Havas non brilla nel 1° trimestre

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Neanche il tempo di dichiarare all’assemblea degli azionisti di Vivendi, mercoledì 26 aprile, che tra la holding dei media di Vincent Bolloré e il suo braccio pubblicitario Havas, guidato dal secondogenito Jannick (per saperne di più andate a leggere la storia di questo giovanotto sul numero di febbraio di Gentlemen), c’era molto di più che una «corrispondenza di amorosi sensi», che insomma si stava preparando un matrimonio finanziario in grande stile, nonostante il palese conflitto d’interessi tra media e pubblicità; ed ecco arrivare dal mercato la doccia gelata, una smentita alle entusiastiche dichiarazioni di Arnaud de Puyfontaine, il braccio destro di Bolloré, l’uomo che conosce tutti i segreti del finanziere bretone e che in questi giorni sta trattando i due dossier Telecom Italia e Mediaset.
Havas, il secondo gruppo pubblicitario francese (specializzato nel settore della raccolta e della gestione commerciale dei Big Data) dopo Publicis e sesto al mondo, potrebbe non essere il partner ideale che si vorrebbe accasare «chez Vivendi» con un duplice obiettivo: primo, sviluppare tutte le sinergie industriali possibili tra media, entertainment e comunicazione; secondo: utilizzare la leva delle azioni Havas (dominio di famiglia, controllata al 60%) per permettere a papà Vincent, che ha un vero debole per Jannick (mentre il primogenito Cyril se la cava bene da solo nel business africano del gruppo, commerci e noli marittimi), di salire nel controllo della holding Vivendi, come ha fatto capire mercoledì scorso lo stesso de Puyfontaine.
I conti del primo trimestre di Havas non sono così brillanti come si aspettava il mercato con una certa impazienza.
Il fatturato complessivo, infatti, è rimasto sostanzialmente fermo, crescita organica a +0,1%, a 519 milioni di euro (506 milioni l’anno scorso, stesso periodo), mentre il mercato aveva puntato su un risultato di almeno 534 milioni.
Insomma una delusione, soprattutto a confronto con il fatturato del primo trimestre 2016 salito allora del 3,4% e, ancora di più, con quello del 2015 che aveva fatto il «botto» del +7,1% pur in un contesto non facile dell’industria mondiale della pubblicità e della comunicazione.
È come se i motori di Havas, che sembravano aver girato al massimo negli ultimi due anni (con conseguenze positive sul valore di Borsa, argomento importante in vista della fusione con Vivendi), si fossero improvvisamente fermati all’inizio di quest’anno e la macchina procedesse, al momento, per inerzia.
È soprattutto il quadrante Asia-Africa a perdere il 5%, mentre Europa e Stati Uniti resistono, rispettivamente a +1,4 e a +0,9%, benché la Spagna faccia peggio di tutti i mercati con una fuga di clienti e di contratti.
È per queste ragioni che non più tardi di due settimane fa uno dei manager più brillanti e apprezzati di Havas, Agathe Bousquet, una che lavorava fianco a fianco con Jannick, ha deciso di lasciare il gruppo e di passare alla concorrenza, la nuova Publicis del nuovo pdg Arthur Sadoun che ha preso il posto di Maurice Levy, il patron storico? Ma rispondere a questa domanda significa scoprire i retroscena della fusione annunciata, forse troppo, tra Havas e Vivendi.

ItaliaOggi