Mark Parker il guru dei runner: “Le mie Nike si allacciano da sole”

Share

Il ceo del gigante delle calzature sportive sta per lanciare una scarpa dotata di sensori che grazie alla tecnologia dell’Internet delle cose è in grado di adattarsi ai piedi: un’innovazione che rivoluzionerà il mercato

mark-parker-ceo-nikeIn dieci anni ha incrementato del 60% il fatturato e fatto correre i profitti di oltre il 57%. Mark Parker, Ceo e Presidente della Nike, lo Steve Jobs dello sport, come tutti lo chiamano, imprenditore dell’anno 2015 per Fortune, il più creativo manager del mondo secondo Fastcompany , ha preso la rincorsa per tagliare il traguardo del futuro: le scarpe che corrono su Internet delle cose. Le case automobilistiche accelerano sulle auto che si guidano da sole, i produttori di elettrodomestici inventano gli elettrodomestici che fanno la spesa, il brand di sneaker più famoso al mondo rivoluziona il mercato con le scarpe sportive che si allacciano da sole. “The design issue”, lo snodo chiave del design, è il titolo della copertina Wired di questo mese. Il magazine, numero uno delle tecnologie d’avanguardia, è stato il primo ammesso a visitare i laboratori segreti, l’Innovation Kitchen, nel campus di Beaverton, Oregon, il quartier generale della Nike, dove ingegneri e stilisti realizzanoo la sneaker del futuro.
Una scarpa che, grazie ad appositi sensori è in grado di adattarsi alla differente forma dei piedi di ciascuna persona, capace anche di distribuire la pressione. HyperAdapt, questo il nome, è il prototipo di una nuova generazione di scarpe da ginnastica destinate a prendere le distanze da tutti i modelli attualmente considerati innovativi, come la VaporMax, lanciata quest’anno. Metterà le ali ai piedi degli atleti, ma HyperAdapt promette anche di far schizzare in alto le azioni del
gruppo. Lo stratega è lui, Mark Parker: dai colleghi ai partner agli analisti, tutti riconoscono in lui la mente capace di far dialogare creativi e tecnici, strateghi del marketing e maghi dei conti. Sessantuno anni, fisico da atleta, ha iniziato la sua carriera come designer dentro il gruppo nel lontano 1979. Poi via via ha occupato posizioni e competenze diverse fino a farsi una visione trasversale del business. La scalata l’ha portato alla poltrona di Ceo, nel 2006, quando ha ricevuto il testimone da William Perze, che a sua volta lo aveva ricevuto, nel 2004, da Phil Knight, il mitico fondatore della Nike.
È Parker il vero erede del carismatico capostipite della Nike. Il suo predecessore era stato invitato a dimettersi dopo neanche due anni. A lui, per non farlo andare via, nel 2013 l’assemblea degli azionisti ha concesso all’unanimità un aumento di retribuzione record in cambio di una esclusiva fino al 2017. La scadenza è vicina e in azienda si è da tempo accesa la battaglia per la successione. Ma il Cda ha già rilanciato, mettendo sul piatto un ulteriore aumento di stipendio per far restare Parker altri quattro anni. Quanto basta per portare a termine la rivoluzione delle scarpe che dialogano con i sensori. Parker è tra gli uomini più pagati d’America. Raro caso in cui stipendio e risultati puntano contemporaneamente vero l’ alto. Quello dei Ceo riempiti d’oro a fronte di risultati scarsi è diventato uno dei temi più scottanti in Usa, al centro persino della campagna per le elezioni presidenziale. Parker quest’anno ha incassato 47,4 milioni di dollari, ma nessuno tra analisti, colleghi e giornalisti si permette di criticarlo: per la maggior parte, infatti, si tratta degli introiti delle stock option, che sono cresciute al massimo sulla scia del rally di Borsa del titolo. Una rincorsa mozzafiato che ha portato il gruppo, tre anni fa, nel Dow Jones Industrial Average, il gotha dei 30 titoli più capitalizzati di Wall Street. Uno degli indici di Borsa più importanti che oltre alla capitalizzazione e all’andamento finanziario segnala anche come cambia lo scenario industriale. L’ingresso nell’indice del marchio di scarpe da ginnastica più venduto al mondo è stato il segnale di una svolta epocale: Nike è entrata e sono usciti Bank of America, gigante del credito, e Alcoa, colosso dell’alluminio. Le sneaker impazzano ai piedi dei giovani, degli sportivi e corrono anche al listino, così la Nike ha distanziato negli ultimi dieci anni l’andamento dello S&P 500.
