La banca lombarda è l’unica ad avere fatto un offerta per rilevare Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti, tre dei quattro istituti salvati dal fallimento nel 2015 dal governo Renzi
Comprare tre banche per un euro? È possibile, se le banche in questione sono tre delle quattro salvate dal governo Renzi a un passo dal baratro. E se il compratore è il solo che si sia fatto avanti. Con un euro in mano. Affare fatto. Ieri sera Ubi banca ha siglato il contratto per acquistare il 100% di Banca Etruria, Banca delle Marche e Cassa di risparmio di Chieti. Resta fuori la Cassa di risparmio di Ferrara, che non ha trovato nel quarto istituto di credito d’Italia il suo salvagente.
Ubi è l’unico nome che abbia manifestato un serio interesse per l’acquisto. Grazie al decreto “Salva-banche” del governo Renzi a fine 2015 CariChieti, CariFerrara, Banca Marche e Banca Etruria vengono alleggerite dalla valanga di crediti deteriorati che le ha travolte. Crediti deteriorati, ossia soldi prestati, mai tornati indietro e ormai difficili, se non impossibili da riscuotere. Lo schema di salvataggio funziona così: i crediti deteriorati vengono spostati nelle casse di una bad company e le quattro banche, sgravate delle perdite, rinascono come good bank.
A quel punto Roberto Nicastro, il manager di Banca d’Italia nominato alla guida dei quattro istituti, ha il compito di venderle al miglior offerente. Tuttavia, alla prima chiamata nella primavera del 2016, nessuno si fa avanti. In estate le proposte di acquisto arrivate in via Nazionale vengono cassate. A settembre riprendono i giri di valzer per trovare un buon partito per le good bank.
E il nome di Ubi acquista di settimana in settimana credito.
Tanto che alla fine l’offerta arriva: un euro. Per tre istituti però. Di Carife Ubi non vuol sentire parlare. Ieri Bankitalia ha acceso il via libera all’operazione. Non ci sono altri pretendenti, perciò basta l’euro simbolico a Ubi per accaparrarsi l’offerta. Entro il prossimo giugno l’istituto lombardo perfezionerà l’acquisto di CariChieti, Banca Etruria e Banca Marche.
La faccenda, però, non finisce qui, perché la compravendita dipende da una serie di condizioni. In primis, dall’autorizzazione della Commissione europa e della Banca centrale europea. Inoltre, sia Ubi sia le tre good bank dovranno procedere a un aumento di capitale, rispettivamente di 400 milioni di euro e 450 milioni. Questo perché Ubi vuole mantenere il proprio Cet1 sopra l’11%. Per Cet1, Common equity tier 1ratio, si intende l’indice di solidità e affidabilità di un istituto di credito. Per la Banca centrale europea il Cet1 di una banca del vecchio continente non può scendere sotto l’8% e per l’Italia deve essere superiore al 10,5%. Quindi Ubi, mirando all’11%, difenderebbe la sufficienza piena. Infine, le tre good bank dovranno cedere 2,2 miliardi di sofferenze. Se entro l’estate i tre obiettivi saranno centrati, l’operazione andrà in porto. Altrimenti Ubi si sfilerà dal salvataggio.
La banca lombarda ritiene che con l’operazione guadagnerà l’1% di quota di mercato, in termini di clienti e di raccolta, e potrà allargare “la presenza in aree geografiche in cui il Gruppo Ubi non è presente o lo è solo parzialmente”. Le tre banche valgono oltre 930mila clienti, 547 filiali e cinquemila dipendenti. Entro il 2020 Ubi si attende che Carichieti, Etruria e Marche garantiscano un risultato ordinario netto di 100 milioni di euro per la capogruppo e un ritorno del 25% sull’investimento. Traguardi a cui contribuirà anche il piano di tagli di personale e sportelli, “con una riduzione stimata degli oneri operativi – scrive Ubi – del 30% entro il 2020” e una “razionalizzazione delle filiali principalmente nelle aree a parziale sovrapposizione”.
Su Lavoce.info Marco Onado, docente di Mercati finanziari all’università Bocconi di Milano, scrive che Ubi “non può certo essere accusata di approfittare della situazione. Al contrario, fa un grosso favore alle autorità e al governo perché l’integrazione sarà tutt’altro che facile e indolore”.
E di CariFerrara che sarà? Bankitalia ha aperto le trattative con Banca popolare dell’Emilia Romagna e l’obiettivo è di stringere i tempi per assegnare anche il quarto istituto. Nel complesso il salvataggio delle quattro banche è costato 5 miliardi di euro al sistema del credito nazionale. Lo Stato ha speso 190 milioni per rimborsare i piccoli risparmiatori coinvolti dal tracollo. Nei giorni scorsi il comitato “Vittime del Salva Banche” ha scritto al governo per chiedere le stesse tutele riservate agli investitori del Montepaschi di Siena. “Restano incomprensibili i motivi per i quali il precedente governo non abbia portato a termine il piano di salvataggio dei 4 istituti che prevedeva la ricapitalizzazione preventiva da parte del fondo di tutela dei depositi con soldi privati, intervento già deliberato e concordato con i commissari di Banca d’Italia – scrivono dal comitato -. I 4 istituti avevano in quel periodo ancora patrimonio netto di poco positivo, così come certificato dai commissari di Banca Italia, per cui erano soddisfatti i medesimi requisiti, oggi applicati per il Montepaschi, che consentono secondo le regole Ue l’intervento, eventualmente di natura pubblica, di ricapitalizzazione preventiva. Un siffatto intervento avrebbe generato la conversione integrale in azioni degli obbligazionisti subordinati, così come oggi avviene per gli investitori dell’istituto senese, e non il loro azzeramento”.
Wired