L’attacco di Trump alla Cina, a rischio la distensione Usa-Pechino

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I tweet del presidente eletto mandano su tutte le furie i vertici politici cinesi, ma preoccupano anche i mercati internazionali. E dopo la telefonata con la presidente di Taiwan, ora si temono pesanti ripercussioni

donald-trumpDonald Trump questa volta attacca la Cina davvero. D’accordo, l’attacco è soltanto verbale e avviene via Twitter: ma può il futuro leader del mondo libero permettersi questa libertà verso la seconda potenza economica del pianeta? E soprattutto: può la Cina di Xi Jinping, l’uomo più potente di Pechino dai tempi di Mao Zedong, permettersi di lasciarsi insultare così?
L’attacco è partito nella notte di domenica da quell’account, @realDonaldTrump, che il mondo intero ha imparato a conoscere già durante la campagna elettorale Usa per quel suo modo di parlar chiaro, troppo chiaro. “La Cina ci ha mai chiesto se fosse OK per noi che svalutassero la loro moneta (rendendo più difficile la competitività delle nostre aziende), tassare pesantemente i nostri prodotti nel loro paese (l’America non tassa i loro), o costruire un grande complesso militare nel mezzo del mar della Cina? Io non credo proprio!”. Tre domande retoriche che sono tre pesantissimi atti d’accusa, con tanto di esclamativo finale, su tre questioni al cuore della politica cinese attuale: dalla svalutazione dello yuan alla battaglia sulle isole contese passando per la tassazione degli scambi commerciali.
Una vera e propria bomba lanciata all’indomani di quella telefonata con la presidente Tsa Ing-wen, la prima leader a invocare apertamente l’indipendenza dalla madrepatria, che già aveva mandato su tutte le furie Pechino e gettato nel panico gli osservatori internazionali. Un attacco a freddo che per di più arriva dopo che il vice presidente eletto, Mike Pence, aveva cercato in tv di calmare le acque, sminuendo il valore di quella telefonata: “Ha ricevuto una chiamata di cortesia dal leader democraticamente eletto di Taiwan, ha detto il futuro vice alla tv Abc, precisando che si sarebbe trattato soltanto di “uno scambio di congratulazioni e auguri, tutto lì”.
Non solo. L’attacco Twitter di Trump sembra non fare tesoro neppure dei segnali di non belligeranza provenienti da Pechino. Certo, all’indomani della telefonata la Cina aveva alzato la voce protestando ufficialmente con Washington, e ricevendo le assicurazioni dell’imbarazzata amministrazione uscente di Barack Obama: per gli Usa nulla è cambiata, vale ancora la politica del riconoscimento di una sola Cina, resa possibile prima dal disgelo avviato da Richard Nixon e poi messa nero su bianco da Jimmy Carter in poi. Anche per questo i commenti sui giornali vicini al partito avevano cercato di stemperare la crisi, parlando solo di “inesperienza” di Trump, uomo non avvezzo ai linguaggi delle cancellerie, e ripromettendosi dunque di formulare un giudizio finale solo sul suo operato, dopo l’inaugurazione. Un atteggiamento di prudenza che a questo punto l’ultimo tweet del tycoon rischia però di compromettere ancora una volta. Risollevando l’inquietante domanda: a cosa punta davvero The Donald? Che cosa c’è dietro l’ultima dichiarazione di guerra, per ora soltanto via Twitter, alla Cina?

La Repubblica