Molti dei modelli delle Nike li ha disegnati lui stesso. «Parker thinks in sneaker, pensa in sneaker”, scrive Karl Taro Greenfeld sul Wall Street Journal che lo ritrae mentre disegna scarpe persino al tavolo del ristorante insieme alla moglie, Kathy Mills, ex campionessa di atletica, dalla quale ha avuto tre figli. Disegna scarpe tutto il tempo. Lo fa fin da giovane. Da quando, runner professionista ai tempi dell’Università, cambiava le suole interne delle scarpe, aggiungeva superfici: inventava e sperimentava per correre sempre meglio. Finché, nel 1979, ha incontrato un manager della Nike che gli ha offerto un posto di lavoro. Ha iniziato come designer nella divisione ricerca e sviluppo della sede di Exeter, New Hampshire. Non si limitava a schizzare modelli. Ai tempi Nike non era il fenomeno globale di oggi, l’atmosfera era un po’ quella di una start-up: Parker lavorava a stretto contatto con il reparto mani-fattura, scovando nuove gomme, pelle sintetica. Elaborava campagne di marketing e testava i nuovi modelli con atleti interni che – prima dei famosi testimonial pagati a peso d’oro, come Michale Jordan o Carl Lewis, e lo stesso Cristiano Ronaldo – infilavano calzini e scarpe e se ne andavano a macinare chilometri. «L’intero processo era un ciclo unico», racconta Parker al Wall Street Journal.
Oggi Nike è il campione mondiale del mercato, vale 30 miliardi di dollari e controlla il 59% del mercato delle scarpe sportive. Le competenze sono disseminate tra migliaia di dipendenti. Ma Parker resta il perno di tutto. Tinker Hatfield,spesso citato come l’autore dei modelli di maggior successo, non si stanca di ripetere che, senza Parker, le scarpe Air Jordan and Air Max, tra quelle di maggior successo, non sarebbero mai nate. Insieme, lui e Parker hanno creato Air Max 1, la prima con le bolle d’aria visibili nella suola, antesignane di una generazione di sneaker capaci di generare miliardi di entrate. Capi firmati Tom Ford e sneaker Nike, la griffe dell’abito cambia, ma le scarpe mai. Così Parker si presenta ovunque. Nel suo ufficio, zeppo di opere d’arte, dove lavora alla luce di una lampada Tiffany. E alle conferenze mondiali. Carismatico speaker, ha sposato la tecnologia ai materiali innovativi al fashion.
E nella battaglia contro Adidas e Puma per il controllo del mercato globale, le scarpe con il baffo si sono ritagliate il diciottesimo posto nella classifica dei brand di maggiore valore di Fortune , prima di Louis Vuitton, icona del lusso. Una marca talmente forte che in Cina, mercato altamente competitivo, uno dei grandi concorrenti è Li-Ning, il brand fondato dall’ex campione olimpionico Li-Ning, tre medaglie d’oro alle spalle. Quando alle Olimpiadi di Pechino nel 2008 ha acceso il braciere per portare la fiaccola di apertura dei giochi, il suo volto e il suo brand sono rimbalzati in tutto il mondo. Ha puntato a “fare le scarpe” alla Nike anche negli Usa, dove ha aperto un suo stabilimento a Portland, sulla strada che porta al quartier generale della Nike. Li-Ning ha un logo che ricorda in parte il baffo della Nike. Questa somiglianza non ha acceso la fantasia dei consumatori cinesi, che lo percepiscono ancora come un prodotto di fascia bassa. «Marchi, non prodotti», è il motto coniato dallo stesso Knight. Ma dopo i racconti di Naomi Klein in “no logo” e le accuse del regista Michael Moore sui minori nelle fabbriche in Indonesia, la Nike ha cambiato strada. Parker ha più volte dichiarato alla stampa di non voler assolutamente mettere il suo swoosh su ogni cosa per poi venderla a caro prezzo. Non solo. Ha cambiato sistema di produzione. I tempi si sono accorciati e i costi compressi grazie alle nuove tecnologie, come la FlyNit, che ha rivoluzionato il tradizionale modo di tagliare e cucire le scarpe. Oggi, con HyperAdapt, sembra archeologia industriale.

Repubblica