Drahi, il patron del settimanale, ha sostituito Barbier con il giornalista economico Dubois. Nel settembre 2015 fu imperturbabile nel tagliare 125 redattori
All’inizio di settembre 2015, quando il tycoon franco-israeliano Patrick Drahi, il patron di Sfr, il terzo operatore telefonico francese, che aveva appena acquistato L’Express, il settimanale radical-socialista fondato nel 1953 da Jacques Servan-Schreiber, da un decennio in continua perdita di copie e di quattrini – almeno 84 milioni di euro stando alle cifre che circolano tra i giornalisti parigini – gli chiese di licenziare 125 redattori, lui, Cristophe Barbier, direttore da un decennio, non fece una piega.
«Je suis imperturbable», sono imperturbabile, rispose a chi gli chiedeva, allora, quali sentimenti provasse a mettere alla porta decine e decine di colleghi con cui aveva convissuto per almeno vent’anni in redazione.
Non si sa se Barbier, un giornalista nato e cresciuto all’Express, famoso per la sua sciarpa rossa sempre al collo (si dice gli sia stata regalata da Carla Bruni per il suo matrimonio con Yamini Kumar, la potente direttrice della comunicazione di Hermès) sia rimasto altrettanto imperturbabile quando lo stesso Drahi, impegnato in questi giorni su molti fronti dalla crisi di Sfr al divieto impostogli dalla Consob francese di fondere la compagnia telefonica con la sua holding Altice Media, gli ha comunicato che anche lui era stato «écarté», scartato, licenziato, per far posto a Guillamme Dubois, un giornalista economico di lungo corso, gran navigatore tra aziende e giornali, diventato braccio destro dello stesso Drahi per tutto quel che riguarda la comunicazione e la sistemazione di un gruppo editoriale che va dal quotidiano Libération a L’Express al mensile Expansion al popolare Point de vue e una dozzina di testate specializzate. Certamente Barbier, «l’homme à l’echarpe rouge» come lo chiamano, originario dell’Alta Savoia, tipico rappresentante di quel ceto giornalistico parigino che non si mette mai in discussione, borghese benestante di sinistra, non ha avuto la minima solidarietà da parte della redazione. Anzi il fatto che rimanga come editorialista ha dato fastidio ai più.
Del resto non si può dire che i suoi dieci anni di direzione siano stati folgoranti. Anzi il fatto che rimanga come editorialista ha dato fastidio ai più. Del resto non si può dire che i suoi dieci anni di direzione siano stati folgoranti. E l’ultimo, il 2015, è stato anche peggio con le vendite in caduta libera a meno di 200 mila copie (-22% secondo le rilevazioni di Acpm, Alliance pour le cifres de la presse et de medias, il consorzio editoriale che accerta le diffusioni) e le perdite a quota 5 milioni di euro (che si sommano agli 84 milioni cumulati nel decennio).
Perdite che Drahi, il De Benedetti francese come l’abbiamo soprannominato noi di ItaliaOggi, è anche pronto a sopportare in questa fase delicata della sua avventura finanziaria che s’intreccia con l’agenda della politica francese: primarie e presidenziali, tutto nei prossimi sette mesi.
L’Express si è già schierato apertamente con Emmanuel Macron, l’ex ministro dell’economia, e il suo movimento En marche!, ma non è detto che questo sia sufficiente a metterlo in sicurezza. «Tous les news magazine sont à la peine», è il modello dei newsmagazine che non regge più, spiegano sconsolati i redattori che si aspettano un’altra stretta, una nuova «cure d’austerité». Che non li lascerà imperturbabili come il loro ex direttore.
di Giuseppe Corsentino, Italia Oggi