A volte i piccoli libri sono i più preziosi. È questo il caso di Nel nome di Kafka, no rx l’assicuratore (L’Attimo Fuggente Editore, 22 euro) scritto da Cesare Lanza. Come recita il titolo, il volume racconta la vita duale di Kafka, assunto l’1 novembre 1907 dalle Generali, a Praga, e in seguito in un’altra compagnia, dove brillò per l’impegno. Tanto che un suo superiore scrisse di lui: «Indispensabile! Instancabile, assiduo e ambizioso, egregiamente utilizzabile, il dottor Kafka è di straordinaria operosità, di spiccata intelligenza e di grande zelo nell’adempimento del suo lavoro… Senza Kafka l’intero dipartimento collasserebbe!». Perché Kafka l’assicuratore ha incuriosito Lanza? «In principio, all’origine del mio interesse, ci fu Kafka: un’attrazione irresistibile per la sua vita breve e infelice, spezzata tra un rigoroso senso del dovere e la necessità di scrivere… Scommetterei che pochi sanno che Franz Kafka, oltre a essere uno scrittore celebrato nella storia delle letteratura, fu un assicuratore coscienzioso e attivo, per non dire superlativo. Molti artisti, scrittori e poeti, ebbero un lavoro impiegatizio nella loro vita: da Balzac a Chateaubriand, da Eliot a Dickens e Bukowski. Poi tanti russi Dostoevskij, Gogol, Turgenev, Puskin, e ancora Stendhal, Maupassant, Melville, Poe, Bellow, Borges, Melville, Musil, Neruda, Orwell. In Italia, sommi poeti come due premi Nobel, Quasimodo e Montale, e poi Saba, oltre a famosi scrittori: Collodi, Italo Svevo, Gadda, Fenoglio, Piero Chiara…», scrive il giornalista. Lanza ha ragione. Nel mondo delle assicurazioni furono accolti cordialmente nientemeno che Thomas Mann e William Faulkner, Jack London e Georges Bernanos. Tutti o quasi accettavano un incarico da impiegati al fine di poter contare su un compenso sicuro. Kafka, no. Non scaldava la sedia, pensando ad altro e aspettando lo stipendio a fine mese: prendeva estremamente sul serio il suo lavoro. «Abbiamo recuperato alcune sue relazioni, che farebbero la felicità di studiosi e ricercatori», scrive Lanza; «sono la dimostrazione dell’inverosimile applicazione sul lavoro di un personaggio tanto grande come scrittore, quanto misconosciuto come assicuratore». Commoventi le lettere che Kafka scriveva all’editore, che pur lo amava, pregandolo di non pubblicare i suoi libri, perché “immeritevoli”.
Ferruccio Pinotti “Corriere della Sera”