La luce di Michelangelo.
Un’ illuminazione per la Tomba di Giulio II
La Tomba di Giulio II di Michelangelo, di cui fa parte la celebre statua di Mosè, torna a risplendere grazie un complesso progetto di illuminazione, manutenzione e restauro della Soprintendenza per il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma, realizzata con il contributo de Il Gioco del Lotto.
La nuova illuminazione rivela Michelangelo scultore della luce oltreché del marmo, ed è finalizzata a restituire le condizioni in cui la Tomba venne realizzata nel XVI secolo, negli anni completamente cambiate con la chiusura di una finestra. L’impianto curato da Mario Nanni, in stretta collaborazione con il restauratore Antonio Forcellino, è stato realizzato con tecniche informatiche e lampade a led di Viabizzuno, in grado di restituire i colori e l’intensità della luce di Roma nella zona di San Pietro in Vincoli. Dopo quindici anni dall’ultimo intervento il monumento, che è visitato gratuitamente da milioni di persone ogni anno, è stato pulito e restaurato, recuperando gli splendidi colori del marmo di Carrara scelto e scolpito da Michelangelo, ma senza intaccare la patina del tempo.
In continuità con l’importante progetto di restauro e comunicazione del 1999-2001, Il Gioco del Lotto, proseguendo il suo storico legame con l’arte e la cultura, si è offerto di rinnovare il proprio impegno per la salvaguardia dell’opera. Si apre così una nuova stagione nel rapporto tra pubblico e privato che, oltre a promuovere una grande opera di restauro, continua a prendersi cura della conservazione delle opere e della loro conoscenza. Nei prossimi mesi saranno, infatti, organizzate numerose attività per far conoscere al grande pubblico questo straordinario monumento.
La Soprintendenza ha affidato il lavoro ad Antonio Forcellino, il restauratore che meglio conosce la Tomba di Giulio II e il Mosè, già curatore del restauro del 2001, mentre per l’illuminazione è stato chiamato Mario Nanni. L’operazione di manutenzione e restauro è stata preceduta da una fase di studio, coronata da una scoperta unica e affascinante. Una delle statue che compongono il monumento, la Vita attiva, trova il suo modello in un affresco di San Silvestro al Quirinale: un caso unico nell’arte di Michelangelo che apre un nuovo capitolo nell’ interpretazione del Mosè e dell’intera Tomba di Giulio II.
Il restauro della luce
Michelangelo ha assegnato un ruolo fondamentale alla luce nella creazione della Tomba di Giulio II, testimoniata dalla scelta del transetto di San Pietro in Vincoli per la sua realizzazione nel 1532. Originariamente il sepolcro era destinato alla Basilica di San Pietro in Vaticano, quando questa ipotesi venne meno, si pensò a Santa Maria del Popolo, ma dopo un sopralluogo Michelangelo scartò questa destinazione perché, come scrisse a un amico, in quella chiesa non vi era “lume a proposito”. Un “lume” che trovò, anzi creò a San Pietro in Vincoli aprendo alle spalle del transetto a sud un grande arco che dava sul Coro dei frati, ed era inondato di luce grazie alla finestra aperta sulla parete est. L’illuminazione proveniente dal retro del monumento rendeva una idea tridimensionale della Tomba, mentre le due finestre a sinistra e a destra del monumento, spinsero Michelangelo ad utilizzare la luce del Sole come elemento