Una startup calabrese ha affiancato Tokyo e Palo Alto come centro di ricerca del gigante Ntt. Assume i laureati locali. Ma resta un’eccezione
Immaginate di essere il manager di una multinazionale giapponese con 240mila dipendenti e 95 miliardi di fatturato nel mondo. Siete partiti da Tokyo e, dopo almeno uno scalo, siete atterrati all’aeroporto di Lamezia Terme. Poi avete percorso settanta chilometri della “Salerno-Reggio Calabria“, quasi tutti a corsia alternata causa cantieri, circondati da mare e boschi bellissimi, ma anche da paesi dove spiccano case abusive o costruite a metà. Avete raggiunto Cosenza, l’avete attraversata e avete cercato una stradina di campagna ai piedi della Sila, nascosta da un centro commerciale e da capannoni anonimi. Lì, oltre un cancello senza insegne particolari, c’è la meta del vostro viaggio.
Non è la sceneggiatura di un film, perché quasi ogni mese in questa stradina dissestata della frazione di Rende arrivano davvero manager e tecnici giapponesi di NTT Data (società di informatica del gigante nipponico delle telecomunicazioni) che ha tre centri di ricerca a livello mondiale: uno a Tokyo, uno a Paolo Alto nella Silicon Valley californiana, e uno sorprendentemente a Cosenza. Insomma, una storia che sembra capovolgere molti stereotipi del nostro Paese: il Sud senza speranza, l’assistenzialismo, la fuga dei cervelli, il clientelismo, la malavita organizzata…Ma anche un’eccezione che fatica a diventare esempio, a contaminare il territorio che ha un tasso di disoccupazione del 22,5%.
“Qui a Cosenza abbiamo 200 dipendenti con un’età media di 33 anni, e ne assumeremo altri 150 entro il prossimo anno – racconta Emilio Graziano, vice presidente di NTT Data Italia – . Sono tutti ingegneri informatici usciti dalle università della Calabria e lavorano con contratti a tempo indeterminato, senza jobs act”. Graziano (53 anni) è calabrese, come i coetanei Giorgio Scarpelli, anche lui vice presidente, e Roberto Galdini, senior manager: tutto è iniziato da loro e da un bilocale di Rende dove, nel 2001, avviarono una startup specializzata nella sicurezza informatica, trasferita poi ad un gruppo italiano di consulenza manageriale e, infine, alla NTT. Avrebbero potuto passare all’incasso, tra azioni e stock option varie, invece hanno scelto di rimanere nell’azienda che avevano creato: “Volevamo fare qualcosa per la nostra terra, ma senza l’alibi dei problemi del Sud – spiega Graziano mentre ci accompagna in uno dei reparti dello stabilimento -. Abbiamo rinunciato agli scambi politici e alla finanza agevolata puntando sull’università e sulla voglia di riscatto dei giovani calabresi. Un’alchimia, quella con l’ateneo, che funziona e che piace anche ai giapponesi: ormai ci considerano uno dei loro fiori all’occhiello. Abbiamo dimostrato che si può creare lavoro anche in Calabria. Ora tocca agli altri, ma mi sembra che intorno si stia muovendo poco”.
L’università di Cosenza, fondata da Beniamino Andreatta e Paolo Sylos Labini, è qui vicino con i suoi cubi architettonici disegnati da Vittorio Gregotti e spalmati lungo i due chilometri del pontile sul fiume Crati. “La nostra offerta cresce – ci dice Domenico Saccà, docente al dipartimento di Ingegneria informatica – però la domanda innovativa del territorio è ferma. È un peccato, perché proprio così si battono mafia e arretratezza”. Malavita che probabilmente resta alla larga da NTT anche perché l’azienda i profitti li fa fuori dalla Calabria. Quanto alla classe politica locale, Graziano assicura che sta migliorando, dopo che per decenni ha solo alimentato il bisogno: “Comunque se anche ci segnalano persone, noi assumiamo solo chi è bravo. Ce lo possiamo permettere perché ci siamo sottratti da sempre a certi meccanismi”.
