PERISCOPIO

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Ho avuto dieci o quindici fi-danzate, e a tutte ho detto: ti amo. Paolo Gentiloni. Un giorno da pecora. Radio Rai1.

L’Inghilterra vuole Cameron alla Nato e l’Italia ha già piazzato Scilipoti. Così imparano a fare la Brexit. Antonio Satta. MF. «Guardi che non sono l’ultimo arrivato». Lo dice anche il penultimo. Enrico Vaime, Gli amori finiscono, non preoccuparti. Aliberti editore.

Vi sono due razze di stupidi: quelli che credono a tutto e quelli che non credono a niente. Purtroppo io appartengo a entrambe. Gesualdo Bufalino, Il malpensante. Bompiani, 1987.

Alla redazione del Corriere della sera lavorava Eugenio Montale. Gradevole, ironico. Pacato fustigatore di chi non amava. Cioè quasi tutto il resto dell’umanità. Enzo Bettiza, giornalista (Aldo Cazzullo). Corsera.

Eccolo, il Mostro (il McDonald’s in Vaticano) che sta facendo indignare l’intellighentia romana, strappare i capelli ai puristi dell’arte, infuriare gli abitanti di un antico borgo, infervorare le associazioni dei consumatori, gridare al sacrilegio perfi no un pugno di anziani cardinali. Ecco l’osceno fast food che fa sgorgare lacrime (raccolte addirittura in «un vasetto») all’ esimio professore Alberto Asor Rosa che ieri ancora grondava indignazione sulle colonne di Repubblica. La sobria insegna dorata, qui con il nome intero, là con la semplice M stilizzata, là ancora con la sigla McCafé non si nota in una via dove abbondano richiami, cartelloni pubblicitari, insegne fai-da-te, dehor improvvisati di bar, mini spacci alimentari, piccoli spacci alimentari aperti negli anni dalla comunità del Bangladesh che ne ha il monopolio anche qui, pizze al taglio, kebab e bazar di ogni tipo che espongono in faccia ai turisti le loro cianfrusaglie. Ma il Mac, no. Pussa via. Franco Bechis. Libero.

Una volta Carlo Rossella ha perso una scommessa con me, per una previsione su un risultato elettorale. In palio un pranzo, che non ha mai pagato. Per un giocatore come me, è insopportabile: le scommesse si onorano. Gliel’ho rinfacciato molte volte. Silenzio assoluto. La rubrica Alta società, che da anni firma sul Foglio, è ridicola: soffi etti periodici ai suoi amici. Una volta ne parlavo con il suo grande amico Diego Della Valle, che commentò con una risata: «Gli ho detto: se scrivi quella rubrica per far la figura del coglione, ci riesci perfettamente». Cesare Lanza. La Verità.

Sono arrivato in corso Como, a Milano, nella zona dei nuovi grattacieli. C’è un gruppo di turisti americani. Questi non sono migranti: curati, barbe da hipster, borse dello shopping. A un tratto uno si ferma, e orina contro il muro, tra le risate degli amici. A casa sua, a New York o a Phoenix, non lo farebbe mai. Ma siamo in Italia, ognuno fa quel che gli pare, le regole non le rispetta nessuno e nessuno le fa rispettare: ottima occasione per trasgredire, e ridere dei rari indigeni che ancora si infastidiscono. L’odore che si sente un po’ in tutto il centro di Milano – per non parlare di Roma – testimonia che non si tratta di un caso isolato, e che talora il visitatore incontinente non si limita alla pipì. Aldo Cazzullo. Sette.

Corrado Augias, lo dicono in tanti, è banale. Eppure si cimenta in temi da far tremare le vene ai polsi. Il suo pallino è stroncare il Cristianesimo. Con il matematico ateo (ed ex seminarista) Piergiorgio Odifreddi, è considerato il «principale anticattolico italiano». Ha aggredito la Chiesa con una tripletta micidiale di grande successo editoriale: Inchiesta su Gesù; Inchiesta sul Cristianesimo; Disputa su Dio. In tutti i casi – dichiarandosi «un profano incuriosito ma non competente» – ha coinvolto, come coautori, dei professoroni cattolici che hanno fatto la parte degli allocchi. Ne sono, infatti, scaturiti degli attacchi alla fede romana che hanno messo in difficoltà i tre ingenui cattedratici (Mauro Pesce, Remo Cacitti, Vito Mancuso), mentre Augias ci ha fatto i soldi e un figurone con gli sbattezzati suoi consimili. Giancarlo Perna, scrittore politico. La Verità.

Dopo vigoroso editing, Il male oscuro esce da Rizzoli nel marzo 1964 e in un anno viene ristampato dieci volte superando le centomila copie. Oltre che a Gadda, piace a Buzzati, Carlo Bo, Montanelli, Oreste Del Buono. Molto meno a Pasolini, Paolo Milano, Geno Pampaloni, Anna Banti (raccolgo queste informazioni dalla biografi a di Berto scritta anni fa da Dario Biagi per Bollati Boringhieri). Dell’Italia smagliante in pieno boom, il romanzo rappresentava uno strano controcanto comico-cupo. In quella confessione catartica i lettori si ritrovavano: «Venivano a bussarci alla porta, avevano scambiato Beppi per un guaritore». Ma il guaritore, lui, era davvero guarito? Perrotti disse: dopo Il male oscuro, Berto non ha più bisogno di me. E infatti in un testo – ora in appendice alla riedizione – l’ex paziente scriveva di sé: «Il dolore rimane dolore, ma non si trasforma più in angoscia». Giuseppe Berto, scrittore (Marco Cicala). il venerdì.

Il palazzo è arido anche visto di fuori: non un fiore, non una pianta ai balconi – solo bacinelle e sedie di plastica, e fustini di detersivi. Qui sono gli uomini che restano a casa e loro non hanno il pollice verde; e comunque considererebbero poco virile coltivare le piante. Se ne fottono, stanno a giocare a carte o a pappare, e quando le donne rientrano, strillano perché i mariti o i figli non hanno messo fuori neanche la monnezza, figuriamoci ricordarsi di innaffi are le rose. Credono di risolvere tutto scopando, che poi, anche quello, lasciamo perdere. Walter Siti, Il contagio. Mondadori, 2008.

Ho avuto un periodo di depressione, ma come fai a non essere depresso quando il tuo mondo di ieri lavora e tu rimani fermo a guardare? Certo, c’è stata Striscia la Notizia nella quale interpretavo Jean Todt. Il personaggio funzionava e nonostante questo Antonio Ricci mi ha mandato via. Pensare che per Striscia, scivolando sulla neve, mi ruppi anche una gamba. Non so perché Ricci mi abbia mandato via. Quando Todt lasciò la Ferrari gli proposi altri personaggi. Volevo fare Lele Mora in coppia con un finto Corona. Ma Antonio disse no: «Mi sono antipatici». «Che ti frega?», gli dissi. «Sono solo maschere». Non ci fu nulla da fare. Alvaro Vitali, Pierino in molti film (Malcom Pagani). il Fatto.

Guardò la piazza vuota, grigia, lustra di pioggia, sconsolante. Andrea Vitali, Dopo una lunga e penosa malattia. Bompiani. Un vecchio racconta: «Quando ero giovane correvo dietro le ragazze. Ma adesso non ricordo perché». Coluche, Elle est courte ma elle est bonne!. Le Livre de Poche, 2000. Fra il lusco e il brusco, c’è sempre qualcosa di losco. Roberto Gervaso. Il Messaggero.

di Paolo Siepi, Italia Oggi