strutturale delle statue. Una osservazione puntuale ha confermato che una volta portate a uno stato avanzato di lavorazione e collocate in situ, Michelangelo, nelle sue statue autografe (Mosè, Statua del Papa, Vita Attiva e Vita Contemplativa) porta ad un diverso grado di finitura le superfici a seconda della loro esposizione alla luce. In questo modo il marmo acquista un diverso grado di splendore e, riflettendo la luce diretta del Sole, guida lo sguardo dell’osservatore e crea una profondità e un “colore” molto raffinati. Le zone illuminate dalla finestra a destra del monumento, quella aperta a ovest dalla quale durante il pomeriggio e il tramonto arrivava una luce diretta, erano portate a lustro, in modo da riflettere i raggi del sole quasi come uno specchio. Queste parti delle statue vengono avanti come fossero più lumeggiate per utilizzare una metafora pittorica. Le altre parti destinate alla penombra erano finite solo con la pomice o con la gradina, e risultano meno riflettenti. Con questa tecnica, Michelangelo applica alla scultura una procedura da pittore che porta all’ennesimo grado il valore tridimensionale delle statue, lavorando non solo sulla plastica, sul rilievo vero e proprio, ma sulla sua consistenza luminosa. Con il tempo le condizioni di luce sono state profondamente alterate. La finestra a sinistra del monumento è stata ampliata e quella a destra completamente chiusa durante la costruzione della adiacente facoltà di Ingegneria negli anni sessanta dell’ottocento. L’eliminazione della finestra a destra del monumento ha lasciato completamente in ombra proprio quelle parti destinate alla luce diretta, come il volto del Mosè che si gira in cerca di Dio simboleggiato dai raggi del sole che arrivavano direttamente sulla sua fronte. Le illuminazioni elettriche che in tempi più recenti hanno sostituito la luce naturale non hanno fatto che peggiorare la situazione, appiattendo e alterando radicalmente con luci incrociate, il delicato gioco chiaroscurale ricercato da Michelangelo. Ripristinare le condizioni di luce adeguate si poneva come un restauro di una delle componenti essenziali per la comprensibilità del monumento. L’intervento di Mario Nanni, maestro indiscusso nell’ambito dello studio e dell’uso della luce ha permesso di fare un grande passo avanti: grazie alle più moderne tecniche digitali, sono state studiate in situ la luce, il suo percorso nella giornata e l’effetto che questa ha sulle superfici marmoree. La densità del colore e dunque la componente cromatica della luce ideata da Nanni è in tutto simile a quella che si riscontra nel sagrato di San Pietro in Vincoli, cioè a quella che sarebbe entrata dalla finestra a destra del monumento se fosse ancora aperta. La collocazione delle fonti luminose nei pressi della stessa finestra, oggi tamponata, assicura una resa il più possibile vicino alle condizioni originarie, come attestano le fonti iconografiche a noi pervenute che sono servite come rigoroso strumento di controllo. Grazie alle tecnologie più avanzate e alla sapienza del gruppo di lavoro impegnato in questo progetto sotto la direzione del Soprintendente Francesco Prosperetti, per la prima volta dopo un secolo e mezzo si potrà apprezzare la complessa macchina scenica che Michelangelo aveva ideato nella costruzione della Tomba di Giulio II.
