Cerruti chiude la boutique storica a Parigi ma rilancia con Lafayette e un nuovo store

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nino-cerrutiSembrava la fine di una storia. La bella storia di Nino Cerruti, una delle eccellenze tessili e laniera della vecchia Biella (dove aveva mosso i primi passi un giovanissimo Giorgio Armani), iniziata con la prima boutique parigina aperta nel lontano 1967 nella centralissima place de la Madelaine.
A settembre, al rientro dalle ferie, la boutique, per decenni punto di riferimento per lo shopping di vestiti e accessori maschili, è stata chiusa e il marchio sembrava essere sparito dalla geografia del prêt-à-porter della capitale francese.
Un’altra vittima eccellente (il lanificio Cerruti è stato fondato nel 1881) della crisi dell’industria del lusso, soprattutto nella sua versione di massa del cosiddetto lusso accessibile? No, Cerruti riaprirà presto, a febbraio, con un corner alle Galeries Lafayette e in estate con un nuovo sorprendente (così lo definisce il direttore generale di Cerruti France, Laurent Grosgogeat, appena arrivato) «flagship store» in Boulevard Haussmann, la grande via dello shopping di lusso, proprio di fronte ai magazzini Printemps.
Nel frattempo Cerruti si è installato in un «temporary shop» in rue Saint-Honoré dove Grosgogeat, un manager di lungo corso che si è fatto le ossa da Louis Vuitton, da Chanel, da Cartier, insomma le università del marketing del luxury e del retail haute-de-gamme, prepara il rilancio della casa di moda italiana che il suo proprietario, Nino Cerruti, ora ultraottantenne, nel 2010 ha ceduto ai cinesi di Trinity Limited, filiale del colosso del retail (24 miliardi di dollari di fatturato, circa 22,6 miliardi di euro) Li Fung che vende di tutto, dai mobili ai vestiti, dall’arredo agli accessori.
«I cinesi hanno perso un po’ di quattrini con gli altri marchi di moda maschile, Urban, Kent&Curwen, Gieves&Hawkes, che avevano in portafoglio e così, finalmente, hanno capito la forza di un marchio italiano con la storia e l’immagine di Cerruti: quindi hanno deciso di cambiar rotta e di investire», dice visibilmente soddisfatto il patron francese. «Non sono certo arrivato qui a marzo per chiudere, ma per rilanciare», conclude.
Il crollo del fatturato di Trinity Limited (-27% del giro d’affari, a 230 milioni di euro) unito alla caduta del titolo azionario (Trinity è quotata alla Borsa di Hong Kong), a sentire Grosgogeat, ha dato più chance al marchio italiano e accelerato il piano di ristrutturazione insieme con le nuove aperture parigine (a cui si aggiungerà un corner da Harrod’s, a Londra, sempre nella primavera del 2017).
A favore della marca italiana hanno giocato la relativa tenuta del conto economico (una perdita di appena 4 milioni di euro su un fatturato di 150 milioni) e la consapevolezza, finalmente acquisita dai padroni cinesi abituati ai numeri e alle logiche del «mass market», che Cerruti è il loro unico vero brand global, con un fascino intatto nonostante la crisi degli ultimi anni.
Da qui la decisione di investire sulle linee di prodotto (concentrandosi sulla moda uomo e chiudendo definitivamente le linee femminili troppo poco remunerative) affidate a un nuovo stilista (il bostoniano Jason Basmajian, di origine indiana, quello che ha rifatto l’uomo di Ralph Lauren) e su una nuova rete commerciale di boutique di lusso che integra il circuito dei 116 negozi di proprietà Trinity in Cina, a Taiwan, a Macao e i 150 multimarca in Europa.
Ma la sfida non è solo d’immagine. Cerruti ha decine di licenze in tutto il mondo, dal Giappone al Messico, da cui incassa consistenti royalty. Il guaio è che da anni, dopo la cessione ai cinesi, nessuno ha più controllato questi licenziatari, come producono, come gestiscono i fornitori, come vendono. È il lavoro (pesantissimo) che ora tocca a Laurent Grosgogeat.

Giuseppe Corsentino, ItaliaOggi