42 miliardi di euro (la cifra attesa nei giorni scorsi era intorno al miliardo), a causa di una posizione dominante in Google Shopping.
E dopo che Carlo De Benedetti, oggi presidente onorario di Gedi (Repubblica+Stampa+Secolo XIX), ha chiamato a nuovi Stati generali dell’editoria non solo ogni soggetto della filiera ma anche e soprattutto i grandi della rete. Tutte le iniziative che scaturiscono dal Libro bianco (anticipato da Giuseppe Corsentino su ItaliaOggi dell’8/9/2016) devono riportare a «una maggiore conoscenza di un territorio virtuale nuovo, complesso e talvolta opaco», ha sottolineato il presidente Upa. E nel dettaglio, è intervenuto Maurizio Costa, presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg), sono tre i pilastri da rafforzare: «Il diritto d’autore contro l’uso improprio dei contenuti, una nuova politica fiscale nei confronti degli ott e una gestione corretta dei big data. Credo che anche Google e Facebook abbiano interesse a un atteggiamento dialogante e nello stesso tempo non definitorio», soprattutto su copyright e fisco. A giudizio dei due presidenti, c’è una finestra di 6-9 mesi per aprire il dialogo e trovare punti d’incontro. Ieri, però, è arrivata la risposta del gruppo guidato da Larry Page tramite un portavoce, secondo cui: «Condividiamo l’obiettivo di assicurare metriche di qualità, basate sul rispetto degli utenti e sulla certificazione di terze parti. Per quanto riguarda la viewability, per esempio, su YouTube registriamo il 93% degli annunci viewable e il 95% audible».
Tutto il mondo digitale è in azione, dallo Iab all’Autodisciplina pubblicitaria. E senza dimenticare che la stessa Upa con Fieg, Assocom, Netcomm, Iab, Unicom, Fedoweb e Fcp vuole definire un nuovo parametro quantitativo minimo di tempo e pixel visualizzati, sotto il quale la visualizzazione di una campagna non può essere conteggiata. Inoltre c’è la questione intricata della proprietà dei big data: a chi appartengono, pur nel rispetto della privacy dell’utente? Agli investitori, agli editori o alle società intermediarie?
Tra le varie associazioni, si sta muovendo anche e soprattutto Iab (Interactive advertising bureau) Italia col suo presidente Carlo Noseda che vuole «inserire un intervento a favore del digitale nella legge di stabilità di fine anno, in modo da incentivare l’intero settore e garantire i principi di competizione paritetica» dopo che la «manovra correttiva pubblicata il 23 giugno scorso ha previsto agevolazioni sugli investimenti incrementali in campagne pubblicitarie su stampa ed emittenti radio e tv locali». Non solo, Noseda lancia a Milano per la fine del prossimo ottobre D:City, una tre giorni che racconterà «storie di eccellenza tecnologica, attraverso un palinsesto di appuntamenti dedicati sia ai professionisti sia ai cittadini».
Infine, c’è l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap, presieduto da Mario Barbuto) che ha deciso di regolamentare le recenti forme di native advertising (contenuti promozionali creati dagli editori ad hoc per i loro inserzionisti) e le figure dei blogger. Entrambi i temi portano alla «necessaria distinzione tra informazione e pubblicità», secondo Sassoli de Bianchi, e più in generale a una maggiore tutela per la «qualità dei contenuti che, al momento, non viene pagata. Ma si tratta di una situazione da cambiare», a giudizio di Costa che non ha mancato di fare l’esempio analogo delle fake news, prima non riconosciute dai colossi di internet mentre adesso il padre di Facebook «Mark Zuckerberg apre» sul tema «e il fondatore di Twitter Evan Williams ha ammesso che la cosa è sfuggita di mano e ci vorranno vent’anni per recuperare».

Italia Oggi