Così l’innovazione, per adesso, resta confinata dentro le mura dello stabilimento dove i team di giovani ingegneri lavorano ai vari progetti. Come i sistemi di cyber security per la comunicazione in gruppi ristretti di persone, utilizzati ad esempio dai consigli di amministrazione di società quotate o da aziende esposte allo spionaggio industriale e all’hackeraggio. “Sistemi di sicurezza – racconta Giorgio Scarpelli – che stiamo studiando anche per l’internet delle cose e per i filtri dei social network, un tema sul quale collaborano con noi sociologi, psicologi e legali”. Poi la rete di pagamento attraverso smartphone realizzata per lo Stato di Malta, e le ricerche applicative sulla Blockchain, piattaforma alla base della cripto-moneta Bitcoin, destinata ad allargarsi a molte altre reti. E ancora, lo sviluppo di “Sota”, il robot interattivo arrivato dal Giappone dove viene usato per l’assistenza agli anziani e che alla NTT di Cosenza stanno sperimentando per ulteriori funzioni. “Hitoe”, la t-shirt con sensori nel tessuto che misurano e trasmettono attraverso una app i parametri vitali del corpo: sarà testata dai piloti McLaren in Formula Uno, e servirà soprattutto per le emergenze in lavori tipo quelli dei pompieri, degli autisti, dei tecnici delle centrali elettriche, delle forze dell’ordine al centro di manifestazioni violente. La possibile estensione della realtà virtuale alla sensibilità tattile e alla percezione del peso e del movimento: uno sviluppo che, incrociato alla indoor navigation, potrà aiutare in situazioni di allarme come l’incendio in uno stabilimento o in ambienti disastrati (“Pensiamo a cosa è successo, ad esempio, in piena notte nel naufragio della Concordia“, spiega Scarpelli).
Vedere tutti questi lavori è come il balzo in un futuro a portata di mano. Lo stesso futuro possibile avvistato dai neolaureati (ma sono stati assunti anche 15 giovani ancora impegnati nel percorso universitario) che incontri qui a Rende. “Appena laureata pensavo di dovermene andare dalla Calabria – racconta Annalisa, trentatre anni -. Era una scelta obbligata, qui chiudevano tante aziende. Poi sono entrata nella NTT che all’inizio mi ha mandato tre anni a Milano, in Germania e in Inghilterra: ora eccomi di nuovo a Cosenza, dove mi sono portata dietro anche il contatto con il cliente che curavo in Gran Bretagna”. Francisco ha meno di 30 anni ed è nato in Argentina dove si era trasferita la famiglia calabrese: dopo esperienze in Sud America e ad Oxford è voluto tornare in Calabria. È lui che sta seguendo la sperimentazione nella Blockchain: “Qui ho trovato la situazione ideale: faccio ricerca e innovazione, ho uno stipendio stabile e ho recuperato le radici della mia terra”. Più o meno gli stessi concetti espressi da Colomba, 22 anni: “Ho fatto uno stage appena diplomata, nel frattempo ho iniziato l’università a Cosenza. Terminata la formazione, sono stata assunta”.
Lasciando lo stabilimento, dopo aver ascoltato le storie dei ragazzi, la sensazione “sliding doors” è forte. È come uscire da un’enclave condannata a rimanere isolata per sempre. “Guardi quella cartella – dice Roberto Galdini prima di congedarci indicando un faldone sulla scrivania – lì dentro c’è l’intero piano di investimenti pubblici progettato per la Calabria. Ce lo stiamo studiando, ma è tutto fermo per le lungaggini della burocrazia. Pensi che abbiamo aspettato sei mesi per avere la fibra ottica qui allo stabilimento, poi il giorno dopo hanno inavvertitamente tranciato un cavo e abbiamo dovuto sistemarcelo da soli…”.
È ora di andare: nel buio e sotto la sottile pioggia della Sila, ci attende la “Salerno-Reggio Calabria”.
MARCO PATUCCHI, La Repubblica