di Cesare Lanza
DONALD TRUMP
Lo tormentano con accuse insidiose e con altre futili insinuazioni. La lobby sconfitta dei sostenitori di Hillary Clinton non si da pace. «E nun ce vonno sta!», direbbero a Roma. Poi il presidente, che ha festeggiato 71 anni qualche giorno fa ed è in arrivo in Italia, sbalordisce il mondo con una importante proposta, a Riad, a 55 leader arabi: tutti uniti contro il terrorismo.
UMBERTO BOSSI
II vecchio leader della Lega è insofferente di fronte al suo successore, Matteo Salvini. Fa quasi tenerezza la sua pervicace insistenza sugli slogan che aveva inventato, con passione, per l’autonomia del Nord. Non riesce a immedesimarsi, nella svolta salviniana, minaccia di lasciare la sua creatura politica, è fischiato, poi ritratta. Fine di un’epoca.
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GIGI BUFFON
È il simbolo del trionfo della Juventus, insieme con l’allenatore, la squadra formidabile e – soprattutto – la forza tradizionale della proprietà e dei dirigenti. Alla vigilia dell’ultima impresa possibile in questa stagione (il successo in Champions league, per completare la tripletta) i meriti individuali di Buffon emergono: ha vinto tutto, forse conquisterà anche il Pallone d’oro.
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GIORGIO NAPOLITANO
Colpisce negativamente l’autocritica dell’ex presidente della Repubblica nel giorno della commemorazione di Marco Pannella: «II Pci non lo ha capito». Tutto qui? Se Napolitano volesse percorrere la strada delle autocritiche, potrebbe cominciare dal sostegno all’invasione sovietica in Ungheria e infine scusarsi per le sue continue intrusioni dal Quirinale.
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SAN FRANCESCO
Poverino! Tirano tutti in ballo il santo più popolare in Italia. Beppe Grillo dice di essere diventato francescano, il Vaticano lo rintuzza intimando che né lui né altri partiti possono attribuirsi il titolo di emuli. Basta il pontefice, che si è dato (come uno scudo?) il nome di Francesco. Una cosa è certa: la popolarità di San Francesco aumenta. Non è peccato volergli bene!
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EUGENIO SCALFARI
In un editoriale, che rievoca confusamente la fine del commissario Luigi Calabresi, Scalfari tenta di difendersi dall’accusa di un grave errore: aver firmato (con altri 756 intellettuali di sinistra) un manifesto che di fatto sosteneva la campagna di persecuzione verso il poliziotto (poi trucidato dai terroristi). Eugenio non riesce mai a chiedere scusa.
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di Cesare Lanza, La Verità