Storia del restauro della Tomba di Giulio II
Nel 1999 la Soprintendenza ai Beni Architettonici di Roma affidò ad Antonio Forcellino il restauro della Tomba di Giulio II di Michelangelo Buonarroti nella Chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma. Il monumento ospita sette statue realizzate da Michelangelo con la collaborazione di alcuni scultori ben documentati, tra i quali Raffaello da Montelupo, Antonio Da Pontassieve e Jacopo del Duca. Tra le sculture autografe di Michelangelo la più celebre è senza dubbio quella del Mosè, iniziata nel 1513 ma trasformata radicalmente nel 1542, come si è scoperto proprio durante questo restauro. Iniziati i lavori, divenne subito chiaro che le risorse stanziate non erano sufficienti dal momento che, per sanare le condizioni gravissime in cui versava il monumento, erano necessari maggiori e più cospicui finanziamenti. La sepoltura del grande papa rinascimentale ebbe una storia travagliata che ha influenzato successivamente sia la sua ricezione critica che il suo stato di conservazione. Realizzata da Michelangelo tra il 1505 ed il 1545, rispecchia le contraddizioni e le lacerazioni che attraversarono la vita dell’artista ma soprattutto, per la sua travagliata storia costruttiva, questo monumento non fu mai letto come opera coerentemente progettata dal maestro ma come un tardivo assemblaggio di pezzi lavorati in epoche differenti. La critica novecentesca era arrivata a definire questo monumento come il “relitto di una grande idea” e pertanto non si era mai interrogata troppo approfonditamente sulla coerenza dello stato fisico nel quale ci era arrivata, limitandosi ad interrogarsi sui progetti precedenti piuttosto che indagare lo stato reale del monumento. Questo pregiudizio critico aveva favorito una radicale trasformazione della Tomba, la chiusura della grande lunetta sul Coro, la violenta tinteggiatura scura di una parte di esso e l’inscurimento radicale dei marmi per il sudicio rappreso sulle superfici. Quando fu chiaro che l’intervento di restauro coinvolgeva l’intero transetto destro con lo scoprimento anche degli affreschi nella volta, intervenne la società Lottomatica con un consistente finanziamento dei lavori e con un impegnativo progetto di comunicazione, finalizzato a valorizzare il monumento, la sua storia e le importantissime scoperte che il restauro portava alla luce. Questo progetto, affidato al prof. Alberto Abruzzese si rivolgeva attraverso i nuovi media ad una platea internazionale per divulgare l’eccellenza raggiunta dal metodo di restauro italiano che proprio in questo complesso restauro aveva chiamato a raccolta le maggiori istituzioni di ricerca del settore, come la Soprintendenza di Stato, l’Istituto del Restauro di Roma, Istituti Universitari e di ricerca come l’ENEA che avevano messo a disposizione le loro tecnologie e le loro conoscenze per un approfondito screening scientifico del monumento. Ben presto, il restauro si impose all’attenzione della comunità scientifica e della comunità degli appassionati d’arte come uno degli eventi più significativi del nuovo secolo nell’ambito della tutela del patrimonio artistico italiano. Sul piano conservativo, sotto la guida del compianto Michele Cordaro Direttore dell’ICR, si realizzò la completa pulitura dei marmi che permise di vedere e comprendere non solo la bellezza delle singole statue, ma anche di ripercorrere senza equivoci la storia costruttiva del monumento che si rivelò come il progetto forse più ambizioso e appassionato di Michelangelo, espressione di una forte e pericolosa devozione religiosa maturata in seno al gruppo degli “Spirituali” in cui fu introdotto da Vittoria Colonna. Furono rimosse le tinteggiature scure dalle due campate laterali del monumento e dalla volta, dove vennero alla luce i nastri colorati dipinti al tempo di Sisto IV della Rovere. Fu rimossa la enorme tamponatura che impediva alla luce del Coro di avvolgere il monumento trasformandolo da monumento a parete in monumento tridimensionale, grazie all’intuito di Michelangelo che anticipò così la poetica barocca affermatasi successivamente a Roma. Si poterono apprezzare per la prima volta non solo il Mosè con la sua travagliata storia di “pentimenti e rilavorazioni” che portarono Michelangelo a svoltargli la testa verso la luce proveniente originariamente da destra, ma le statue della Vita Attiva e della Vita Contemplativa e quella del Papa, che proprio grazie agli studi condotti in quella occasione fu attribuita a Michelangelo