Pechino indaga sui finanziamenti e le acquisizioni all’estero
di gruppi come Wanda, Fosun (Club Med, Palazzo Broggi a Milano),
Anbang (Waldorf Astoria) e Hna.
E anche sul fondo costituito per rilevare il club rossonero
I colossi cinesi della finanza e dell’industria che hanno guidato un’impressionante campagna di acquisizioni all’estero sono sotto inchiesta e i loro titoli in Borsa crollano. «C’è un rischio sistemico» che coinvolge le banche che hanno prestato i capitali a questi grandi gruppi ha detto ieri Liu Zhiqing, alto funzionario della «China Banking Regulatory Commission». Alle banche è stato ordinato di indagare sui loro conti.
Crollo in borsa
Liu non ha fatto i nomi delle aziende coinvolte, ma le voci sul web cinese hanno cominciato a correre, indicando prima Wanda, il gruppo che spazia dal settore immobiliare all’intrattenimento e ha acquistato negli Stati Uniti catene di cinema e case di produzione: alla Borsa di Shenzhen il titolo ha perso il 10 per cento, bruciando quasi un miliardo di dollari di capitalizzazione. Crolli analoghi per Fosun International, che negli ultimi anni ha acquisito il Club Med e Palazzo Broggi nel centro di Milano; HNA, un conglomerato che controlla compagnie aeree e altre attività logistiche e finanziarie; Anbang, partita dalle assicurazioni e lanciatasi in uno shopping globale che comprende il prestigioso Waldorf Astoria di New York.
La vendita del Milan
Accertamento anche su Sino-Europe Zhejiang Rossoneri Investment, il veicolo finanziario utilizzato per il tormentato acquisto cinese del Milan, ceduto da Silvio Berlusconi dopo una trattativa prolungatasi a causa del ritardato arrivo dei fondi. Ma i circa 400 milioni di euro pagati per il club di calcio italiano sono niente rispetto alle centinaia di miliardi mossi da Wanda, Fosun, Anbang e Hna.
Banche ombra
Il problema è che per procurarsi i capitali questi gruppi avrebbero fatto ricorso alle banche cinesi (controllate dallo Stato) e allo «shadow banking», il mercato ombra. Il debito delle aziende è diventato un serio problema per la Cina seconda economia del mondo e ora anche il governo di Pechino, che pure lo ha non solo tollerato ma incoraggiato per la campagna di globalizzazione, lo teme.
Un doppio obiettivo
C’è un doppio livello in questa inchiesta. Il primo è di sostenibilità finanziaria, perché anche un Paese che si vanta di avere una «economia di mercato con caratteristiche cinesi», vale a dire un capitalismo garantito dallo Stato (che ha in cassa riserve valutarie per oltre tre trilioni di dollari), non può correre il rischio di un contagio destabilizzante dell’indebitamento «corporate» che se diventasse insolvente peserebbe sulle banche (sempre statali). Gli economisti internazionali ammoniscono su questo pericolo da anni, sempre rimbeccati da Pechino, forte della sua crescita continua anche se rallentata. Ma ad aprile anche il presidente Xi Jinping ha parlato di «rischio finanziario sistemico» davanti al Politburo del Partito comunista.
Lotta politica
Ed ecco il secondo livello dell’inchiesta, quello politico. Forse il più rilevante, perché in autunno si svolgerà il 19° Congresso del Partito, avvenimento quinquennale durante il quale ci sarà un grande ricambio ai vertici. Xi Jinping vuole arrivarci senza problemi, vuole imporre tutti i suoi uomini nelle posizioni chiave. E per farlo deve anche eliminare possibili concorrenti. Tutti i gruppi industriali sotto la lente dell’inchiesta hanno forti collegamenti politici. Ordinando alle banche di indagare sui mezzi di finanziamento arrischiati o «non convenzionali» concessi ai capitani d’industria «rossi», Xi Jinping punta con ogni probabilità a neutralizzare i loro referenti politici. Gente che ha consentito fughe di capitale e riciclaggio (anche per costituirsi patrimoni all’estero).
Arresti e sparizioni
All’inizio di giugno è scomparso (arrestato senza comunicazione ufficiale) Wu Xiaohui, presidente di Anbang, marito della nipote di Deng Xiaoping, quindi legato a un gruppo di potere, la cosiddetta «nobiltà rossa» della Cina. Commenta Bill Bishop, sinologo che cura una news letter molto informata: «Una prova ulteriore che nessuno è intoccabile a Pechino e un promemoria ai partner internazionali che debbono conoscere a fondo le loro controparti in Cina». Nel dicembre del 2015 scomparve misteriosamente Guo Guangchang, numero 17 tra i miliardari cinesi, il capo di Fosun: choc in Borsa fino a quando Guo non fece sapere che era impegnato a «collaborare con la polizia in un’inchiesta delicata». Lo rilasciarono dopo qualche giorno, senza ulteriori spiegazioni. A gennaio di quest’anno è toccata a Xiao Jianhua, finanziere da sei miliardi di dollari di fortuna personale e affari che lo hanno legato al vertice del potere, scomparso a Hong Kong: rapito dalla polizia di Pechino e portato in un luogo segreto in Cina «per collaborare».
Il grande inquisitore Wang
Un’inchiesta che spazia dagli eccessivi rischi dei capitalisti d’assalto cinesi che hanno comperato molto all’estero, alla corruzione politica. E non a caso ieri è ricomparso al telegiornale della sera Wang Qishan, membro del Politburo e capo della temuta Commissione centrale di disciplina del partito, il grande inquisitore per conto di Xi Jinping. Anche Wang ha ottimi contatti nel mondo dell’alta finanza e ultimamente erano circolate voci su un suo coinvolgimento. Questa partita è solo al primo tempo, la conclusione e il risultato si conoscerà solo al Congresso d’autunno.
Guido Santevecchi,il Corriere della Sera