e non più a Tommaso Boscoli. Furono accertati gli interventi degli aiuti sulle statue della Sibilla, del Profeta e della Madonna con bambino, cominciate e impostate dallo stesso Michelangelo prima di consegnarle agli aiuti. Dalla rilettura filologica e materiale del monumento ebbe inizio un complesso dibattito sul suo significato artistico e religioso nel quale furono coinvolti i massimi studiosi contemporanei di varie discipline insieme ad un vastissimo pubblico che per la prima volta, grazie alle nuove tecnologie, fu in grado di seguire direttamente il restauro. Grazie al piano di comunicazione di Lottomatica fu allestito un complesso ponteggio trasparente accessibile ai visitatori per consentire di seguire dal vivo i lavori di restauro. Fu allestito un sistema di webcam che permise di seguire in diretta da ogni parte del mondo i lavori attraverso un sito web che ebbe milioni di contatti. Sul medesimo sito fu allestita una “mostra Virtuale” nella quale fu raccolto una grande quantità di materiale concernente la Tomba e la sua storia. Per ampliare la riflessione sulla figura e il significato della statua di Mosè e della intera Sepoltura fu organizzato all’Accademia di San Luca a Roma, un convegno internazionale dal titolo “Mosè: Conflitto e Tolleranza” nel quale si confrontarono con un approccio interdisciplinare intellettuali come James Hillmann, Adriano Prosperi, Ch. L. Frommel, Alberto Abbruzzese, Massimo Cacciari, Gillo Dorfless e Andrè Chouraqui. Fu commissionata al compositore Michael Nyman, un’opera musicale per quartetto d’archi e voce, presentata al Teatro Argentina nell’autunno del 2001 e al grande fotografo Helmutt Newton, una serie di scatti fotografici che offrirono una lettura iconografica nuova della statua e del Monumento. A conclusione di tutto questo ciclo di iniziative fu commissionato a Michelangelo Antonioni il cortometraggio dal titolo “Lo sguardo di Michelangelo” che nel 2004 fu proiettato nei maggiori festival internazionali e che diede una nuova memorabile interpretazione della scultura di Michelangelo grazie al talento straordinario del regista novantenne. Infine, la cura di Lottomatica verso questo monumento continuò negli anni successivi con il finanziamento di una pubblicazione scientifica affidata agli studiosi di Michelangelo che avevano contribuito al restauro e che avevano raccolto e riordinato tutto il materiale scientifico emerso nei secoli precedenti. Il libro edito dalla Jaca Book, con il titolo “Michelangelo il marmo e la mente” e curato da Ch.L. Frommel, A. Forcellino, M.Forcellino, C. Echingen Maurach, ha visto la luce nel 2014 ed è stato tradotto in francese, tedesco e inglese, con il contributo della Getty Foundation a riconferma dell’alto valore scientifico delle conoscenze prodotte da questo restauro e dalle attività che intorno ad esso si sono susseguite per almeno un quinquennio. Dopo la conclusione del restauro però non furono eseguite le manutenzioni necessarie a mantenere in buono stato i marmi, la rimozione delle polveri sedimentate che almeno ogni cinque anni dovrebbe essere realizzata per evitare che il lungo permanere dei depositi incoerenti combinato ai cicli di umidità atmosferica, produca la formazione di quello strato di sudicio grasso e scuro che risulta poi di difficile asportazione con il tempo e la cui rimozione può mettere a repentaglio le patine dei marmi. Nel 2015, a quindici anni dalla conclusione della pulitura del monumento nella sua parte superiore, i marmi si presentavano completamente ricoperti da uno strato di polvere scura che li rendeva illeggibili e che provocò le rimostranze di molti visitatori. Non solo la raffinata scultura michelangiolesca risultava mortificata dallo strato di polvere che uniformava i dettagli plastici delle sculture, le ombre leggere e seducenti create dallo scalpello del maestro, ma la polvere accumulata sui piani orizzontali era tale e talmente evidente da conferire al monumento intero un aspetto di indecente abbandono. Lottomatica, attraverso il brand Gioco del Lotto, ha risposto all’appello della Soprintendenza con una sponsorizzazione della manutenzione del monumento, continuando con questa iniziativa il restauro impegnativo intrapreso quindici ani fa. Con il finanziamento della pulitura Il Gioco del Lotto/Lottomatica intende sottolineare la propria sensibilità e disponibilità verso un monumento che è diventato parte della sua storia industriale e non soltanto una episodica elargizione di risorse finanziarie.